Far parte della comunità LGBTQ+ e votare a destra significa essere vittime di un’illusione
Il partito di Giorgia Meloni, già in occasione delle elezioni europee del giugno 2024, aveva tentato di scardinare lo stereotipo che associa la comunità LGBTQ+ alla sinistra, facendo leva soprattutto sugli uomini gay, perché i voti delle persone queer sono sempre voti e permettono di mantenere il potere. La narrazione che li accoglie però è ingannevole, perché mira a relegarli in un ruolo decorativo, funzionale a una propaganda che nega i diritti e alimenta l’odio. L'articolo Far parte della comunità LGBTQ+ e votare a destra significa essere vittime di un’illusione proviene da THE VISION.
Le posizioni di questo governo sul movimento LGBTQ+ erano chiare già prima del suo insediamento. La campagna elettorale di Fratelli d’Italia e della Lega ha sfruttato temi come la “teoria gender” per mobilitare gli elettori più estremisti e reazionari ed è stata una strategia che ha funzionato per entrambi i gruppi di interesse. I due partiti sono arrivati al governo e hanno prontamente ricambiato Pro-vita e famiglia con incarichi politici e con una linea apertamente ostile ai diritti LGBT+ e riproduttivi delle donne. L’ultima concessione, solo in ordine di tempo, è il recente dirottamento dei fondi, stanziati da un emendamento di +Europa alla legge di bilancio per l’educazione sesso-affettiva verso corsi non meglio definiti sull’infertilità.
La crociata contro la “maternità surrogata” è forse l’esempio migliore: un attacco alla comunità “rainbow” mascherato da difesa dei diritti delle donne, applaudito persino da leader autoritari – e omofobi – come Erdogan. L’unico target di questa legge, confermato candidamente da alcuni membri del governo come la ministra Roccella, sono le coppie omosessuali maschili. Non c’era alcuna reale volontà di contrastare lo sfruttamento delle donne coinvolte in pratiche non volontarie di gestazione per altri; in tal caso infatti, il provvedimento avrebbe puntato a regolamentare anche l’accesso delle coppie eterosessuali, che costituiscono il 90% di chi ricorre a queste pratiche. Queste azioni politiche, ma soprattutto l’inasprimento dei toni dell’agone politico che le accompagnano, hanno portato, dopo due anni di governo, a un crescendo di violenze. Si moltiplicano infatti gli episodi di coppie gay brutalmente aggredite per strada, mentre sedi di associazioni vengono imbrattate con scritte omofobe, segnale di un clima di intolleranza sempre più diffuso. Ma i voti delle persone queer sono pur sempre voti e Fratelli d’Italia sembra esserne perfettamente consapevole.
Il partito di Giorgia Meloni, infatti, già in occasione delle elezioni europee del giugno 2024, aveva tentato di scardinare lo stereotipo che associa le persone LGBTQ+ alla sinistra, lanciando un messaggio dal Twitter di Atreju in occasione del 17 maggio, Giornata mondiale contro l’odio omolesbobitransfobico: “Non importa il tuo orientamento sessuale, l’8 e 9 giugno scrivi Giorgia”. Lo stesso tentativo è stato fatto in occasione della festa natalizia di Fratelli d’Italia Atreju, con manifesti dedicati specificamente agli uomini gay e non all’intera comunità: “Anche se credi che tutti i gay siano per forza di sinistra, ad Atreju puoi entrare”. Un messaggio che sembra mirare a conquistare consenso tra gli omosessuali cisgender, percepiti come più inclini a conformarsi ai canoni della società tradizionale, pur ignorando il resto delle identità queer, più individuabile e additabile dalla società conservatrice. Questa operazione di maquillage ideologico punta a stemperare l’immagine di un partito le cui politiche restano apertamente ostili all’estensione dei diritti . È una strategia che richiama momenti oscuri della storia della comunità: periodi in cui alcuni hanno cercato rifugio nel potere reazionario, sperando in una forma di accettazione da parte della maggioranza ostile. Ma il prezzo di questa scelta è sempre stato elevato: non solo per chi ha deciso di allinearsi, ma per l’intera comunità, trascinata nel baratro della repressione e dell’odio, non solo quello interiorizzato.
La storia è piena di esempi inquietanti di persone omosessuali che, per paura o convenienza, hanno rinnegato sé stesse e gli altri. Oscar Wilde è considerato uno dei primi martiri del neonato movimento LGBTQ+, ed è stato soffocato dal moralismo della società vittoriana che ha stroncato una delle penne più brillanti del tempo. Ma nel suo processo per sodomia, spesso si tralasciano i motivi che lo hanno innescato. Wilde era stato accusato pubblicamente dal marchese di Queensberry di essere un sodomita e nonostante quest’accusa fosse fondata, fu il figlio del marchese e amante di Wilde, Bosie, a spingere lo scrittore, per vendetta personale, a intentare causa per diffamazione contro il padre che odiava. Ma il marchese possedeva le prove di ciò che diceva e il processo per calunnia degenerò presto in un procedimento penale per sodomia, con l’esito tragico che conosciamo. Meno nota è la fine dell’amante di Oscar Wilde. Dopo la morte dello scrittore, Douglas rinnegò la propria identità e abbracciò la retorica omofoba del suo tempo. Si sposò, si convertì al cattolicesimo e si avvicinò a ideologie antisemite e omofobe. Per il periodico reazionario Vigilante, Bosie scrisse articoli che denunciavano presunte cospirazioni per indebolire la mascolinità britannica attraverso l’omosessualità attribuita agli ebrei.
La comunità LGBTQ+ ha eletto a padri e madri del movimento figure nobili come Oscar Wilde o Sylvia Rivera, dimenticandosi dei tantissimi Bosie che per paura o per odio verso sé stessi si sono lasciati sedurre da politiche razziste e di estrema destra. Eppure, anche loro fanno parte della nostra storia e ci mostrano quanto le persone queer possano in alcuni momenti allearsi con chi perseguita il resto della comunità. Figure come quella di Bosie dovrebbero essere ricordate tanto quanto Leonardo Da Vinci, Virginia Woolf o Alan Turing perché è anche dalle loro scelte, che a volte si sono tramutate in persecuzioni per tantissimi altri, che possiamo comprendere come le nostre identità hanno preso forma e quanto peso invece abbiano le decisioni che prendiamo in prima persona, nel corso della storia.
Ernst Röhm, capo delle camice brune SA e stretto collaboratore di Hitler, incarna forse la contraddizione più emblematica dell’uomo gay di destra del secolo scorso. Berlino, durante la Repubblica di Weimar, era diventata il centro della cultura queer europea. Eppure, questa vivace epoca precedette uno dei capitoli più oscuri della storia umana e della storia queer in particolare: nessun sistema di persecuzione fu più capillare e caparbio nell’eliminazione delle persone omosessuali quanto il nazismo. In questo quadro, Röhm emerge come una figura paradossale: un potente leader militare a capo di uno degli squadroni più brutali del nazionalsocialismo e al tempo stesso un omosessuale, che viveva tranquillamente il proprio orientamento. Questa sua apparente contraddizione si spiega con l’ideologia dello squadrismo fascista, che condannava l’omosessualità pubblica e il crossdressing, associati al marxismo e all’ebraismo, ma giustificava un erotismo maschile discreto e virile che, anzi, avvalorava anche meglio le loro posizioni misogine. Röhm si illudeva che il suo potere e la sua vicinanza alle alte sfere naziste lo avrebbero tutelato per sempre. Aiutò Adolf Hitler ad arrivare al potere e visse il suo desiderio il più possibile secondo canoni che oggi chiameremmo “eteronormati”, eppure nemmeno questo bastò a salvargli la vita. L’imbarazzo di avere un uomo apertamente omosessuale fra i ranghi nazisti, che rischiava di compromettere l’immagine della gioventù hitleriana e l’aura di purezza morale che il regime voleva trasmettere, portò alla sua eliminazione durante la Notte dei lunghi coltelli.
La storia di Ernst Röhm ci permette di comprendere i meccanismi della strategia della rispettabilità, una dinamica che ha attraversato la storia del movimento LGBTQ+, usata maggiormente dagli uomini gay, bianchi e cisgender. Questa strategia consente di mantenere i privilegi legati al genere e alla razza e di mostrare quindi il movimento come un’entità meno minacciosa per il resto della società più conservatrice. Chi ha adottato questa linea nel corso della storia, si è alleato con le forze reazionarie, sacrificando il resto della comunità che non poteva o non voleva uniformarsi, in cambio di potere o di protezione. Ma si è trattato sempre di un’illusione. Cercare infatti l’accettazione in un sistema che ti disprezza non porta libertà, ma ulteriore repressione. È una contraddizione crudele: per essere accettati, si è costretti a rinunciare a ciò che si è, trasformando il proprio amore in una colpa e il proprio desiderio in uno stigma. Eppure non pochi accettano questo patto.
L’idea che l’omosessualità sia legata alla sinistra non è né recente, né esclusivamente europea. Negli Stati Uniti degli anni ‘50, la destra bigotta scrisse una pagina significativa della storia queer, in un clima di paranoia che potrebbe riemergere con il nuovo insediamento di Trump e le notizie che già arrivano dall’Idaho. Con l’Europa distrutta e indebitata dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano consolidato il loro potere globale, ma vivevano nel costante timore del comunismo, percepito come la più grande minaccia all’egemonia americana. In questo contesto, il senatore repubblicano Joseph McCarthy diede avvio a una feroce caccia alle streghe contro chiunque fosse sospettato di simpatizzare per il comunismo. Con l’aiuto di Roy Cohn, il suo consulente capo e omosessuale di destra, la crociata si estese anche alla comunità LGBTQ+. Durante quella che fu chiamata la “paura lilla”, McCarthy e Cohn alimentarono il fervore anticomunista sostenendo che i comunisti potessero ricattare impiegati federali omosessuali non dichiarati, costringendoli a trasmettere segreti governativi per mantenere il loro orientamento nascosto.
Questo clima portò a licenziamenti e sospetti, con il presidente Dwight Eisenhower che, nel 1953, firmò un ordine esecutivo per vietare agli omosessuali di lavorare per il governo federale, definendoli una minaccia alla sicurezza nazionale. Roy Cohn sfruttò abilmente questa situazione per accumulare potere personale, facendo carriera a scapito del resto della comunità. Chi oggi si riconosce nella destra credendo agli slogan razzisti rischia di ripetere gli stessi errori perché è una destra che si porta dietro istanze anche apertamente omofobe. È vero, alcune destre europee hanno saputo muoversi con maggiore astuzia: il Rassemblement National in Francia e l’AfD in Germania hanno inserito persone queer nei loro ranghi o addirittura ai loro vertici per attenuare la narrazione conservatice e reazionaria, instillando la paura che l’Islam possa portare a una diminuzione dei diritti LGBTQ+. In Italia, però, non è stato necessario nemmeno questo: il fascino che Lega e Fratelli d’Italia esercitano su alcuni uomini gay di destra è privo di sostanza, un’illusione fatta di puro fumo negli occhi.
La narrazione che li accoglie è ingannevole, perché non mira a riconoscere la dignità delle persone LGBTQ+, ma a relegarle in un ruolo decorativo, funzionale a una propaganda che nega i diritti e alimenta l’odio. Accettare questo compromesso, soprattutto in un Paese come il nostro così indietro in fatto di diritti, significa tradire la lotta per l’amore e la libertà, riducendoli a strumenti di repressione. La sensazione di vulnerabilità che viviamo in momenti storici come questo non deve spingerci a cercare rifugio presso il padrone con la frusta in mano, nella speranza che non ci colpisca se ci conformiamo, ma deve darci la forza di combattere una lotta intersezionale che riscatti tutte e tutti.
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