Trump volta le spalle a rinnovabili e accordo di Parigi. Ue e Cina colmeranno il vuoto?
L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, decisa dal presidente Donald Trump come uno dei primi atti del suo secondo mandato, ha scatenato reazioni immediate a livello globale. Unione Europea e Cina hanno ribadito il loro impegno a combattere la crisi del clima anche senza gli Stati Uniti, mentre il miliardario americano Michael Bloomberg si […] The post Trump volta le spalle a rinnovabili e accordo di Parigi. Ue e Cina colmeranno il vuoto? first appeared on QualEnergia.it.
L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, decisa dal presidente Donald Trump come uno dei primi atti del suo secondo mandato, ha scatenato reazioni immediate a livello globale.
Unione Europea e Cina hanno ribadito il loro impegno a combattere la crisi del clima anche senza gli Stati Uniti, mentre il miliardario americano Michael Bloomberg si è impegnato a coprire il vuoto finanziario lasciato dagli Usa nel bilancio della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Da parte sua, il settore eolico Usa, colpito dallo stop ai nuovi permessi per progetti offshore deciso dalla Casa Bianca, ha indicato che non si farà impaurire dalle “tattiche intimidatorie” di Trump, potendo contare su possibili alleati anche dentro l’amministrazione Trump.
Il segnale che arriva dalle decisioni Usa
Il ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi è “devastante in questo decennio cruciale per l’azione climatica”, poiché riduce la pressione internazionale sui grandi emettitori e complica gli sforzi globali per mitigare i cambiamenti climatici, ha detto Laura Schäfer, della Ong Germanwatch, alla testata giornalistica Deutsche Welle.
Trump ha anche revocato il piano di finanziamento internazionale per il clima degli Stati Uniti, che aveva destinato miliardi per aiutare altri Paesi a rispondere agli impatti climatici. Rimane comunque da vedere in che misura le decisioni di Trump si tradurranno in realtà (È iniziata la tragica svolta energetica e climatica di Trump?)
“Molte di queste posizioni non avranno gli effetti che sembrano. In realtà si stanno indicando ad altri di esaminarle e di elaborare un piano per perseguire una politica di ampio respiro”, ha detto a Bloomberg Michael Burger, direttore del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University, secondo cui saranno probabilmente i tribunali a decidere se la maggior parte delle decisioni entrerà e rimarrà in vigore.
Tuttavia, a livello politico, il segnale anti-clima di Trump è molto chiaro.
Ue e Cina: fronte comune su clima e rinnovabili?
L’Unione Europea e la Cina hanno immediatamente reagito alla decisione americana riaffermando il loro impegno verso l’Accordo di Parigi.
“L’accordo resta la migliore speranza per l’umanità”, ha dichiarato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al Forum Economico Mondiale di Davos. Anche il vicepresidente cinese, Ding Xuexiang, ha sottolineato il ruolo del multilateralismo, definendolo “la chiave per risolvere le sfide globali”.
È però incerto fino a che punto Cina e Ue riusciranno a formare un fronte comune, capace di colmare, almeno parzialmente, il vuoto di leadership e il pieno di emissioni attribuibili direttamente agli Usa. L’elezione di Trump, infatti, sta spingendo l’Ue a premere sull’acceleratore della propria competitività economica, della politica industriale e dell’autonomia energetica.
“L’Europa non può perdere sul piano della competitività globale, non può diventare un continente di persone, di idee ingenue. Se falliremo a livello economico nessuno si preoccuperà più dell’ambiente a livello mondiale e quindi vi chiedo una revisione critica di tutta la normativa, anche del Green deal”, ha detto il primo ministro polacco, Donald Tusk, presidente di turno del Consiglio Ue. Anche il Partito Popolare Europeo, la compagine parlamentare di maggioranza nella Ue, ha auspicato nei giorni scorsi un rilassamento del Green Deal.
Ma la riduzione degli obiettivi climatici e una nuova spinta alla politica industriale Ue potrebbero indebolire sia gli sforzi contro le emissioni che la complementarietà commerciale con la Cina. Ciò complicherebbe una sinergia a largo spettro con la Cina, anche se importante per il rafforzamento strategico dell’Unione.
Il sostegno di Bloomberg all’Onu
Dopo la decisione degli Usa di interrompere i contributi alla Convenzione quadro dell’Onu, Michael Bloomberg, proprietario dell’omonima società di analisi e dati finanziari, attraverso una sua fondazione filantropica, ha annunciato che coprirà la quota americana, stimata nel 2024 in 7,4 milioni di euro.
Pur essendo una cifra relativamente modesta per un miliardario, questo gesto vuole essere un segnale positivo da parte del settore privato statunitense, in contrapposizione a quello inviato da Trump.
“Dal 2017 al 2020, durante un periodo di inazione federale, le città, gli Stati, le imprese e il pubblico americani hanno raccolto la sfida di mantenere gli impegni della nostra nazione, e ora siamo pronti a farlo di nuovo”, ha detto Bloomberg in una nota.
Va notato poi che alcune politiche di Trump, come facilitare lo sviluppo degli idrocarburi nelle terre federali, avranno probabilmente un peso più simbolico che pratico. Moltissimi dei progetti di sfruttamento di gas e greggio già avviati e in fase di lancio, infatti, sono al di fuori delle proprietà federali.
La risposta dell’Europa al blocco dell’eolico offshore Usa
Una delle decisioni più controverse di Trump è stata la sospensione dei nuovi permessi per lo sviluppo di parchi eolici offshore nelle acque federali. Un blocco che ha già avuto effetti significativi anche in Europa.
Prysmian, azienda italiana leader nella produzione di cavi elettrici, ha cancellato il progetto per un impianto da 200 milioni di dollari in Massachusetts, dove dovevano essere fabbricati i cavi per impianti eolici offshore, legati al cablaggio di due parchi del valore complessivo di circa 900 milioni di dollari.
Il colosso danese dell’eolico Orsted ha annunciato svalutazioni per 1,62 miliardi di euro a causa dei ritardi nei progetti offshore statunitensi, mentre Avangrid e Ocean Winds, due sviluppatori eolici offshore controllati da gruppi europei, hanno dichiarato di aver bisogno di più tempo, a causa delle incertezze regolatorie, per raggiungere accordi di fornitura con le utility del Massachusetts. La firma dei contratti, attesa per febbraio, è stata così posticipata a maggio.
Nonostante ciò, gli operatori eolici europei mantengono un cauto ottimismo, puntando sulla natura a lungo termine dei progetti offshore, sull’attrattività del mercato europeo e sul fatto che la mossa di Trump era comunque attesa.
Si stimava già, infatti, che gli Stati Uniti avrebbero installato solo 23 GW di eolico offshore al 2030, rispetto ai 78 GW dell’Europa e ai 126 GW dell’Asia, secondo l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (Irena). Questo divario è destinato ad aumentare entro il 2050, quando si prevede che l’Asia potrà contare 613 GW di eolico offshore.
Se da un lato l’incertezza negli Usa ridurrà gli investimenti nel settore eolico del Paese, dall’altro, dovrebbe essere “un’occasione per l’Europa di chiarirsi ciò che vuole”, ha detto Christoph Zipf, portavoce di WindEurope.
L’eolico offshore Usa e il fattore Burgum
Sono nove i progetti eolici offshore che hanno già ottenuto i permessi federali e che dovrebbero essere al riparo dal fermo di Trump. In totale, la capacità dei progetti eolici offshore pienamente autorizzati e non toccati dall’ordine di Trump è di 13,9 GW.
Diversi Stati della costa orientale hanno basato i propri obiettivi di decarbonizzazione proprio sull’eolico offshore e i governatori di New Jersey e Rhode Island, entrambi democratici, hanno ribadito la scelta dei loro Stati a favore di questi impianti anche dopo l’ordinanza di Trump.
Ci sono invece otto progetti eolici offshore la cui autorizzazione è in corso e molti altri in fasi precedenti che ora rimarranno almeno temporaneamente bloccati, secondo i dati forniti dal cruscotto federale delle autorizzazioni.
Vari esperti e osservatori hanno comunque messo in guardia dal sensazionalizzare l’impatto del blocco di Trump. L’ordine esecutivo “mostra ostilità verso lo sviluppo dell’eolico… ma non chiude necessariamente la porta”, ha dichiarato a Canary Media Mark Squillace, professore di diritto presso la University of Colorado Law School ed ex funzionario del dipartimento degli Interni sotto il presidente Bill Clinton.
Il segretario agli Interni scelto da Trump, Doug Burgum, avrà un ruolo chiave nel determinare la sorte dei contratti di locazione e delle autorizzazioni, indipendentemente dall’ordine di Trump, ha detto Squillace, secondo cui gli ordini esecutivi non sono “auto-esecutivi”.
Burgum è tradizionalmente un alleato dell’eolico, almeno nella sua versione onshore. Durante la sua conferma al Senato ha dichiarato che avrebbe permesso ai progetti eolici offshore pienamente autorizzati di continuare anche nel caso in cui Trump avesse cercato di bloccarli.
Burgum, ex governatore del Nord Dakota, dove c’è un’abbondante generazione da fonte eolica, ha auspicato un “equilibrio” tra fonti energetiche intermittenti come l’eolico e fonti baseload come il gas. Quando, durante la conferma al Senato, gli è stato chiesto esplicitamente come affronterà la questione, ha risposto: “Non conosco tutti i progetti che gli Interni hanno in corso, ma certamente li esaminerò tutti. E se hanno senso e sono già previsti dalla legge, allora potranno procedere”, ha detto Burgum.
La sfida economica e ambientale è in bilico?
Il rallentamento degli investimenti nell’eolico offshore e nelle tecnologie verdi negli Stati Uniti rischia di far perdere al Paese competitività rispetto alla Cina e all’Europa, dove l’energia rinnovabile è in forte espansione.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2024 gli investimenti globali nell’energia pulita hanno superato 2 trilioni di dollari, il doppio di quelli nei combustibili fossili. “La Cina sta vincendo, e gli Usa rischiano di restare indietro”, ha commentato Li Shuo dell’Asia Society Policy Institute.
Trump avrà vita difficile a smantellare, come intende fare con un altro dei suoi ordini esecutivi, i crediti d’imposta concessi dal suo predecessore a favore dell’industria verde, delle auto elettriche e delle energie rinnovabili. Questi benefici fiscali in realtà avvantaggiano di gran lunga gli Stati repubblicani dove molte fabbriche hanno aperto negli ultimi anni, creando posti di lavoro.
Anche la facilitazione dello sfruttamento petrolifero avviato da Trump non causerà probabilmente un’impennata delle estrazioni, perché la produzione americana è già ai massimi storici, i prezzi sono nella media e i petrolieri non vogliono causare un loro crollo aumentando ancora l’offerta.
Lo stato di emergenza energetico dichiarato da Trump è dunque immotivato, ma la deregolamentazione ambientale rallenterà il taglio delle emissioni. Questa politica insieme all’uscita dall’Accordo di Parigi impediranno agli Usa di centrare gli obiettivi climatici che si erano posti, deragliando anche gli sforzi globali.
L’impegno internazionale e la collaborazione tra governi, imprese e società civile saranno per questo motivo ancora più cruciali per affrontare questa fase della transizione energetica, che comunque sembra destinata a rallentare.The post Trump volta le spalle a rinnovabili e accordo di Parigi. Ue e Cina colmeranno il vuoto? first appeared on QualEnergia.it.