La rivoluzione del senso comune | L’analisi di Giovanni Orsina
“«Oggi firmerò una serie di decreti esecutivi. Cominceremo così la completa restaurazione dell’America e la rivoluzione del senso comune. Il nocciolo di tutto è il senso comune». Questa – scrive Giovanni Orsina su La Stampa – è la frase cruciale del discorso inaugurale di Donald Trump, e qui si trova la chiave della sua vittoria. […] L'articolo La rivoluzione del senso comune | L’analisi di Giovanni Orsina proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.
“«Oggi firmerò una serie di decreti esecutivi. Cominceremo così la completa restaurazione dell’America e la rivoluzione del senso comune. Il nocciolo di tutto è il senso comune».
Questa – scrive Giovanni Orsina su La Stampa – è la frase cruciale del discorso inaugurale di Donald Trump, e qui si trova la chiave della sua vittoria.
Eppure, il passaggio mi sembra sia stato alquanto trascurato nel diluvio di commenti di questi giorni, un po’ troppo spesso impegnati più a stigmatizzare, quando non irridere, le iniziative del nuovo presidente, a infilzare questa o quella sua contraddizione o fake news, a piangere amare e pensose lacrime sui destini della democrazia, che a fare realisticamente i conti con quel che sta accadendo.
E invece dobbiamo farci i conti, perché la rielezione di Trump non è detto apra le porte al mondo di domani, ma è quasi certo che abbia chiuso quelle del mondo di ieri.
Il tema del senso comune, variamente declinato, è il cuore della rivolta politica dell’ultimo decennio.
Abbiamo sentito contestare questi slogan un’infinità di volte, negli ultimi dieci anni.
Sono tutte obiezioni più che fondate.
Ma – spiega Orsina – dovranno fare i conti, prima o poi, con i settantasette milioni di voti che ha raccolto Trump.
Un dato di realtà duro come la pietra, la dimostrazione di come la politica del senso comune, agli occhi degli elettori, sia apparsa più forte delle sue controindicazioni.
Quanti continuano a ripetere quelle obiezioni, pur fondate, paiono incapaci di fare i conti con questo dato di realtà.
E finiscono così per dare ragione alla diagnosi populista, a chi ritiene che la politica tradizionale e l’establishment istituzionale e intellettuale siano ormai sideralmente distanti da fasce assai consistenti di elettorato, ne siano separati da un invalicabile muro di incomprensione.
Quel muro, fatto di autoreferenzialità, supponenza e moralismo, della cui esistenza chiunque in questi ultimi anni abbia frequentato anche solo sporadicamente i salotti dell’establishment, i corridoi delle istituzioni europee, le aule delle università non può non essersi reso conto, se solo ha tenuto gli occhi e le orecchie un po’ aperti.
Chiunque, in maniera del tutto legittima, detesti Trump e voglia vederlo sparire il prima possibile – conclude l’editorialista – dovrà confrontarsi col senso comune al quale lui parla, dovrà trovare dei modi alternativi per entrare nella concreta vita quotidiana dell’elettore medio”.
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