Dazi: Trump vuole dividere Ue | Lo scenario
Il punto non è se, ma quando. E soprattutto come reagire. La Commissione Europea è convinta che i dazi di Donald Trump colpiranno anche l’Europa. Anche ieri Ursula von der Leyen ha lasciato le porte aperte ai negoziati per trovare una soluzione senza arrivare allo scontro. Ma a Bruxelles, in tanti si aspettano un copione […] L'articolo Dazi: Trump vuole dividere Ue | Lo scenario proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.
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Il punto non è se, ma quando. E soprattutto come reagire. La Commissione Europea è convinta che i dazi di Donald Trump colpiranno anche l’Europa.
Anche ieri Ursula von der Leyen ha lasciato le porte aperte ai negoziati per trovare una soluzione senza arrivare allo scontro.
Ma a Bruxelles, in tanti si aspettano un copione identico a Canada e Messico: prima l’ordine esecutivo per annunciare le tariffe e poi la sospensione in cambio di concessioni.
“Siamo pronti a negoziati difficili”, è il messaggio della presidente della Commissione. “Ma è altrettanto chiaro che tuteleremo i nostri interessi in ogni modo e momento”.
Al momento, però, l’Ue non può prendere iniziative perché non sa quali saranno le mosse di Trump. Bruxelles teme che il presidente americano cerchi di creare confusione con diversi tipi di dazi: orizzontali su tutti i beni, settoriali o solo contro alcuni Paesi europei.
Nel 2019, ad esempio, la prima amministrazione Trump colpì con tariffe del 25% solo alcuni Stati (tra cui l’Italia) come ritorsione per una disputa tra Airbus e Boeing. Lo stesso fece nel 2020 per la web tax che l’Italia e altri tre Stati avevano introdotto.
L’altra paura della Commissione è che il presidente americano usi questa strategia per dividere i 27. Alcuni Paesi potrebbero essere esentati apposta o essere colpiti da dazi più bassi.
In questo caso certi governi (gli occhi sono puntati sull’Ungheria di Viktor Orbán) potrebbero rompere l’unità e indebolire la risposta europea.
C’è chi ricorda però che tentativi simili dovrebbero essere bloccati sul nascere dai Trattati, che attribuiscono la competenza esclusiva sul commercio internazionale alla sola Commissione.
Le regole aiutano anche sul fronte della risposta perché prevedono reazioni collettive e a maggioranza qualificata, quindi senza diritto di veto per il singolo Stato.
Per l’Ue, in ogni caso, non sarà semplice arrivare a un accordo (seppur provvisorio) come per Messico e Canada.
I due Paesi nordamericani erano avvantaggiati visto che avevano un solo attrito con gli Usa, quello sul confine.
L’Europa, invece, ha più motivi di scontro, a partire dalle richieste di Trump di comprare più armi e gas americani.
In un quadro così complesso, Giorgia Meloni potrebbe rivelarsi preziosa per trovare un accordo. La premier ha un rapporto speciale con il leader dei repubblicani e lavora per metterlo in contatto con von der Leyen.
La speranza è agevolare i negoziati. Ma se salteranno, è possibile che l’Italia si muova sola e sfrutti il rapporto privilegiato con gli Usa.
L’altro fronte caldo per Washington è con Pechino. Trump ha rinviato di un mese i dazi del 25% su Canada e Messico, ma non ha concesso tregua alla Cina, terzo maggior partner commerciale dopo messicani e canadesi.
La porta del dialogo con il presidente Xi Jinping sembra aperta, dettaglio che non ha impedito alla Cina di rispondere a tono.
Se da una parte i cinesi possono citare in giudizio gli Usa davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio per i dazi del 10% imposti ieri sulle loro merci, dall’altra hanno già preso di mira carbone e gas naturale liquefatto statunitensi con aliquote del 15%, più un’ulteriore tariffa del 10% sul petrolio.
Pechino inoltre ha annunciato – dal 10 febbraio – dazi del 10% sulle attrezzature agricole e su veicoli di grossa cilindrata e pick-up americani, misure con impatti su aziende statunitensi come Caterpillar e Deere & Co. In più potrebbe imporre controlli sulle esportazioni di alcuni metalli, tra cui il tungsteno.
Nel frattempo l’Antitrust cinese ha avviato un’indagine su Google, sospettata di aver violato le leggi anti-monopolio.
L’autorità ha ripreso in mano la procedura già aperta a dicembre sul gigante dei microprocessori Nvidia e, secondo il Financial Times, si muoverà anche contro Intel, che in Cina ha il mercato più grande viste le 15,53 miliardi di entrate del 2024.
Il ministero del Commercio invece ha inserito nella sua lista nera l’azienda di abbigliamento Pvh Corp, holding di marchi tra cui Calvin Klein, e la società di biotecnologie Illumina, dopo che avrebbero adottato misure discriminatorie verso le imprese cinesi e danneggiato i loro diritti e interessi legittimi.
Queste ritorsioni potrebbero indicare l’inizio di una guerra commerciale più ampia tra le due maggiori economie mondiali.
“Sembra una replica di uno show già visto: l’amministrazione Trump usa i dazi come leva politica. Ma questa volta c’è una differenza sostanziale”, osserva Gabriel Debach, market analyst di eToro.
“Nel 2017 la Fed era in modalità hawkish, pronta a combattere l’inflazione con rialzi dei tassi d’interesse. Oggi lo scenario è più complesso. Il vero rischio? Non sono i dazi in sé, ma l’effetto domino sulle aspettative di crescita globale”.
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