La partita tra Trump, Netanyahu ed Erdogan si gioca in Siria
La Turchia rafforza i legami con il nuovo governo di Damasco. Mercoledì, il ministro degli Esteri siriano, Asaad al Shaibani, è stato ricevuto da Recep Tayyip Erdogan ad Ankara. Nell’occasione, ha incontrato anche l’omologo turco, Hakan Fidan. “La Turchia ha mantenuto il suo atteggiamento fraterno per 14 anni. Le relazioni tra Turchia e Siria saranno qualificate. Sono iniziati i legami diplomatici condivisi”, ha dichiarato Shaibani, per poi aggiungere: “Come sapete, le nostre relazioni sono state interrotte sotto Assad. Vogliamo che le nostre relazioni con i Paesi vicini siano buone. Ciò rafforzerà la nostra situazione nella regione”. Dal canto suo, il sultano ha garantito sostegno a Damasco dal punto di vista umanitario e ha chiesto che le sanzioni in vigore vengano rimosse. Ricordiamo che Fidan e il capo dell’intelligence turca, Ibrahim Kalın, si erano recati in visita in Siria pochi giorni dopo la caduta di Bashar al Assad. Non è d’altronde un mistero che l’offensiva dei ribelli, guidata dall’organizzazione islamista Hts, fosse stata spalleggiata e sostenuta principalmente da Ankara e Doha. Insomma, la Turchia punta a inserire pienamente Damasco nella propria orbita d’influenza. È in quest’ottica che sta rafforzando i rapporti con il nuovo regime siriano, cercando di aiutarlo anche sul piano internazionale. In particolare, il sultano punta a una Siria il più possibile centralizzata e uno dei suoi principali obiettivi è quello di colpire i curdi dello Ypg. Si tratta di una situazione complessiva che preoccupa Israele. Nonostante la caduta di Assad sia stata accolta assai favorevolmente dallo Stato ebraico, quest’ultimo non si fida di Mohammed al Jolani e, soprattutto, teme l’incremento dell’influenza da parte di Ankara sullo scacchiere mediorientale. Non a caso, mercoledì, si sono registrate scintille tra Erdogan e Israele. “Le azioni aggressive delle forze che attaccano il territorio siriano, in particolare Israele, devono cessare il prima possibile”, ha dichiarato il sultano. “Tutti dovrebbero togliere le mani dalla Siria e noi, insieme ai nostri fratelli siriani, schiacceremo le teste dello Stato islamico, dello Ypg e di altre organizzazioni terroristiche in breve tempo”, ha proseguito. “Israele respinge completamente la dichiarazione del presidente turco”, ha replicato il ministero degli Esteri israeliano. “L'attore imperialista aggressivo in Siria (così come a Cipro del Nord, in Libia e in altre aree del Medio Oriente) è la Turchia stessa, ed è consigliabile che il presidente turco eviti minacce inutili. Lo Stato di Israele continuerà ad agire per proteggere i propri confini da qualsiasi minaccia”, ha aggiunto. Israele ha già bombardato i depositi di armi di Assad per evitare che finissero nelle mai di Jolani. Inoltre lo Stato ebraico auspica che il futuro assetto della Siria sia decentralizzato: esattamente quello che Ankara non vuole. E attenzione: Gerusalemme non è probabilmente l’unica a temere il rafforzamento di Erdogan in Medio Oriente. Anche agli occhi di Donald Trump il sultano ha rotto l’equilibrio di potere regionale. Ed è così che la partita siriana potrebbe prima o poi intersecarsi con quella iraniana. L’obiettivo primario di Trump e Benjamin Netanyahu è che Teheran non si doti dell’atomica. Ragion per cui è possibile che, durante i primi mesi di amministrazione, il nuovo presidente americano metterà l’Iran con le spalle al muro, ripristinando la politica della “massima pressione” e, forse, bombardando alcuni suoi siti nucleari. Una volta depotenziata e resa inoffensiva dal punto di vista atomico, Trump potrebbe spingere Teheran a negoziare un nuovo accordo sul nucleare, facendo sedere al tavolo delle trattative anche israeliani e sauditi. Quegli stessi israeliani e sauditi che puntano, sì, a scongiurare l’ipotesi che gli ayatollah ottengano l’atomica, ma che, al contempo, temono quella Fratellanza musulmana, finanziata da Erdogan e legata a Jolani. Chissà che quindi, prima o poi, Washington, Gerusalemme e Riad non inaugurino un asse di contenimento nei confronti di Ankara.
La Turchia rafforza i legami con il nuovo governo di Damasco. Mercoledì, il ministro degli Esteri siriano, Asaad al Shaibani, è stato ricevuto da Recep Tayyip Erdogan ad Ankara. Nell’occasione, ha incontrato anche l’omologo turco, Hakan Fidan. “La Turchia ha mantenuto il suo atteggiamento fraterno per 14 anni. Le relazioni tra Turchia e Siria saranno qualificate. Sono iniziati i legami diplomatici condivisi”, ha dichiarato Shaibani, per poi aggiungere: “Come sapete, le nostre relazioni sono state interrotte sotto Assad. Vogliamo che le nostre relazioni con i Paesi vicini siano buone. Ciò rafforzerà la nostra situazione nella regione”.
Dal canto suo, il sultano ha garantito sostegno a Damasco dal punto di vista umanitario e ha chiesto che le sanzioni in vigore vengano rimosse. Ricordiamo che Fidan e il capo dell’intelligence turca, Ibrahim Kalın, si erano recati in visita in Siria pochi giorni dopo la caduta di Bashar al Assad. Non è d’altronde un mistero che l’offensiva dei ribelli, guidata dall’organizzazione islamista Hts, fosse stata spalleggiata e sostenuta principalmente da Ankara e Doha. Insomma, la Turchia punta a inserire pienamente Damasco nella propria orbita d’influenza. È in quest’ottica che sta rafforzando i rapporti con il nuovo regime siriano, cercando di aiutarlo anche sul piano internazionale. In particolare, il sultano punta a una Siria il più possibile centralizzata e uno dei suoi principali obiettivi è quello di colpire i curdi dello Ypg.
Si tratta di una situazione complessiva che preoccupa Israele. Nonostante la caduta di Assad sia stata accolta assai favorevolmente dallo Stato ebraico, quest’ultimo non si fida di Mohammed al Jolani e, soprattutto, teme l’incremento dell’influenza da parte di Ankara sullo scacchiere mediorientale. Non a caso, mercoledì, si sono registrate scintille tra Erdogan e Israele. “Le azioni aggressive delle forze che attaccano il territorio siriano, in particolare Israele, devono cessare il prima possibile”, ha dichiarato il sultano. “Tutti dovrebbero togliere le mani dalla Siria e noi, insieme ai nostri fratelli siriani, schiacceremo le teste dello Stato islamico, dello Ypg e di altre organizzazioni terroristiche in breve tempo”, ha proseguito. “Israele respinge completamente la dichiarazione del presidente turco”, ha replicato il ministero degli Esteri israeliano. “L'attore imperialista aggressivo in Siria (così come a Cipro del Nord, in Libia e in altre aree del Medio Oriente) è la Turchia stessa, ed è consigliabile che il presidente turco eviti minacce inutili. Lo Stato di Israele continuerà ad agire per proteggere i propri confini da qualsiasi minaccia”, ha aggiunto.
Israele ha già bombardato i depositi di armi di Assad per evitare che finissero nelle mai di Jolani. Inoltre lo Stato ebraico auspica che il futuro assetto della Siria sia decentralizzato: esattamente quello che Ankara non vuole. E attenzione: Gerusalemme non è probabilmente l’unica a temere il rafforzamento di Erdogan in Medio Oriente. Anche agli occhi di Donald Trump il sultano ha rotto l’equilibrio di potere regionale. Ed è così che la partita siriana potrebbe prima o poi intersecarsi con quella iraniana.
L’obiettivo primario di Trump e Benjamin Netanyahu è che Teheran non si doti dell’atomica. Ragion per cui è possibile che, durante i primi mesi di amministrazione, il nuovo presidente americano metterà l’Iran con le spalle al muro, ripristinando la politica della “massima pressione” e, forse, bombardando alcuni suoi siti nucleari. Una volta depotenziata e resa inoffensiva dal punto di vista atomico, Trump potrebbe spingere Teheran a negoziare un nuovo accordo sul nucleare, facendo sedere al tavolo delle trattative anche israeliani e sauditi. Quegli stessi israeliani e sauditi che puntano, sì, a scongiurare l’ipotesi che gli ayatollah ottengano l’atomica, ma che, al contempo, temono quella Fratellanza musulmana, finanziata da Erdogan e legata a Jolani. Chissà che quindi, prima o poi, Washington, Gerusalemme e Riad non inaugurino un asse di contenimento nei confronti di Ankara.