La violenza economica diventa finalmente reato

Il 13 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha dato vita a una svolta nel riconoscimento della violenza economica come forma di maltrattamento. È stata infatti confermata la condanna di un uomo che, per un periodo di circa vent’anni (dal 2000 al 2019), ha sottoposto la moglie a comportamenti vessatori al fine di impedirle di […] The post La violenza economica diventa finalmente reato appeared first on The Wom.

Feb 6, 2025 - 07:56
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La violenza economica diventa finalmente reato
Con la sentenza n. 1268 del 2025, la Corte di Cassazione ha finalmente individuato la violenza economica come forma specifica di reato. In particolare, la Corte ha stabilito che impedire alla partner di raggiungere l’indipendenza economica, attraverso comportamenti vessatori e decisioni unilaterali non condivise, provoca nella vittima uno stato di prostrazione psico-fisica

Il 13 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha dato vita a una svolta nel riconoscimento della violenza economica come forma di maltrattamento. È stata infatti confermata la condanna di un uomo che, per un periodo di circa vent’anni (dal 2000 al 2019), ha sottoposto la moglie a comportamenti vessatori al fine di impedirle di raggiungere l’indipendenza economica, come il divieto di trovare un’occupazione, di intraprendere percorsi formativi e tanto altro. In aggiunta, l’uomo si serviva del lavoro della moglie come contabile senza corrisponderle alcuna retribuzione. Quando, dopo molto tempo, la stessa trovò un impiego retribuito, il marito la ostacolò tramite forti pressioni al fine di farla licenziare.

Dinanzi a questo caso, la Corte ha finalmente stabilito che tali atteggiamenti integrano il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi previsto dall’articolo 572 del Codice Penale, sottolineando che:

la violenza economica può manifestarsi attraverso il controllo delle risorse finanziarie e la limitazione dell’autonomia economica della vittima

Un dominio mascherato da premura

La violenza di genere in Italia passa infatti molto spesso anche attraverso quella economica, che si afferma come una forma di abuso silenziosa, spesso celata dietro gesti di premura. Accade di frequente che un uomo persuada la propria compagna a non proseguire gli studi, a rinunciare a un’occupazione o a una qualsiasi forma di indipendenza economica, facendole credere che provvederà lui a tutto, e che lo farà per amore. La violenza economica si presenta molto spesso anche tramite una serie di situazioni specifiche che limitano l’accesso di una persona alle risorse economiche che le appartengono o che la privano della libertà finanziaria, come impedire l’accesso al denaro o gestire il reddito familiare in modo coercitivo.

Nella realtà dei fatti, quindi, si tratta solo di un’ennesima modalità di controllo.

I numeri in Italia

Un report del 2024 di D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza) indica che almeno una donna su tre subisce violenza economica.

Inoltre, secondo l’indagine Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica realizzata da WeWorld Onlus in collaborazione con Ipsos, il 49% delle donne interpellate ha dichiarato di aver subìto almeno un episodio di violenza economica nella propria vita. Tra le donne separate o divorziate, la percentuale sale addirittura al 67%. Ma perché in Italia questo fenomeno si presenta così di frequente?

I dati drammatici della “questione femminile”

Oltre all’onnipresenza del divario salariale tra uomini e donne e una ritrosia culturale diffusa riguardo al parlare di denaro, l’Italia sconta problemi culturali e sociali molto importanti.

In primo luogo, nel nostro paese, esiste ancora il cosiddetto Welfare State Mediterraneo, ossia, un modello di welfare che si differenzia da altri modelli europei per alcune peculiarità, come la centralità della famiglia e l’affidamento delle responsabilità di cura alle donne. Tale sistema ha forti implicazioni nelle questioni della violenza economica e della disoccupazione femminile, poiché le politiche di welfare in Italia, pur essendo migliorate negli ultimi decenni, non sono ancora sufficientemente strutturate per rispondere pienamente alle esigenze di parità di genere.

Secondo i dati recenti, la disoccupazione femminile in Italia ha mostrato segnali di miglioramento nel 2024, con il tasso di disoccupazione femminile che è sceso all’8,2%.

Tuttavia, secondo l’indagine Inapp Plus, il 16% delle donne smette di lavorare dopo la maternità, contro il 2,8% degli uomini. Inoltre, i congedi parentali sono richiesti per l’80% da donne ed essendo a parziale copertura della retribuzione, determinano un gender pay gap di circa 5.000 euro.

Inoltre, nonostante i timidi progressi avvenuti in questi anni, l’Italia rimane tra gli ultimi paesi europei per quanto riguarda l’occupazione femminile, con un tasso di occupazione che si attesta al 53%, inferiore alla media europea e con una condizione ancora più drammatica nel Sud Italia.

L’educazione finanziaria come soluzione salvifica

L’educazione finanziaria è l’insieme delle conoscenze e competenze necessarie per gestire consapevolmente le proprie risorse economiche, pianificare il futuro finanziario e prendere decisioni informate su risparmi, investimenti, previdenza e indipendenza economica. Diversi studi hanno evidenziato che alle bambine e alle ragazze non viene dato un insegnamento adeguato su come gestire il denaro, il che può avere effetti a lungo termine sulla loro autonomia economica e sulla loro capacità di prendere decisioni finanziarie. Questo fenomeno si inserisce in un contesto più ampio di disuguaglianze di genere in campo economico, e il mancato insegnamento della gestione finanziaria è una delle radici del divario economico tra uomini e donne.

Per questo l’educazione finanziaria risulta così centrale: si tratta di un ambito che, oltre alle basi dell’economia personale e degli investimenti, affronta anche le specifiche sfide che le donne incontrano, come il gender pay gap, la minore partecipazione alla gestione finanziaria familiare e una maggiore aspettativa di vita (che rende cruciale la pianificazione per la vecchiaia).

Speriamo che nella scuola del futuro ci sia spazio anche per questo.

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