Anche i magistrati sbagliano
È un errore trasformare in uno scontro, come purtroppo è avvenuto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il diritto alto e forte delle toghe a dire di no alla riforma-Nordio all’esame del Parlamento. Il taccuino di Guiglia.
È un errore trasformare in uno scontro, come purtroppo è avvenuto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il diritto alto e forte delle toghe a dire di no alla riforma-Nordio all’esame del Parlamento. Il taccuino di Guiglia
Come tutti i cittadini della Repubblica anche i magistrati godono del diritto costituzionale alla protesta. A maggior ragione quando tale diritto esercitano con cognizione di causa, ossia per dissentire su temi che conoscono bene, perché fanno parte del quotidiano lavoro nei tribunali.
Ma è un errore trasformare in uno scontro, come purtroppo è avvenuto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il diritto alto e forte delle toghe a dire di no alla riforma-Nordio all’esame del Parlamento. Una riforma che separa le carriere fra giudicanti e requirenti e introduce il sorteggio al posto dell’elezione fra candidati di correnti per far parte del Consiglio superiore della magistratura.
L’errore è di metodo e di merito. Per chi coltiva un sacro rispetto per il ruolo e la figura del magistrato, fa specie vedere alcuni di loro manifestare con cartelli e striscioni davanti ai tribunali, quasi fossero scioperanti che contestano decisioni dei loro padroni, come nei tempi andati si consideravano i datori di lavoro. I magistrati non sono un contropotere né una casta, bensì un “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, che è “soggetto soltanto alla legge” (articoli 104 e 101 della Costituzione). E le leggi le fa il Parlamento. Ed è malinconico vedere chi incarna la funzione giurisdizionale dello Stato, manifestare contro chi incarna la funzione esecutiva (il governo) e legislativa (il Parlamento) dello Stato medesimo.
Nel caso specifico della riforma che non piace, e che in verità dovrebbe essere criticata non tanto per la separazione prevista e di fatto già esistente nelle funzioni, quanto perché rischia di incidere poco sui tempi elefantiaci e gli esiti inefficaci dell’ottenere giustizia da parte dei cittadini, non siamo al catastrofico né all’irreparabile.
La Consulta ha sentenziato che soltanto i principi supremi della Costituzione non possano essere modificati, e qui non siamo certo in questo ambito. E poi trattandosi di legge costituzionale destinata a non trovare i due terzi dei consensi nel secondo “giro” del testo alle Camere, potranno essere gli italiani chiamati a referendum a dire l’ultima parola. Perciò i magistrati hanno già la garanzia che nessuno stravolgimento di fatto o di diritto potrà essere consumato a loro danno. E comunque nessuno, nemmeno loro, è al di sopra della legge in Italia.
In realtà, lo scontro fra giustizia e politica viene da lontano ed è frutto di un’accusa reciproca: i giudici che fanno politica contro i politici che vogliono fare i giudici. Troppi esempi di plateale politicizzazione di magistrati e di politici incompetenti di diritto, ma pronti ad attaccare decisioni di toghe a loro sgradite, infastidiscono i cittadini. In nome dei quali la giustizia dovrebbe pur essere esercitata, e uguale per tutti.
Ma se lo scontro diventasse confronto, ne guadagnerebbero i legislatori, meglio disposti ad accogliere saggi consigli dei magistrati, e le toghe, “liberate” dal correntismo assurto a sistema, e che tanto male ha fatto a tutti. Non è più il tempo delle guerre neanche in questo campo.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com