Che cosa faceva Alberto Trentini in Venezuela

Il caso di Alberto Trentini arrestato in Venezuela. Fatti e approfondimenti nell'articolo di EstefanoTamburrini per Appunti di Stefano Feltri

Jan 18, 2025 - 08:33
Che cosa faceva Alberto Trentini in Venezuela

Il caso di Alberto Trentini arrestato in Venezuela. Fatti e approfondimenti nell’articolo di EstefanoTamburrini per Appunti di Stefano Feltri

Alberto Trentini è una delle pedine che il presidente Maduro sta usando per conservare il potere dopo aver truccato le elezioni di luglio 2024.

Mentre scrivo questo articolo la petizione per la liberazione di Alberto Trentini, lanciata su Change.org si avvicina alla soglia delle 5mila firme. Sottoscrivere la petizione è tra le poche cose che possiamo fare per riportare a casa l’operatore umanitario arrestato in Venezuela, gettato in cella due mesi fa e da allora “in isolamento totale, senza contatti con la sua famiglia, avvocati o rappresentanti consolari”. Al punto che – si legge – “a quasi due mesi dal fermo, non è stato ancora possibile verificare le sue condizioni di detenzione e di salute fisica e mentale”. Nessuno è ancora riuscito a vederlo, né a contattarlo.

Sempre su Change.org leggiamo che “Alberto si trovava in Venezuela per svolgere il suo lavoro come operatore umanitario sul campo, una missione che negli ultimi vent’anni lo ha visto impegnato con professionalità e dedizione”.

Trentini, 45enne e originario di Venezia, è stato quindi detenuto a poco meno di un mese dal suo arrivo.

Finora la Procura di Caracas non ha emesso alcuna comunicazione sul suo arresto: nessun capo d’accusa, nessun processo.

Le settimane pre-prigionia non sono state facili: il giorno prima del suo arresto aveva annunciato alla compagna di volersi dimettere. Ore dopo è stato arrestato una volta raggiunto il municipio di Guasdualito, nello Stato di Apure, a ovest del Paese, al confine con la Colombia.

Guasdualito – come altri municipi di confine – è un corridoio per il contrabbando di benzina, traffico di droghe e tratta di persone forte della rotta migratoria che va dal Venezuela alla Colombia. Quel municipio – così come tutta la regione di Apure – è anche teatro di incursione delle guerriglie colombiane, ora ridotte alla dissidenza dell’Ejercito de liberación nacional (Eln) che da sessant’anni alterna stagioni di scontro e di coesistenza con il regime venezuelano.

Eppure, in mezzo a questo caos, l’esercito venezuelano è riuscito a individuare nella persona di Trentini una potenziale minaccia da fermare e spedire in un centro di detenzione della capitale.

Lo sapevano che proveniva dal Amazonas, che era in servizio per l’Ong Humanity & Inclusion, che non era una spia né un mercenario.

Le autorità venezuelane sanno anche che l’Ong Humanity & Inclusion opera nel Paese a “beneficio delle persone disabili” con l’obiettivo di “migliorare le loro condizioni di vita” cercando di “mitigare l’impatto del flusso migratorio» con progetti di «miglioramento dei servizi essenziali” tra cui assistenza sanitaria, protezione dalla violenza e salute mentale.

Non c’era dunque alcuna ragione concreta per la cattura di Trentini, che operava con tutte le autorizzazioni richieste.

La madre di Trentini, Amanda, ha detto all’Ansa: “Lui ora è ostaggio di quel Paese, ma è solo una pedina”. E ha ragione.

Visti i tempi e i modi della sua detenzione, Trentini è una delle tante pedine in una più vasta politica degli ostaggi messa in atto dal regime di Caracas e che negli ultimi mesi ha registrato un’impennata dovuta alle tensioni politiche che hanno preceduto l’insediamento di Nicolas Maduro alla presidenza per il periodo 2025-2031, malgrado le prove – verbali di scrutinio firmati da rappresentanti di lista oggi sotto persecuzione – che attestano la vittoria del suo avversario, il leader dell’opposizione Edmundo Gonzàlez Urrutia, lo scorso 28 luglio.

Vale la pena ricordare che qualche giorno prima dell’insediamento di Maduro all’Assemblea nazionale il ministro dell’interno Diosdado Cabello si vantava delle operazioni militari delle ultime settimane, in cui erano stati arrestati almeno 125 stranieri con l’intento di “intraprendere azioni di destabilizzazione”. Quello è stato l’ultimo atto di una politica ostile nei confronti degli stranieri presenti nel Paese o dei cittadini venezuelani con doppia cittadinanza.

Tra i casi più emblematici vi è quello del gendarme argentino, Nahuel Gallo, arrestato dopo aver raggiunto il Paese per visitare sua moglie e suo figlio.

“L’ordine è quello di fermare gli uomini stranieri in età adulta, metterli sotto torchio e trovare una ragione per procedere all’arresto” ha sottolineato una fonte della Direcciòn general de contrainteligencia militar (Dgcim), che per ovvie ragioni ha preferito rimanere anonimo, “dicono che così serviamo la Patria, tuteliamo la rivoluzione ed esercitiamo pressione su Paesi stranieri che agiscono ostilità e ingerenze nei confronti del Gobierno bolivariano”.

Tra i Paesi considerati ostili al Venezuela vi è l’Italia che – oltre la Francia e i Paesi Bassi – ha subito notevoli restrizioni per quanto riguarda la presenza diplomatica, ridotta a un massimo di tre componenti i quali non possono muoversi di oltre quaranta chilometri da piazza Bolívar di Caracas senza autorizzazione del regime. Una misura analoga è stata applicata alla Francia e ai Paesi Bassi in risposta alla loro “condotta ostile” così come al “sostegno di gruppi estremisti” e l’ “intromissione negli affari interni del Paese” ha fatto sapere il ministro degli Esteri venezuelano Yvan Gil.

Arresti e restrizioni diplomatiche sono quindi misure di pressione nei confronti delle cancellerie che dopo il 28 luglio hanno manifestato le loro perplessità riguardo la rielezione di Maduro spingendosi, in alcuni casi, a riconoscere l’oppositore González Urrutia come il candidato eletto alle urne.

DIPLOMAZIA DEGLI OSTAGGI

Secondo uno dei legali del Foro Penal, associazione pro-bono a tutela dei prigionieri politici, “l’idea di catturare stranieri e usarli dopo è uno stratagemma per costringere i loro Paesi di origine ad accettare determinate condizioni nelle trattative o a uno scambio diretto”.

Il ministro degli esteri Antonio Tajani nega eventuali rappresaglie di Maduro dietro l’arresto di Trentini. Ed è vero: non si tratta di una rappresaglia, bensì della detenzione di qualcuno per chiedere qualcosa in cambio.

Qui l’analogia con il caso di Cecilia Sala in Iran potrebbe anche starci, ma fino a un certo punto: dall’altra parte non ci sono ostaggi, ma la pretesa di una normalizzazione nelle relazioni bilaterali tra Roma e Caracas. Cioè, del venir meno delle pressioni – sanzioni Ue incluse – da parte dell’Italia, frammentando così il fronte nemico.

La politica degli ostaggi è anche una preoccupazione degli Usa. Proprio ieri il prossimo segretario di Stato Usa, Marco Rubio, si è detto preoccupato per la presenza di “un mercato globale attivo per catturare ingiustamente dei cittadini statunitensi in Venezuela, Russia, Cina, Iran e poi usarli per ottenere qualcosa in cambio”.

L’ultimo precedente risale alla notte del primo novembre 2022, quando i nipoti di Maduro, Efrain Antonio Campo Flores e Francisco Flores de Freitas, accusati di narcotraffico, sono stati liberati dagli Stati Uniti in cambio di sette prigionieri nordamericani reclusi nel Paese sudamericano.

Quanto a Trentini, il problema è che l’operatore umanitario – come la maggior parte degli ostaggi – c’entra ben poco con la trama politica che agita i vertici del palazzo di governo di Miraflores.

Trentini è andato lì per mettersi al servizio di chi da quel regime non viene neppure considerato. Prima di allora era stato in Bosnia-Erzegovina, Libano, Perù, Ecuador e Colombia, alternando esperienze con Cooperazione internazionale, Danish Refugee Council e altre Ong. E l’esperienza non gli mancava, considerati i diciott’anni di impegni nel settore se si conta l’anno di servizio civile presso Focsiv, nel 2006, nella città ecuadoriana di Esmeraldas

(Estratto da Appunti)