Il Conte di Montecristo è la più inaspettata tra le serie che ti aspetteresti dalla Rai
ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS della serie tv Il Conte di Montecristo. Alexandre Dumas con Il Conte di Montecristo ha inventato il revenge thriller. Onore, passione, dovere, tradimento, un temibile avversario e un protagonista che si trasforma in vendicatore. Ecco alcuni degli elementi più evidenti che contraddistinguono questo sottogenere del thriller, idealmente suddiviso in tre sezioni… Leggi di più »Il Conte di Montecristo è la più inaspettata tra le serie che ti aspetteresti dalla Rai The post Il Conte di Montecristo è la più inaspettata tra le serie che ti aspetteresti dalla Rai appeared first on Hall of Series.
ATTENZIONE! L’articolo contiene SPOILERS della serie tv Il Conte di Montecristo.
Alexandre Dumas con Il Conte di Montecristo ha inventato il revenge thriller. Onore, passione, dovere, tradimento, un temibile avversario e un protagonista che si trasforma in vendicatore. Ecco alcuni degli elementi più evidenti che contraddistinguono questo sottogenere del thriller, idealmente suddiviso in tre sezioni narrative collegate tra loro da relazioni di causa-effetto. Il protagonista si trova in una situazione iniziale, idilliaca magari, dalla quale viene brutalmente strappato per precipitare in una condizione negativa o persino aberrante. Da qui, il suo cammino si tinge di rosso senza alcuna pretesa di ristabilire la situazione iniziale. La sua motivazione, infatti, è solo ed esclusivamente la vendetta. Nel suo viaggio distruttivo e autodistruttivo insieme, il protagonista diventa vendicatore, muovendosi in una zona di grigio morale.
Al centro del romanzo troviamo Edmond Dantès, un uomo che attraversa l’abisso dell’ingiustizia per rinascere dalle proprie ceneri, trasformandosi nel leggendario Conte di Montecristo.
Edmond Dantès subisce un’ingiustizia atroce quando viene incarcerato senza processo a causa della gelosia e dell’ambizione di coloro che lo circondano. La sua trasformazione nel Conte di Montecristo è il mezzo attraverso il quale cerca di riequilibrare i torti subiti. Ma la sua idea di giustizia è distorta dalla vendetta: non è l’imparzialità della legge, bensì una punizione dal sapore biblico. Dumas ci presenta una vendetta perfettamente calcolata, quasi un’arte macabra, in cui ogni colpo inferto è misurato e metodico. Ma man mano che Montecristo si avvicina al compimento della sua missione, il lettore avverte una crescente inquietudine: può un uomo che si erge a giudice e carnefice trovare la pace? In questa riflessione risiede la modernità del romanzo, che interroga il nostro stesso senso di giustizia e il sottile confine tra il diritto alla rivalsa e la condanna all’odio eterno.
Edmond Dantès non è solo un uomo che cerca vendetta, ma anche un’anima che evolve.
La prima parte del romanzo è dominata dall’oscurità della prigione e dall’odio che lo trasforma in Montecristo, la seconda è un progressivo cammino verso la consapevolezza. Uno dei momenti più toccanti della sua trasformazione avviene proprio quando si rende conto che il suo desiderio di punire i colpevoli ha avuto ripercussioni anche sugli innocenti. È in quel momento che il personaggio si spoglia del suo ruolo di giustiziere per tornare a essere solo Edmond Dantès, un uomo alla ricerca di pace e amore.
Se la vendetta è il fuoco che brucia il cuore di Montecristo, l’amore e la speranza sono le acque che lo spengono. Non è un caso che il romanzo si chiuda con la possibilità di una nuova vita per il protagonista, finalmente in grado di lasciarsi il passato alle spalle. Il messaggio finale del libro è chiaro: il dolore e l’ingiustizia possono schiacciare un uomo, ma la speranza lo può ricostruire.
Dal 1844, anno di pubblicazione del romanzo, si sono susseguiti ben quattordici adattamenti cinematografici del Conte di Montecristo.
Per non parlare poi delle tantissime produzioni televisive, di cui quella su Raiplay (insieme ad altre novità) non è che l’esempio più recente. Diretta da Bill August e scritta a quattro mani da Greg Latter e Sandro Petraglia, la produzione italo francese vanta un cast internazionale di altissimo livello. Tra questi spiccano Jeremy Irons nel ruolo del mentore, l’abate Faria, e Sam Claflin (in merito) in quelli del protagonista che dà il nome al titolo. Il talento c’è e si vede, anche se non mancano momenti che fanno storcere il naso che ci riportano alla brusca realtà della produzione di matrice Rai.
Errori, soprattutto di montaggio, sono evidenti già nel primo episodio (qui la nostra recensione), dove le scene e i dialoghi si inseriscono una dopo l’altro senza un ordine preciso. Il Conte di Montecristo si presenta come una miniserie classica, che inciampa in certi momenti, per poi riprendere il suo cammino regolare. Non aspettatevi i guizzi di M-Il figlio del secolo (qui la nostra recensione), né tantomeno la complessità narrativa ed estetica di quello specifico prodotto seriale. Siamo ben lontani, anche per evidenti disparità di investimento economico. Laddove M-Il figlio del secolo può permettersi di osare perché, con tutta probabilità, ha un bel paio di spalle larghe su cui appoggiarsi, di certo la produzione di Il Conte di Montecristo si è mantenuta più modesta.
Eppure la serie tv fa della semplicità, la sua arma vincente.
La miniserie su Raiplay si apre con un flashforward. Un uomo si confessa e nel silenzio della Chiesa giura solennemente di vendicarsi. C’è una gravità in quelle poche parole, con le quali Montecristo sancisce il suo destino e quello delle altre persone coinvolte. Edmond Dantès inizia la sua storia come un giovane onesto, pieno di speranze, innamorato e fiducioso nella vita. Crede nella giustizia, nell’amicizia, nell’amore sincero. Questa purezza, però, lo rende vulnerabile: è cieco di fronte all’invidia, ignaro delle macchinazioni degli uomini che gli sono accanto, incapace di concepire la malizia che lo circonda.
Già prima del tradimento viene coinvolto in un piano più grande di lui, senza che ne abbia piena consapevolezza. Il suo buon nome viene associato a intrighi politici che non lo interessano affatto. Sam Claflin è bravissimo nel raccontare l’evoluzione interiore del suo personaggio. Un’evoluzione che si riflette d’altronde anche all’esterno, a livello fisico. Edmond appare per la prima volta sullo schermo come un uomo semplice, vestito in maniera modesta. La prigione lo annienta, il tempo lo disumanizza. Rimane per anni solo con la sua sofferenza, fino a quando l’incontro con l’abate Faria diventa la sua ancora di salvezza. Faria non gli dà solo conoscenze e ricchezza, lo trasforma mentalmente. Gli insegna a pensare in modo strategico, a coltivare la pazienza, a vedere il mondo con occhi nuovi.
Se il giovane marinaio Dantès era un ragazzo sincero, impetuoso e spontaneo, l’uomo che evade dal Castello d’If è completamente diverso: più freddo, più calcolatore, più determinato. È qui che nasce il seme della sua vendetta e della sua metamorfosi definitiva nel Conte di Montecristo.
Montecristo è ricchissimo, enigmatico, raffinato, quasi sovrumano nella sua intelligenza e nel suo autocontrollo. È un uomo che sembra conoscere il destino di chiunque incontri, capace di influenzare il corso degli eventi con una precisione quasi divina. E anche stavolta la miniserie associa a una trasformazione dell’anima anche una trasformazione esteriore. Edmond è diverso nei modi, negli atteggiamenti, persino nel linguaggio e nelle pose. Il suo look è raffinato, studiato secondo la moda del tempo.
C’è tuttavia un prezzo da pagare. Più Dantès si immerge nel ruolo del Conte di Montecristo, infatti, più si allontana da ciò che era un tempo. Se prima provava emozioni genuine, ora è dominato da un sentimento oscuro che lo rende quasi insensibile. La vendetta lo trasforma in un burattinaio onnipotente, ma anche in un uomo incapace di provare autentica felicità. Montecristo diventa una creatura del passato, legata in modo ossessivo al torto subito, incapace di vivere nel presente. Anche l’amore, che un tempo era tutto per lui (quello per Mercédès), viene soffocato dalla sete di giustizia. Abbiamo già scritto in una bella recensione al settimo e ottavo episodio, come Edmond diventi il villain di sé stesso. E lo diventa in quel fatidico momento quando, ancora nelle prigioni, non affida il destino dei suoi avversari alla volontà di Dio ma alla sua.
Una bella serie Rai, dunque, quella del Conte di Montecristo. Non convince appieno, a causa soprattutto di una frettolosità che si percepisce nel finale, ma rimane uno dei migliori esperimenti degli ultimi anni. Il futuro è luminoso.
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