I’m just a girl: quando la celebrazione delle ragazze si trasforma in infantilizzazione
La cultura pop degli ultimi due anni è stata dominata dalla girlhood: dalla moda coquette, tutta fiocchetti e colori pastello, al successo del film Barbie, al ritorno dopo più di 25 anni nelle classifiche musicali di Just a Girl dei No Doubt, all’enorme popolarità di pop star come Taylor Swift e Sabrina Carpenter, fino agli […] The post I’m just a girl: quando la celebrazione delle ragazze si trasforma in infantilizzazione appeared first on The Wom.
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La cultura pop degli ultimi due anni è stata dominata dalla girlhood: dalla moda coquette, tutta fiocchetti e colori pastello, al successo del film Barbie, al ritorno dopo più di 25 anni nelle classifiche musicali di Just a Girl dei No Doubt, all’enorme popolarità di pop star come Taylor Swift e Sabrina Carpenter, fino agli innumerevoli trend di TikTok, dalla “that girl” del 2023 fino al “very mindful, very demure” e alla “brat summer” appena conclusa.
Le ragazze, dopo anni di oblio in favore di una femminilità più aggressiva alla Kim Kardashian, si sono riconquistate il proprio spazio nell’immaginario pubblico, imponendo la loro estetica, i loro gusti e i loro interessi
La moda, scriveva ormai più di un secolo fa il filosofo tedesco Georg Simmel, ha “il fascino caratteristico di un confine” e resta sempre sull’orlo di una fine e di un inizio. Quando una certa moda prende il sopravvento e diventa così incisiva e caratteristica di un’epoca, è il segnale che qualcosa di profondo sta cambiando nella nostra società. Perché allora la girlhood è diventata così onnipresente proprio adesso?
La girlhood dei primi anni ‘2000
Non è la prima volta che le ragazze rivestono un ruolo così importante per la cultura popolare. All’inizio degli anni ‘2000 (un decennio che oggi non a caso è tornato molto di moda) tutta l’attenzione mediatica era concentrata su un manipolo di giovani donne, poco più che maggiorenni, che occupavano in maniera costante il dibattito pubblico: Paris Hilton, Britney Spears e Lindsay Lohan. Il loro successo arrivava in un momento in cui il discorso femminista era entrato in una crisi profonda, tanto che si parlava di “post-femminismo”, intendendo che il movimento delle donne aveva ormai esaurito la sua funzione rivoluzionaria e non aveva nient’altro da offrire. Lo sconvolgimento dell’11 settembre 2001 contribuì inoltre a rafforzare la voglia di disimpegno e di leggerezza nella cultura pop.
Se però da un lato i media erano ossessionati da ciò che facevano o da come apparivano queste ragazze, dall’altro questa ossessione sfociava spesso nel sessismo, nel body shaming e nello slut shaming.
Anche dal punto di vista politico, gli anni ‘2000 rappresentarono una battuta d’arresto rispetto alle conquiste degli anni ’90, quando grandi istituzioni come l’Onu approvarono diverse convenzioni e regolamenti per la parità di genere
L’attuale ritorno della girlhood può essere letto come un processo simile a quello che si era innescato venticinque anni fa. Come allora, usciamo da un decennio di grandi lotte per la parità di genere, che sembrano essersi arrestate, e ci siamo appena lasciati alle spalle uno sconvolgimento sociale senza precedenti come quello della pandemia.
I’m just a girl
Sarebbe sbagliato rileggere la popolarità delle ragazze come una semplice forma di patriarcato. Le giovani donne infatti sono sempre state considerate soggetti irrilevanti nelle “cose che contano”, dalla politica alla cultura alta; sono sempre state viste come oggetti del desiderio privi di una propria volontà e capacità di agire e incidere sulla società; i loro gusti e consumi sono sempre stati derubricati come poco profondi o rilevanti. Per certi versi, la celebrazione della girlhood degli ultimi anni è stata una liberazione, un moto di orgoglio per rivendicare la possibilità di coesistere come ragazze e come persone. Molti prodotti della cultura pop degli ultimi anni hanno sollevato questa istanza, si vedano ad esempio i discorsi femministi presenti in Barbie o nei testi delle canzoni di Chappell Roan.
Il problema è che questi discorsi non esistono in un vuoto. Nel vortice dei trend di TikTok, spesso dell’essere ragazze non si celebrano gli aspetti rivoluzionari o sovversivi, ma solo quelli legati alla spensieratezza o all’immaturità. La tendenza della girl math, cominciata come una battuta innocente sul modo in cui le donne giustificano le proprie spese superflue, si è presto trasformata in un pretesto per confermare lo stereotipo secondo cui sono meno portate per le materie scientifiche. Identificarsi come “soltanto una ragazza”, come canta Gwen Stefani, rappresenta un sollievo dalle aspettative che la società patriarcale impone al genere femminile, ma il rischio è dimenticarsi che essere “soltanto una ragazza” significa anche non avere alcun potere.
E di potere ne servirebbe molto, in un momento storico in cui sono proprio le ragazze e i loro diritti politici e civili a essere messi in pericolo. Negli Stati Uniti, con il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade nel 2023 e il conseguente divieto di aborto in 14 stati, si è aperta una stagione di grande incertezza per le donne. In Texas, uno degli stati che ha introdotto il divieto, il tasso di gravidanze in adolescenza è tornato a salire dopo 15 anni, colpendo soprattutto le giovani di origine sudamericana. Le attuali restrizioni hanno portato alla chiusura di quasi tutte le cliniche di salute riproduttiva, che sono spesso gli unici punti di riferimento per le teenager.
C’è un confine sottile tra la celebrazione delle ragazze e l’infantilizzazione delle donne. Il femminismo di quarta ondata ha cercato di dare dignità alla girlhood, ha sostenuto molte giovani che sono diventate influenti nella società, da Alexandria Ocasio-Cortez a Greta Thunberg, ma questa girlhood, estremizzata e rimasticata dai trend di TikTok, si sta lentamente trasformando in qualcos’altro. Mentre le ragazze in carne e ossa scompaiono dal panorama politico.
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