Olio extravergine di oliva che non lo è davvero: Carapelli condannata a pagare una multa da 230mila euro
L’azienda Carapelli, famosa per il suo olio extravergine d’oliva, è finita nel mirino delle autorità per aver commercializzato un prodotto che non rispecchiava le caratteristiche dichiarate in etichetta. Nel 2017, circa 700 quintali di olio venduti in Francia come ‘extravergine’ sono stati analizzati e declassati a ‘vergine’ a causa di un difetto di rancidità. I...
L’azienda Carapelli, famosa per il suo olio extravergine d’oliva, è finita nel mirino delle autorità per aver commercializzato un prodotto che non rispecchiava le caratteristiche dichiarate in etichetta.
Nel 2017, circa 700 quintali di olio venduti in Francia come ‘extravergine’ sono stati analizzati e declassati a ‘vergine’ a causa di un difetto di rancidità. I test effettuati in Francia sono stati poi confermati da un laboratorio del Ministero delle Politiche Agricole, che ha inviato ispettori in azienda per prelevare bottiglie dello stesso lotto, sottoponendole a nuove analisi.
Nonostante la doppia prova, Carapelli ha contestato sia i risultati delle analisi che le normative applicate. Ora, però, è stato messo un punto a questa vicenda: il Tribunale di Firenze ha condannato la società spagnola Deoleo Global, proprietaria del marchio Carapelli, a pagare una multa di 230.000 euro per aver violato le normative europee, che stabiliscono che un olio etichettato come extravergine debba essere privo di difetti organolettici.
Secondo i giudici fiorentini, infatti, le analisi effettuate dal laboratorio del Ministero delle Politiche Agricole erano affidabili e i risultati non erano dovuti a fattori esterni, come una cattiva conservazione dei campioni, ma piuttosto alle caratteristiche intrinseche dell’intero lotto di olio, che quindi è stato giudicato irregolare.
E questo, purtroppo, non è un caso isolato. Già da diversi anni, numerosi test condotti in tutta Europa, Italia compresa, hanno “pizzicato” oli etichettati come extravergine che, in realtà, si sono rivelati di qualità inferiore.
Un problema che riguarda anche l’Italia
Secondo le regolamentazioni dell’Unione Europea, per poter essere etichettato come “extravergine”, l’olio d’oliva deve non solo rispettare determinati parametri chimici, ma anche superare un test organolettico (il panel test) che accerti l’assenza di difetti nel gusto e nell’odore.
La problematica dell’olio extravergine di oliva, che in alcuni casi risulta essere solo “vergine”, non si limita alla sola Francia. Anche in Italia, un test condotto dalla rivista Il Salvagente già nel 2015 ha scoperto che, su 20 oli venduti come extravergine, ben 9 risultavano, dopo l’analisi organolettica, essere semplicemente vergini, a causa di difetti che ne sminuivano la qualità.
In seguito a questa indagine, il pubblico ministero torinese Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo per frode in commercio. Questa ha coinvolto diversi marchi, tra cui Carapelli. Successivamente, i Nas hanno prelevato altri campioni degli stessi marchi declassati dal Salvagente, e i risultati del nuovo panel test hanno confermato quanto già emerso: gli oli non erano veri extravergine.
Nel 2016, poi, in seguito ad un esposto di Konsumer Italia, l’Antitrust ha inflitto multe per 300mila euro a diversi produttori di olio, inclusa la stessa Carapelli, per pratiche commerciali ingannevoli.
Sono passati diversi anni, ma la situazione sembra non essere molto cambiata. Anche test successivi, infatti, condotti sempre dal Salvagente sul mercato dell’olio italiano, hanno evidenziato lo stesso problema. Leggi anche: Olio di oliva: sono queste le 11 note marche risultate NON extravergine nel test italiano
Tutto ciò ha ovviamente un impatto significativo sui consumatori, che rischiano di essere ingannati acquistando un prodotto che non corrisponde alle aspettative e alla qualità promessa.
La crescente attenzione verso il “Made in Italy” e la qualità degli oli d’oliva ha sicuramente portato ad un aumento della domanda, ma ha anche creato il terreno fertile per comportamenti scorretti.
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