Quel curioso Link tra Mediaset e LinkedIn

Link, la testata curata dal marketing strategico di Mediaset – RTI dedica a LinkedIn un articolo ricolmo di belle parole. Si tratta del modello B2B applicato al mondo dei media? L'irriverente letterina di Claudio Trezzano

Gen 26, 2025 - 16:29
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Quel curioso Link tra Mediaset e LinkedIn

Link, la testata curata dal marketing strategico di Mediaset Rti dedica a LinkedIn un articolo ricolmo di belle parole. Si tratta del modello B2B applicato al mondo dei media? La lettera di Claudio Trezzano

Caro direttore,

non mi è sfuggito il tuo sfotticchiare LinkedIn. Lo ritieni un social poco utile, ammettilo. Ma del resto nasce per mettere in contatto la domanda con l’offerta nel mondo del lavoro, non per fare miracoli. E ambedue sappiamo che ci vorrebbe un miracolo per fare aprire realmente il mercato giornalistico, dato che nelle redazioni si entra per cooptazione.

C’è invece chi lo sostiene – non sono tra quelli: non mi ci sono nemmeno mai iscritto, a che pro, appunto? -, come ho scoperto grazie alla newsletter Good Morning Italia. Sono infatti inciampato su un magazine che non conoscevo: Link. La url completa, che si rifà forse a una precedente denominazione è: linkideeperlatv.it. La grafica è pulita e graziosa, lo stile sembra strizzare l’occhio alle riviste culturali che si incanalano nel filone del New Yorker, quelle che mentre le sfogli ti senti sempre un pochino a disagio, come se in cuor tuo sapessi che sarebbe meglio tornare a tenere in mano la Gazzetta o Quattroruote.

Ma non tergiverso oltre. Ho letto con avidità l’articolo di Link perché mi ha fatto riflettere su alcuni pregi di LinkedIn sui quali – non bazzicandolo – non mi ci ero mai soffermato: “Mentre i ritmi accelerati di TikTok – si legge – costringono le piattaforme a evolversi da “network” a “media”, sacrificando le interazioni tra utenti, c’è un social che resiste, continuando a offrirsi come spazio di connessione. È LinkedIn, ultimo baluardo di un’antica forma di socialità digitale”, la tesi che anima il pezzo.

Un pezzo – voglio chiarirlo subito – che non lesina critiche a quella piazza virtuale. Anzi, per la verità più ai suoi frequentatori abituali: “LinkedIn è da sempre il regno di sedicenti guru del marketing, di startuppari esaltati, di presunti life coach che magnificano le virtù del duro lavoro e di responsabili delle risorse umane che si avventano contro chiunque non sia disposto a sacrificare tutto sull’altare della carriera”.

Eppure, l’autore dell’articolo ritiene che proprio LinkedIn potrebbe ancora incarnare quel social network 1.0 che solo chi ha vissuto la prima fase di queste piattaforme (da MySpace in poi) può comprendere “ovvero una piattaforma impiegata principalmente per condividere opinioni, idee e contenuti di ogni tipo – commentando, discutendo, litigando, ecc. ecc. – con la propria cerchia di contatti”.

Ripeto: non sono un esperto conoscitore della materia, ma per quel poco che so di LinkedIn, per quel poco che ho letto e visto commentare, non mi pare sia davvero la piazza adatta a restituire, nel 2025, un posto in cui dibattere, magari come i forum di fine anni ’90. Mi pare che, pur con tutti i limiti delle piattaforme, si sia forse più genuini su Facebook e su X, dove ci si salta immediatamente e reciprocamente alla giugulare senza alcun contegno di sorta, mentre la piattaforma lanciata da Reid Hoffman esige comunque un dress code “Business Smart”, come si dice a Milano quando ti invitano da qualche parte e vogliono accertarsi che uno non arrivi in jeans e t-shirt, non fosse altro che uno si iscrive a LinkedIn per scambiare biglietti da visita, non per lasciarsi coinvolgere in triviali discussioni sul calcio, sull’immigrazione o sui diritti civili.

Eppure secondo l’articolo pubblicato su Link la piattaforma che Microsoft ha acquistato per oltre 26 miliardi di dollari sarebbe persino “il social che non ti aspetti”. “Contro ogni previsione, e consapevole delle alzate di sopracciglio che questa affermazione potrebbe suscitare, ho scoperto che spesso il posto migliore per l’utilizzo che prediligo dei social (quando riesco a staccarmi dai video di cani su Instagram) è LinkedIn”, si legge.

Anche se poi, immediatamente dopo, si ammette: “LinkedIn non è mai stato davvero “social”. O meglio, come si legge su Slate, “LinkedIn è sempre stato un social network nel modo in cui un aperitivo di lavoro è tecnicamente un evento sociale. LinkedIn permette di connettersi con le persone che si conoscono, o si vogliono conoscere, professionalmente. Ma è anche una bacheca che permette a chi è in cerca di lavoro di farlo sapere ai reclutatori e che fornisce a quest’ultimi degli strumenti per trovare i candidati. Oltre a vendere spazi pubblicitari, come fa la maggior parte dei social, offre da tempo un abbonamento a pagamento chiamato LinkedIn Premium, che permette agli utenti paganti di scrutare discretamente nei profili altrui, di inviare messaggi a chiunque e di ottenere accesso privilegiato agli strumenti di ricerca lavoro o di headhunting”.

Non so, direttore, sono più confuso di prima. Ma c’è una cosa che mi rende ancora meno nitide le idee che ho in testa ed è quanto segue. Sono infatti andato a spulciare in quello che un tempo si sarebbe chiamato colophon per capire chi ci fosse dietro la testata e ho scoperto che Link è “Curato dal marketing strategico di Mediaset – RTI”. Motivo per il quale scorrendo la pagina fino al footer in calce si legge “Copyright © RTI S.p.A. Interactive Media”. E motivo per il quale, immagino, alla voce ‘Pubblicazioni’ escano tomi dal titolo: “Mediaset e il cinema italiano”.

Ora, direttore, poniamoci nei panni di un lettore meno malizioso di noi due: dici che coglierebbe il nesso che quell’articolo madido di elogi per LinkedIn immancabilmente può creare tra il Biscione e il social nelle mani di Microsoft? Social che – sempre lo stesso articolo si cura di sottolineare – “è diventato sempre più rilevante: nel 2023, ha generato 15 miliardi di dollari di fatturato, ha superato un miliardo di iscritti e soprattutto ha visto un incremento del numero di post del 41% tra il 2021 e il 2023.”

Frasi da comunicato stampa che però non figurano appunto in una nota diramata da LinkedIn Italia, in un publiredazionale e neppure in un branded content su organi di stampa tradizionali. No. Tutto avviene sulla rivista curata dal ramo marketing di Mediaset. Da impresa a impresa. Una carezza che da RTI viene rivolta a LinkedIn e, perciò, a Microsoft. Deve essere il famoso modello B2B applicato al giornalismo. Mi chiedo in tutto ciò dove finisca – e quanto sia realmente informato – il consumer, ovvero il consumatore. O, per dirla con un termine preistorico, il lettore. Perché queste connessioni fanno sorgere qualche dubbio sulla portata informativa di ciò che si legge in Rete. E dunque sulla loro genuinità.

Non sono affascinanti tutti questi nuovi link, direttore?

Un linkatissimo

Claudio Trezzano