Licenziato perché non voleva volare, lo scienziato Gianluca Grimalda verrà risarcito
Il tribunale ha dato ragione al ricercatore Gianluca Grimalda, licenziato in Germania per non aver viaggiato in aereo: sarà risarcito.
- Lo scienziato italiano Gianluca Grimalda aveva scelto di praticare viaggi a ridotte emissioni di CO2 verso i luoghi di ricarca.
- L’istituto tedesco per cui lavorava lo aveva così licenziato per essersi rifiutato di rientrare in Germania in tempi ridotti.
- Lo scienziato ha fatto causa per “licenziamento ingiustificato” e ora il tribunale gli ha dato ragione.
Il 10 gennaio 2025 lo scienziato Gianluca Grimalda e l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel (IfW) hanno raggiunto un accordo presso il Tribunale del lavoro regionale di Kiel, chiudendo una disputa legale avviata da Grimalda per licenziamento ingiustificato. Il caso, inizialmente rigettato nel febbraio 2024, si è risolto durante il processo d’appello con un accordo che stabilisce la chiusura del contratto di lavoro per divergenze di principi e valori tra le due parti coinvolte.
Grimalda, un caso unico di licenziamento
Il licenziamento di Grimalda era avvenuto a seguito del suo rifiuto di tornare in Germania in aereo da Bougainville, isola della Papua Nuova Guinea, dove stava conducendo una ricerca sul rapporto tra globalizzazione, cambiamenti climatici e coesione sociale. Nonostante l’approvazione iniziale dell’IfW per un “viaggio lento”, Grimalda non era rientrato entro la data prevista, a causa di ritardi nel visto e di ostacoli incontrati durante il progetto che ne avevano ritardato la partenza. L’istituto per cui lavorava gli aveva imposto il ritorno in aereo, per accorciare i tempi. Ma lui si era rifiutato.
La decisione dell’IfW di interrompere il rapporto di lavoro aveva sollevato dibattiti, trattandosi del primo caso noto di licenziamento legato al rifiuto di utilizzare un aereo per ridurre le emissioni di gas serra. L’accordo raggiunto ora in tribunale prevede la revoca della risoluzione immediata del contratto da parte dell’IfW e l’esonero di Grimalda da ogni violazione contrattuale. Il ricercatore riceverà un’indennità di licenziamento, il cui importo rimane riservato, e si è impegnato a donare 75.000 euro per iniziative legate alla protezione del clima e all’attivismo ambientale.
“Mi sento triste e felice allo stesso tempo”, ha affermato Grimalda. “Triste per aver perso un lavoro che amavo. Felice perché il giudice ha riconosciuto implicitamente l’impossibilità di licenziare un dipendente per il suo rifiuto di prendere un aereo. Spero che il mio caso ispiri altri a sostenere la transizione verso società decarbonizzate e incentrate sulle persone”.
Grimalda ha inoltre espresso la volontà di proseguire il proprio lavoro accademico e climatico. Quest’anno prevede di tornare in Papua Nuova Guinea con un nuovo viaggio lento per approfondire lo studio sull’adattamento della popolazione locale ai cambiamenti climatici. Una volta rientrato, riprenderà le sue attività di attivismo ambientale.
Un precedente significativo
Questo caso – da cui è stato tratto anche il film documentario The researcher – rappresenta una pietra miliare nella crescente intersezione tra diritto del lavoro e impegno climatico. Secondo l’avvocato Jörn A. Broschat, che ha difeso Grimalda, “la situazione legale rimane incerta per i dipendenti che preferiscono viaggiare in modo neutrale dal punto di vista climatico. Tuttavia, è tempo che legislatori e parti sociali riconoscano tali convinzioni come diritti fondamentali sul lavoro”.
Da oltre dieci anni, Grimalda adotta il viaggio lento come scelta consapevole per ridurre le proprie emissioni di gas serra. Ha calcolato che il tragitto di 28mila chilometri dalla Papua Nuova Guinea all’Europa, effettuato senza l’uso di aerei, ha permesso di ridurre le emissioni di dieci volte rispetto al trasporto aereo.
Wolfgang Cramer, direttore di ricerca presso il Cnrs in Francia, ha sottolineato l’importanza di tale approccio: “Gli accademici possono allertare sulla crisi climatica non solo attraverso il loro lavoro, ma anche modificando il proprio contributo personale alle emissioni”.
Il caso Grimalda solleva interrogativi cruciali sull’equilibrio tra principi personali e obblighi professionali. La sua storia potrebbe ispirare istituzioni e aziende a favorire pratiche più sostenibili, segnando un passo avanti nel cammino verso società più rispettose dell’ambiente.