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Nella specie, la Corte d’Appello aveva correttamente argomentato che «la clausola floor aveva il significato di assicurare che il tasso di interesse non potesse scendere al di sotto del minimo pattuito e quindi di regolare l’ammontare degli interessi corrispettivi, senza tuttavia prevedere flussi finanziari a favore dell’una o dell’altra parte; si trattava perciò di pattuizione attinente al mutuo e non di un derivato implicito, non avente natura finanziaria e rientrante nell’autonomia negoziale delle parti; era da escludere che il tasso corrispettivo del mutuo fosse usurario in quanto inferiore al tasso soglia e che sussistesse usura soggettiva per mancanza di sproporzione tra le prestazioni, e di usura in relazione al tasso di mora in quanto inferiore al tasso soglia, considerato l’aumento medio di 2,1 punti percentuali previsto dalla Banca d’Italia per i tassi di mora; la clausola floor, in quanto relativa alla determinazione dell’ammontare della prestazione corrispettiva, non poteva qualificarsi come vessatoria ai sensi del D.lgs. n. 206/2005, non emergendo l’indeterminatezza degli interessi corrispettivi in quanto non vi era incertezza sul quando si applicasse il tasso ancorato all’Euribor 3 mesi e quando il tasso floor».
La statuizione è conforme al consolidato orientamento a tenore del quale costituisce un puro artificio la tesi «secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore di una option floor, e dunque un contratto derivato. Infatti la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell’indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l’evento condizionante è la fluttuazione dell’indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l’evento condizionato la misura del saggio: dunque un patto lecito e consentito dall’art. 1353 c.c.»[1].
Inoltre, la Corte di Cassazione ha affermato (seppure non specificamente sulla clausola floor dei mutui fondiari) che, in tema di contratti di mutuo, la convenzione relativa agli interessi deve avere – ai fini della sua validità ai sensi della norma imperativa dell’art. 1284, comma 3, c.c. – un contenuto assolutamente univoco, in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse; qualora il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti riferimenti generici dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione[2].
Nella fattispecie in questione, può dirsi che il funzionamento della clausola sia stato chiaramente illustrato nel contratto di mutuo, con l’espressa precisazione che il tasso d’interesse iniziale sarebbe stato per l’appunto del 3,25%, sì che il mutuatario, allorché sottoscrisse il contratto, aveva piena consapevolezza della misura del corrispettivo, il che escludeva in radice tanto che fosse una clausola non chiara o incomprensibile, quanto che fosse una clausola avente per oggetto o effetto di prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non aveva avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
Va osservato che la clausola floor contenuta nel contratto stipulato dalle parti attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto e/o all’adeguatezza del corrispettivo e, pertanto, è anche esclusa dal vaglio di vessatorietà ai sensi dell’art 34, comma 2°, del codice del consumo, essendo formulata in maniera chiara e comprensibile.
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 23 febbraio 2023, n. 5657; Cass. n. 5151/2024.
[2] Cfr. Cass. n. 96/2022; Cass. n. 20555/2020.
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