Non abbandoniamo Goma

L’occupazione di Goma, città capoluogo della provincia del Nord Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo, sembra segnare la tomba definitiva del diritto internazionale. Iniziata nella notte del 26 gennaio scorso da parte delle milizie terroristiche M23, Afc (Alliance du Fleuve Congo) e delle forze armate ruandesi, ad oggi rappresenta il momento apicale del conflitto […]

Feb 7, 2025 - 10:14
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Non abbandoniamo Goma

L’occupazione di Goma, città capoluogo della provincia del Nord Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo, sembra segnare la tomba definitiva del diritto internazionale. Iniziata nella notte del 26 gennaio scorso da parte delle milizie terroristiche M23, Afc (Alliance du Fleuve Congo) e delle forze armate ruandesi, ad oggi rappresenta il momento apicale del conflitto che dal 1996, e con 10 milioni di vittime, insanguina il territorio più ricco del pianeta in termini di risorse del sottosuolo. 

In tanti Paesi la società civile ha lanciato allarmi e appelli. Come quello della rete Insieme per la Pace in Congo: secondo il portavoce John Mpaliza, «oltre agli innumerevoli crimini di guerra perpetrati negli ultimi 30 anni, l’occupazione di Goma è una vera e propria invasione del territorio congolese da parte del Ruanda in evidente violazione delle norme internazionali, quindi da condannare come quella della Russia in Ucraina». Da qui la richiesta alla comunità internazionale di «non usare due pesi e due misure». 

Derubricato per anni come conflitto etnico, quello congolese oramai è riconosciuto apertamente come guerra in cui sono coinvolti diversi Paesi, africani e non. Gli eccidi, le violenze efferate e la conquista da marzo 2022, una dopo l’altra, delle città della provincia, sono continuati indisturbati nonostante le decine di rapporti delle Nazioni Unite finiti chiusi in un cassetto, primo tra tutti il Rapporto Mapping del 2010. Rapporti che hanno tutti rilevato il palese sostegno del Ruanda all’M23 e altre milizie, utilizzate per controllare i giacimenti minerari del Congo orientale. 

Il Nord Kivu, infatti, conta centinaia di siti estrattivi di minerali preziosi, tutti presidiati da milizie armate, come ha dimostrato nel 2023 il report dell’Istituto di Ricerca Indipendente Ipis. Oro, diamanti, coltan, rame, cassiterite, wolframite fanno gola a tutto il mondo e il Ruanda ne sarebbe il fortunato esportatore grazie ad accordi con diversi Paesi occidentali come Stati Uniti, Canada, Israele, Francia, Gran Bretagna, Unione europea. 

John Mpaliza spiega: «Da tempo il governo di Kinshasa non controlla più la provincia, che con la conquista militare di Goma è definitivamente capitolata ed è nelle mani del Ruanda, precipitando in una vera e propria catastrofe umanitaria. Questo significa che se la comunità internazionale non interviene, l’occupazione potrebbe diventare permanente, trasformarsi in una vera e propria annessione al Ruanda e sarebbe l’inizio della balcanizzazione del Congo. In un suo recente comunicato, Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace 2018 che ha curato e salvato migliaia di donne vittime di stupri nell’est del Congo, ha dichiarato che da tempo l’M23 ha creato in Nord Kivu un’amministrazione parallela, uno stato dentro un altro stato». 

Dunque un intervento internazionale è più che mai urgente. Papa Francesco, che appena due anni fa iniziava proprio a Kinshasa il suo viaggio apostolico africano, ha invocato la pace in Congo durante l’Udienza generale dello scorso 29 gennaio. Così come il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres lo scorso 24 gennaio ha fermamente condannato la nuova offensiva delle milizie M23, riconoscendo apertamente la mano del Ruanda dietro l’operazione. 

Eppure la gravità della situazione era sotto gli occhi dell’Onu sin dal 1999, quando le Nazioni Unite avevano inviato la Monuc, sostituita poi nel 2010 dalla Monusco. Ben 18.000 caschi blu per anni hanno avuto la funzione di “osservatori” in Nord Kivu, fino a quando nel 2024 la missione è stata ritirata per implicito ma evidente fallimento. I soldati infatti venivano duramente contestati dalle popolazioni locali, additati come violentatori e trafficanti di armi e minerali. Ne seguivano frequenti proteste che sfociavano spesso in assalti alle basi ONU. Tre anni fa successe anche che nell’attraversare la frontiera con l’Uganda, alcuni caschi blu spararono ad altezza uomo, si ipotizza per eludere i controlli doganali al loro mezzo blindato. 

Inoltre, la periferia di Goma è lo stesso luogo in cui persero la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo durante un agguato proprio al convoglio del Programma Alimentare Mondiale Onu di cui la loro auto faceva parte e che, incredibilmente, blindato non era. Il 22 febbraio prossimo ricorreranno quattro anni da quella tragedia la cui vicenda giudiziaria è  naufragata di fronte all’immunità diplomatica opposta dal Pam. «Dov’è la giustizia internazionale?», si chiede Mpaliza. «Perché esiste un Tribunale penale internazionale per il Ruanda in cui si processano i colpevoli del genocidio del ‘94 e non è stato mai arrestato, tantomeno identificato, nemmeno un colpevole per crimini di guerra in Nord Kivu in tutti questi anni? Come fa a sfuggire il fatto che l’80% del coltan mondiale arrivi proprio dalla provincia del Nord-Kivu e che a venderlo sia il Ruanda che ha accordi militari e commerciali con molti Paesi occidentali? Un rapporto del 2023 dell’agenzia Ecofin ha rilevato che il Ruanda dal 2013 è stato 5 volte primo esportatore di coltan, pur non avendone nel proprio sottosuolo». 

Un punto chiave per scardinare il traffico illecito dei minerali insanguinati provenienti dal Nord Kivu, secondo Mpaliza, è mettere a punto un sistema efficace di tracciabilità degli stessi. «Il regolamento Ue 17/821 che stabiliva obblighi di tracciabilità per i minerali provenienti da Paesi in guerra, entrato in vigore il primo gennaio 2021, dopo 4 anni non è stato fatto applicare», spiega il portavoce della rete Insieme per la Pace in Congo. «L’Unione europea preferito invece firmare il 19 febbraio 2024 un accordo scandaloso con il Ruanda per l’approvvigionamento di materie prime, incentivando di fatto il traffico illecito dei minerali saccheggiati in Nord Kivu. Noi chiediamo che venga cancellato e stabilita una nuova norma di tracciabilità trasparente ed efficace». 

Mpaliza conclude: «Bisogna aggiungere che purtroppo già nel 2021 anche lo stesso presidente congolese Felix Tshisekedi ha fatto accordi economici segreti, mai rivelati, con il presidente ruandese Paul Kagame. A Kinshasa non abbiamo una leadership legittima, preparata, integra. Nel frattempo il conflitto è in continua evoluzione e l’esercito congolese, appoggiato dai Wazalendo (“Patrioti” in swahili) vede già schierate dalla loro parte il Burundi e la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa del Sud (Sadc). Chiediamo quindi alla comunità internazionale di smettere di osservare, sanzionare concretamente il regime di Kigali ed intervenire prima che sia tardi».