Così il lavoro si mette «in regola»
Stagionali, smart working, forfettari, licenziamenti, ma non solo: ecco tutte le novità introdotte dal Decreto Lavoro in vigore dal 12 gennaio 2025, commentate da Luca De Menech, partner dello studio legale Dentons L'articolo Così il lavoro si mette «in regola» proviene da Economy Magazine.
Anno nuovo, lavoro nuovo. Più semplice, più chiaro, più razionale. E più trasparente. Il 12 gennaio è entrato in vigore il cosidetto Collegato Lavoro (al secolo, la legge 203/2024): «Si tratta di una norma che introduce varie disposizioni volte a semplificare, razionalizzare o rendere più trasparente la disciplina di alcuni istituti in materia giuslavoristica», spiega a Economy Luca De Menech, partner e membro della practice globale di Employment and Labor dello studio legale Dentons.
Somministrati e stagionali
Avete presente l’annosa questione dei lavoratori somministrati? E quella degli stagionali? Ecco, il Decreto Lavoro introduce alcune misure all’insegna della flessibilità. «In particolare, quanto ai primi, vengono esclusi dal computo del limite quantitativo dei somministrati a termine, attualmente pari al 30% rispetto al numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula dei contratti, i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato e (i lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze, quali svolgimento di attività stagionali o di specifici spettacoli, start-up, sostituzione di lavoratori assenti o lavoratori con più di 50 anni. Inoltre, non sarà più necessaria la causale per le somministrazioni a termine di lavoratori che godano, da almeno sei mesi, di trattamenti di ammortizzatori sociali o della Naspi o che siano lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi di legge». Quanto al lavoro stagionale, invece, viene introdotta una norma di “interpretazione autentica” «per effetto della quale si estende il novero di tale categoria di lavoratori, includendovi anche quelli stipulati per lo svolgimento di attività organizzate per far fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno o a esigenze tecnico-produttive o collegate a cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo le previsioni della contrattazione collettiva (anche previgente alla entrata in vigore del citato Collegato Lavoro).
Si tratta di previsioni che, con ogni probabilità, consentiranno una maggiore libertà nel ricorso di lavoratori a termine nell’ottica di aumentare il tasso occupazionale nonché l’inserimento o il re-inserimento nel mercato del lavoro di lavoratori disoccupati o svantaggiati».
Regime forfettario
Poi ci sono i forfettari, altra categoria sempre più diffusa nelle aziende… e non sempre seguendo le regole. Ecco: il Decreto Lavoro fa chiarezza con quella che l’avv. De Menech definisce una «previsione volta a rendere maggiormente dinamico il ricorso al lavoro riguarda la disciplina dei contratti cd. “misti”, che consente, a determinate condizioni, l’applicazione del regime fiscale forfetario. Nello specifico», spiega il parner di Dentons, «le persone fisiche iscritte in albi o registri professionali che esercitino attività libero-professionali potranno fruire di tale regime forfettario anche ove svolgano, al contempo, attività lavorativa in favore di datori di lavoro che occupano più di 250 dipendenti, a seguito di contestuale assunzione mediante stipula di un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale e indeterminato, con un orario compreso tra il 40 e il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato». E in mancanza di iscrizione ad albi o registri professionali? Il regime forfetario si applica nei confronti delle persone fisiche che esercitino attività di lavoro autonomo nei casi e nel rispetto delle modalità previste da specifiche intese aziendali previste dai contratti di prossimità di cui all’art. 8 del D.L. 138/2011. «Tale previsione è volta ad incentivare i lavoratori autonomi ad essere coinvolti anche con rapporti di lavoro subordinato, tipizzando il contratto cd. “misto”», commenta De Menech. «Sarà tuttavia importante adottare talune cautele, come la distinzione delle attività oggetto dei rapporti che dovranno essere ben differenziate tra loro, il rispetto della disciplina dei riposi previsti per i lavoratori subordinati nonché la corretta regolazione della disciplina di cessazione dei rapporti ove uno dei due dovesse terminare prima dell’altro».
Apprendistato e prova
Analogamente, in tema di apprendistato, viene previsto che, a seguito del conseguimento della qualifica o del diploma professionale, nonché del diploma di istruzione secondaria superiore o del certificato di specializzazione tecnica superiore, è possibile la trasformazione del contratto (previo aggiornamento del piano formativo individuale), in apprendistato professionalizzante per conseguire la qualificazione professionale ai fini contrattuali o apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale. «Ciò consentirà ai giovani di continuare il loro percorso formativo senza interruzioni, approfondendo le conoscenze e acquisendo specializzazioni in settori di particolare rilevanza e interesse», sottolinea il partner di Dentons. Che aggiunge: «Ulteriore obiettivo del Collegato Lavoro è la trasparenza. In relazione a tale aspetto, si introduce una quantificazione della durata del periodo di prova per i contratti di lavoro a termine, determinando nello specifico il criterio di “proporzionalità” già previsto dal Decreto Trasparenza. Viene difatti previsto che, fatte salve le disposizioni “più favorevoli” della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova per i lavoratori a termine è stabilita in un giorno di effettiva prestazione ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro». La norma, inoltre, specifica che, in ogni caso, il periodo di prova non potrà essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni per i contratti di lavoro con durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiori a dodici mesi. Peccato che la norma, in questo caso, pecchi in chiarezza: «In primo luogo, non coincide il rapporto tra il numero di giorni di prova (uno ogni quindici giorni) ed il limite massimo (quindici giorni o trenta, a seconda che il rapporto sia pari sino a o superiore a sei mesi). Inoltre, non è dato comprendere la portata della previsione che fa salve le disposizioni “più favorevoli” della contrattazione collettiva”, non essendo chiaro, a tal riguardo, se per “più favorevoli” si intendano quelle che prevedano un periodo di prova più breve di quello previsto dal Collegato Lavoro, che consentirebbe al lavoratore di essere “stabilizzato” prima, oppure quelle che prevedano un periodo di prova più lungo, che offrirebbe al datore di lavoro una maggiore opportunità di valutare il dipendente». In attesa di chiarimenti da parte del Ministero o Ispettorato del Lavoro, De Menech consiglia «’applicazione della previsione nel senso più favorevole al lavoratore «e, quindi, con applicazione del termine massimo di prova calcolato sulla base del giorno di prova ogni quindici giorni e, quindi, massimo 12 giorni per contratti a termine di durata sino a 6 mesi e massimo 24 giorni per contratti a termine di durata sino a 12 mesi».
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