Filantropia, sostantivo femminile

Dall'antichità ai giorni nostri: la ricchezza delle donne si è sempre sposata con l'altruismo, sostenendo opere e istituzioni che sopravvivono anche ai giorni nostri L'articolo Filantropia, sostantivo femminile proviene da Economy Magazine.

Feb 1, 2025 - 04:58
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Filantropia, sostantivo femminile

Le donne detengono il 40% della ricchezza mondiale e daranno forma al futuro della filantropia. Abbiano il dovere farci avanti e restituire alla società parte della nostra ricchezza come azione di responsabilità». Parola di Ellen Remmer, partner presso The Philanthropic Initiative e presidente del consiglio di amministrazione del Women’s Philanthropy Institute. La crescita della ricchezza femminile è un dato estremamente positivo, non solo per ovvie ragioni di uguaglianza, ma anche per il fatto che donne con patrimoni ingenti si dimostrano fortemente interessate ad aiutare la loro comunità, facendosi personalmente carico di un progetto, in un’ottica di vero spirito imprenditoriale, fornendo impulsi preziosi per la risoluzione di problemi. E se il tema della filantropia femminile sta emergendo in maniera molto evidente, la storia ci insegna che si tratta di una “tradizione” profondamente radicata nel tempo.

Già nella tarda antichità e durante il medioevo troviamo molti esempi di donne che hanno dedicato la loro vita a opere di filantropia e miglioramento sociale. La celebre Teodora, moglie dell’imperatore Giustiniano, assunse un ruolo di primo piano in numerosi atti di beneficenza. Ciò che più la onorò fu la costruzione del riformatorio “Del Pentimento”. Teodora usò la sua ricchezza personale per edificarlo, radunandovi 500 ragazze precedentemente costrette alla prostituzione. Le ragazze trovavarono in questo luogo cibo, alloggio e protezione, venendo inoltre preparate ad affrontare la loro vita futura. Anche Irene-Xeni, moglie di Giovanni II Comneno, si dedicò a opere di beneficenza pubbliche: la sua opera più importante fu l’erezione del complesso del Pantokrator a Costantinopoli, che includeva un ospedale modello e una scuola di medicina.

E ancora: non si può non citare la bernese Anna Seiler: ebbe un ruolo fondamentale nella creazione della fondazione Berner Inselspital, a cui lasciò tutta la sua eredità, permettendo la nascita di una importante struttura ospedaliera (ancora pienamente operativa, con 38mila pazienti stazionari e oltre 295mila pazienti ambulatoriali). Ciò fu possibile perché definì, fin nei minimi dettagli e con un linguaggio assertivo e molto diretto, che cosa fare e non fare con il suo patrimonio. Il suo testamento rappresenta ancora oggi un modello da seguire, benché l’istituzione della fondazione risalga ormai al 1354.

Oltreoceano la filantropia femminile gode di un vasto riconoscimento, tanto che esistono istituti universitari appositamente dedicati a questa materia. Il già citato Women’s Philanthropy Institute dell’Università dell’Indiana e il PhiLab dell’Università di Montreal, ad esempio, hanno conquistato fama e reputazione grazie a studi, pubblicazioni e ricerche che raccolgono materiale e informazioni in merito al contributo che le donne hanno apportato nel corso della storia, spaziando dai successi scientifici al miglioramento sociale; ogni anno a marzo si riuniscono in una tavola rotonda per mettere in risalto dieci donne eccezionali che hanno risolto problemi difficili grazie alla loro generosità.

Anne Radcliffe è indubbiamente una di queste. Sono trascorsi quasi 400 anni da quando, nel 1643 venne fatta la prima donazione a sostegno degli aiuti finanziari ad Harvard e potrebbe sorprendere qualcuno sapere la donatrice fu una donna che, in quanto donna, non avrebbe potuto frequentare la scuola per altri tre secoli! Oggi l’Harvard Radcliffe Institute porta ancora nome della coraggiosa Anne, ma non è l’unica istituzione accademica che ha beneficiato della generosità di una donna.

Berenice Pauahi Bishop, per esempio: una principessa nella vita reale, pronipote del re Kamehameha il Grande; una hawaiana profondamente legata ai suoi concittadini, una studentessa modello, prima della classe alla Royal School e, soprattutto, filantropa. Forse il suo dono più grande fu la fondazione delle scuole Kamehameha. Quando nel 1883 il padre morì, lei ereditò circa 353.000 acri di terra, quasi il 9% delle Hawaii. Nel suo testamento, Bishop usò quella terra per l’apertura di due scuole, una per ragazzi e una per ragazze, la cui missione sarebbe stata quella di fornire ai giovani nativi hawaiani un’istruzione di qualità in lingua inglese e moralità protestante. Oggi queste scuole istruiscono circa 7.000 bambini ogni anno, hanno proprietà a Oahu, alle Hawaii e a Maui.

La Bryn Mawr School e la John Hopkins Medical School, entrambe istituzioni note e rispettate, devono la loro vita a Elizabeth Garret. Figlia di un magnate delle ferrovie, ereditò quasi 2 milioni di dollari alla sua scomparsa. Invece di sperperare quella fortuna, lei e le sue amiche intime, note come il gruppo del “Friday Evening”, cercarono di migliorare il panorama delle scuole preparatorie universitarie per le giovani donne della loro città natale, Baltimora. Elizabeth dedicò sia i suoi soldi che il suo tempo all’istituzione della scuola, adottando un approccio pratico alla sua filantropia.
Nel 1891, Elisabeth  salvò  la famosa Johns Hopkins Medical School, la cui apertura fu bloccata a causa di finanziamenti insufficienti, ma con alcune condizioni piuttosto severe. In primo luogo, a differenza di altre scuole di medicina del paese all’epoca, insistette affinché la scuola fosse una scuola di specializzazione completa e portasse a una laurea in medicina. In secondo luogo, aprì la scuola alle donne. La sua negoziazione con la Johns Hopkins fece guadagnare a questa donna eccezionale il soprannome di filantropa più coercitiva d’America. Come disse William Osler, uno dei quattro medici fondatori della scuola, “è stato un piacere essere comprati”.

La provenienza delle “filantrope” è estremamente variabile: imprenditrici, scrittrici, giudici, casalinghe, tutte unite dalla decisa volontà di essere una forza propulsiva dei grandi mutamenti sociali in atto. Si tratta di donne che spesso ritengono l’iniziativa privata sia più efficace dello Stato, e che oggi dispongono di una nuova possibilità di influire sul tessuto sociale attraverso trasformazioni strutturali. La filantropia femminile sta attirando una maggiore copertura mediatica e si stanno formando reti di donne per scambiarsi idee e sostenersi a vicenda. Personaggi come Melinda Gates si stanno facendo conoscere. Melinda ha operato all’ombra del marito per molto tempo, ma ora parla pubblicamente del lavoro che ha svolto all’interno della loro fondazione. MacKenzie Scott, ex moglie di Jeff Bezos, è stata recentemente elogiata per la sua grande generosità: il New York Times ha parlato di più di 6 miliardi di dollari donati in beneficenza.

Eppure, come ha sottolineato su Twitter Rob Reich, professore di scienze politiche alla Stanford University ed esperto di filantropia, mentre le donazioni di Scott nel 2020 sono state 15 volte maggiori di quelle delle più grandi fondazioni statunitensi (la Ford Foundation ha distribuito 350 milioni di dollari nel 2020), si è parlato poco della sua filantropia. Ma Scott è l’esempio di come le donne stiano trasformando il settore filantropico stesso. Lei andò controcorrente rispetto al marito, che è stato a lungo considerato poco generoso, persino “taccagno”. E, a differenza dei grandi filantropi che spesso donano a istituzioni prestigiose, come la loro università o un importante museo, Scott dona a istituzioni modeste in reale necessità, facendo anche donazioni senza restrizioni: un fatto raro nel settore, consentendo ai destinatari di decidere come utilizzare i fondi.

Anita Roddick, fondatrice di Body Shop e grande benefattrice, definì il periodo della sua vita in cui elargiva denaro come “gioioso”. E lo spiegava così: «Per me la gioia è poter fare parte di un’impresa riuscita. E dare via il superfluo». Purtroppo la sua morte all’età di 64 anni le ha impedito di continuare a condividere la gioia del “dare via” e di vedere i frutti dei suoi doni nella vita degli altri. Ma altre donne, vere imprenditrici nel pensare e nell’agire, continuano a tramandare la sua eredità spirituale in tutto il mondo.

E in Italia? Anch’essa ha una forza propulsiva non indifferente in tal senso. E i casi non mancano. Per citarne due: Diana Bracco, con la sua fondazione omonima, ha assunto un ruolo da protagonista nel sostegno della ricerca e dello sviluppo culturale e sociale; e, se parliamo di arte contemporanea, Miuccia Prada con la Fondazione Prada ricopre indubbiamente un ruolo fondamentale nel panorama internazionale.

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