Todde, la stella che declina
Lancinante dilemma scespiriano: decadrà o non decadrà? Alessandra Todde, insomma, rimarrà governatrice della Sardegna oppure no? Nell’attesa di ricorsi e controricorsi, il collegio elettorale di garanzia l’ha sollevata dall’incombenza. Undici mesi posson bastare. Si rivada alle urne, per carità. Fatali furono gli avvilenti errori di rendicontazione durante la trionfale campagna dell’anno scorso. Si vedrà, comunque. Magari la presidente riuscirà a vivacchiare. Ma poco importa, ormai. L’inciampo sancisce la fine politica della più sgangherata e velleitaria giunta di sempre. Il teorema dell’incompetenza diventa norma bollinata. Non solo reddito di cittadinanza e superbonus. Serviva il definitivo suggello: ignorare regolamenti noti persino a uno svogliato consigliere di circoscrizione. Paolo Truzzu, capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio regionale sardo, condensa il diffuso assillo: «Chi non conosce e non sa interpretare norme così semplici, come può essere credibile quando propone, per esempio, la riforma della sanità? Ma non c’è da stupirsi, purtroppo: in questi mesi la giunta ha dimostrato un pressapochismo mai visto».«Tanto l’aria s’adda cagnaaa...» cantava Giuseppe Conte dopo la vittoria dello scorso febbraio, strimpellando Pino Daniele. Anche stavolta, invece, non si sente certo il frescolino del Gennargentu. Il leader del Movimento ce l’ha messa tutta per cacciare il fondatore, Beppe Grillo. Ora sperava in un luminoso avvenire, simboleggiato dalla sua protetta, l’implacabile Todde: vessillifera della lotta all’autonomia, paladina degli oppressi, nemica delle mefistofeliche multinazionali. Invece, la prima regione della storia governata dai Cinque stelle entra ufficialmente nella leggenda. Anche se, a onor del vero, negli undici mesi che hanno preceduto la decisione della corte d’appello di Cagliari, la presidente non ha lesinato sforzi per confermare le più cineree previsioni. Tanto che, in tempi meno sospetti, Panorama aveva dedicato alle imprese della sue epocale giunta ben tre articoli. Concludendo: la governatrice è «una magistrale sintesi tra capziosità, improvvisazione e trasformismo».Rieccoci qui, perciò. L’ultima prodezza è arrivata proprio mentre cominciavano a scorrere i titoli di coda: quasi 23 milioni distribuiti a comuni, enti, associazioni e parrocchie per benedire i devoti elettori. È la mitologica legge mancia, sempre attesa dai consigli regionali e puntualmente svillaneggiata dal Movimento. Prima di conquistare la malcapitata isola, s’intende. Qualche esempio su centinaia. Cinquantamila euro vanno alla fondazione Marsilio Ficino, proprietaria dell’ateneo online Unimarconi, come «contributo per la promozione universitaria» della sede di Cagliari. Il preside della facoltà di Giurisprudenza è nientemeno che l’illustrissimo Guido Alpa, mentore di Conte e membro nella commissione che avrebbe nominato il futuro premier ordinario di diritto privato. Coincidenze, ci mancherebbe. Che però gli ex grillini, altrove, denunciano indignati. Comunque sia, la lista dei contributi decisi dal consiglio regionale sardo è sterminata. Altri 150 mila euro sono destinati alla Farmacia politica. È l’associazione che ha promosso la proposta di legge contro l’omotransfobia, presentata in consiglio regionale dalla piddina Camilla Soru e sottoscritta da tutta la maggioranza. Il Festival della letteratura di viaggio, invece, beneficia di 200 mila euro. Del resto, vanta la direzione artistica della giornalista Virginia Saba, ex fidanzata di Luigi Di Maio, già capo del Movimento. Tra i premiati dell’ultima edizione, spicca il nome di un’altra leggenda pentastellata: Alessandro Di Battista, insignito «per una produzione teatrale e letteraria costantemente rivolta all’impegno civile».La doppiezza, comunque, s’era palesata già agli esordi. Todde, appena eletta, si affretta a sistemare i devoti con stipendi favolosi. Eppure, durante la scorsa legislatura, il Movimento denunciava l’indegno «poltronificio» del predecessore, Christian Solinas. Così Jacopo Gasparetti, già inseparabile portavoce mentre lei era vice ministro dello Sviluppo, viene nominato «consulente in comunicazione»: 123 mila euro all’anno. Allo stesso modico compenso, sono assoldati altri otto «esperti»: da Stefano Ferreli, ex collaboratore parlamentare, a Diego Corrias, militante pentastellato ad Assemini. A Luca Caschili, ex candidato alle suppletive di Cagliari nel 2019 va qualcosina di più: 153 mila euro. Mentre Annalisa Canova, ex portaborse alla Camera e al Senato, diventa la segretaria particolare della presidente. L’indiscusso «pezzo da novanta» è però Saverio Lo Russo, già dirigente di Palazzo Chigi in epoca giuseppina, chiamato come nuovo segretario generale. Il suo talento viene sancito dal superbo stipendio: 243.443 euro l’anno, più del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Viene segnalato da Giuseppi in persona, ricostruiscono informati retroscena, per trasformare la Sardegna in un inarrivabile laboratorio politico. Dopo appena
Lancinante dilemma scespiriano: decadrà o non decadrà? Alessandra Todde, insomma, rimarrà governatrice della Sardegna oppure no? Nell’attesa di ricorsi e controricorsi, il collegio elettorale di garanzia l’ha sollevata dall’incombenza. Undici mesi posson bastare. Si rivada alle urne, per carità. Fatali furono gli avvilenti errori di rendicontazione durante la trionfale campagna dell’anno scorso. Si vedrà, comunque. Magari la presidente riuscirà a vivacchiare. Ma poco importa, ormai. L’inciampo sancisce la fine politica della più sgangherata e velleitaria giunta di sempre. Il teorema dell’incompetenza diventa norma bollinata. Non solo reddito di cittadinanza e superbonus. Serviva il definitivo suggello: ignorare regolamenti noti persino a uno svogliato consigliere di circoscrizione. Paolo Truzzu, capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio regionale sardo, condensa il diffuso assillo: «Chi non conosce e non sa interpretare norme così semplici, come può essere credibile quando propone, per esempio, la riforma della sanità? Ma non c’è da stupirsi, purtroppo: in questi mesi la giunta ha dimostrato un pressapochismo mai visto».
«Tanto l’aria s’adda cagnaaa...» cantava Giuseppe Conte dopo la vittoria dello scorso febbraio, strimpellando Pino Daniele. Anche stavolta, invece, non si sente certo il frescolino del Gennargentu. Il leader del Movimento ce l’ha messa tutta per cacciare il fondatore, Beppe Grillo. Ora sperava in un luminoso avvenire, simboleggiato dalla sua protetta, l’implacabile Todde: vessillifera della lotta all’autonomia, paladina degli oppressi, nemica delle mefistofeliche multinazionali. Invece, la prima regione della storia governata dai Cinque stelle entra ufficialmente nella leggenda. Anche se, a onor del vero, negli undici mesi che hanno preceduto la decisione della corte d’appello di Cagliari, la presidente non ha lesinato sforzi per confermare le più cineree previsioni. Tanto che, in tempi meno sospetti, Panorama aveva dedicato alle imprese della sue epocale giunta ben tre articoli. Concludendo: la governatrice è «una magistrale sintesi tra capziosità, improvvisazione e trasformismo».
Rieccoci qui, perciò. L’ultima prodezza è arrivata proprio mentre cominciavano a scorrere i titoli di coda: quasi 23 milioni distribuiti a comuni, enti, associazioni e parrocchie per benedire i devoti elettori. È la mitologica legge mancia, sempre attesa dai consigli regionali e puntualmente svillaneggiata dal Movimento. Prima di conquistare la malcapitata isola, s’intende. Qualche esempio su centinaia. Cinquantamila euro vanno alla fondazione Marsilio Ficino, proprietaria dell’ateneo online Unimarconi, come «contributo per la promozione universitaria» della sede di Cagliari. Il preside della facoltà di Giurisprudenza è nientemeno che l’illustrissimo Guido Alpa, mentore di Conte e membro nella commissione che avrebbe nominato il futuro premier ordinario di diritto privato. Coincidenze, ci mancherebbe. Che però gli ex grillini, altrove, denunciano indignati. Comunque sia, la lista dei contributi decisi dal consiglio regionale sardo è sterminata. Altri 150 mila euro sono destinati alla Farmacia politica. È l’associazione che ha promosso la proposta di legge contro l’omotransfobia, presentata in consiglio regionale dalla piddina Camilla Soru e sottoscritta da tutta la maggioranza.
Il Festival della letteratura di viaggio, invece, beneficia di 200 mila euro. Del resto, vanta la direzione artistica della giornalista Virginia Saba, ex fidanzata di Luigi Di Maio, già capo del Movimento. Tra i premiati dell’ultima edizione, spicca il nome di un’altra leggenda pentastellata: Alessandro Di Battista, insignito «per una produzione teatrale e letteraria costantemente rivolta all’impegno civile».
La doppiezza, comunque, s’era palesata già agli esordi. Todde, appena eletta, si affretta a sistemare i devoti con stipendi favolosi. Eppure, durante la scorsa legislatura, il Movimento denunciava l’indegno «poltronificio» del predecessore, Christian Solinas. Così Jacopo Gasparetti, già inseparabile portavoce mentre lei era vice ministro dello Sviluppo, viene nominato «consulente in comunicazione»: 123 mila euro all’anno. Allo stesso modico compenso, sono assoldati altri otto «esperti»: da Stefano Ferreli, ex collaboratore parlamentare, a Diego Corrias, militante pentastellato ad Assemini. A Luca Caschili, ex candidato alle suppletive di Cagliari nel 2019 va qualcosina di più: 153 mila euro. Mentre Annalisa Canova, ex portaborse alla Camera e al Senato, diventa la segretaria particolare della presidente.
L’indiscusso «pezzo da novanta» è però Saverio Lo Russo, già dirigente di Palazzo Chigi in epoca giuseppina, chiamato come nuovo segretario generale. Il suo talento viene sancito dal superbo stipendio: 243.443 euro l’anno, più del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Viene segnalato da Giuseppi in persona, ricostruiscono informati retroscena, per trasformare la Sardegna in un inarrivabile laboratorio politico. Dopo appena sette mesi, Lo Russo decide però di tornare a Roma.
Resta in campo, invece, un altro bomber arrivato dal continente: l’assessore alla Sanità, Armando Bartolazzi, pure lui riservista di Giuseppi, già nel fantagoverno grillino del 2018 come ipotetico ministro della Sanità. Appena insediato, si paragona a Gigi Riva, mutuando per sé il soprannome del bomber cagliaritano: «Rombo di tuono». Ma il suo purissimo talento, purtroppo, non è compreso neanche dalla maggioranza, che mal sopporta giocate strampalate ed estenuante melina.
Nello squadrone pentastellato, invece, non smette di brillare la fumantina stella di Desirè Manca, portavoce regionale del Movimento e assessora del Lavoro. Nella scorsa legislatura, da consigliera regionale di opposizione, si sgolava contro gli avversari, congeniti poltronisti. Un mese fa, dopo lancinanti tormenti interiori, decide però anche lei di dare un’opportunità ai conoscenti più sfortunati. Assolda quindi come consulente Mariassunta Matrisciano, ex senatrice del Movimento ricandidata senza fortuna nella scorsa tornata, già addetta alle risorse umane in un’azienda produttrice di fresatrici. E «Susy», trafitta dall’amore per l’isola, decide di lasciare la sua Alessandria e trasferirsi nel Cagliaritano.
Il capitombolo di Todde, invece, pare abbia fatto disaffezionare Giuseppi. Del resto, c’è da capirlo: lui, sovrano degli azzeccagarbugli, trafitto dai regolamenti, seppur indirettamente. Lo sfondone non rischia di affondare solo la governatrice, ma pure il partito in affanno. La Sardegna doveva esemplificare il successo del campo largo a trazione pentastellata. Ora è l’imbarazzante precedente di cui sarà impossibile disfarsi. Mentre Giuseppi continua a tacere, Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano e nume del Movimento, affonda: «Una prova di dilettantismo, pressappochismo e cialtroneria così sconfortante da imporre le scuse della presidente». Lei se ne guarda bene, invece. A dispetto, tra l’altro, delle balle raccontate: in tv giurava di essersi pagata da sé tutta la campagna elettorale, mentre al collegio di garanzia dichiara sul suo onore di non aver sostenuto spese.
La regina dei Nuraghi, con la benedizione di Conte, sognava in grandissimo. Adesso le sue spocchiose lezioncine a governo e colleghi sembrano burlette. Come la battaglia contro l’autonomia differenziata, con il ricorso alla Consulta. O quella contro le rinnovabili, da sempre salvifiche per i pentastellati. Altrove, però. In Sardegna, dove sono avversatissime dagli abitanti, vengono bandite. «Non diventeremo una colonia delle multinazionali!», annuncia la governatrice, appena eletta. Segue la moratoria di 18 mesi per impianti eolici e solari. Fino alla legge che impedisce ogni investimento nel 99 per cento del territorio.
Una capriola dileggiata perfino da Beppe Grillo, il profeta deposto: «Finalmente un po’ di verità su questo ambientalismo da strapazzo: e basta con il vento, il sole, il fotovoltaico! Abbiamo capito finalmente che ci vuole il carbone, anche un po’ zolforato come quello del Sulcis!». La permalosissima presidente ribatte: «Il Movimento deve potersi evolvere». Per poi affondare il colpo dopo l’estromissione del garante, che ora prepara vendetta: «A me di Grillo non interessa nulla». Peggio: «Ricorda quei personaggi dei cartoni animati che, in caso di sconfitta, urlano al complotto e bucano il pallone». Prenda esempio da lei, piuttosto. Incurante del fischio finale, continua a giocare. Pronta a spedire quella palla bucata in tribuna. n
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