Chi sono i cinesi che guidano Menarinibus
Geely, che nel settore europeo dei mezzi pesanti ha già partecipazioni importanti in Volvo e Daimler, ora arriva in Italia con l'acquisito del 25% di Menarinibus (ex Industria italiana autobus), azienda di Avellino con sede di ricerca a Bologna a lungo nelle mani dello Stato. Perché i cinesi sono interessati ai bus italiani?
Geely, che nel settore europeo dei mezzi pesanti ha già partecipazioni importanti in Volvo e Daimler, ora arriva in Italia con l’acquisito del 25% di Menarinibus (ex Industria italiana autobus), azienda di Avellino con sede di ricerca a Bologna a lungo nelle mani dello Stato. Perché i cinesi sono interessati ai bus italiani?
Porte aperte – almeno quelle delle corriere della ex Industria italiana autobus, oggi Menarinibus – ai cinesi nell’automotive italiano.
MENARINIBUS SI LASCIA ALLE SPALLE LA CRISI?
L’azienda un tempo fiore all’occhiello della produzione tricolore aveva accolto a bordo il conducente pubblico di Invitalia e Leonardo a causa della crisi. Il perdurare della stessa nonostante gli aumenti di capitale avevano reso particolarmente urgente la necessità di individuare un compratore, trovato la scorsa estate in Seri Industrial della famiglia Civitillo attiva nel settore delle batterie.
Una situazione che non aveva reso più tranquilli i rappresentanti dei lavoratori dei due impianti di Avellino e Bologna. Ora il 25 per cento del costruttore di bus è finito nelle mani cinesi come anticipato, ben prima che il ministro per le Imprese Adolfo Urso lo ufficializzasse, fin da novembre dalle testate di settore.
L’INTERESSE DEI CINESI PER I BUS ITALIANI
Geely porterà in Italia il proprio know-how per la progettazione di nuovi modelli, minibus e midibus elettrici da 6 e 8 metri. Ma il timore dei sindacati è che l’ingombrante partner cinese decida di spostare la produzione della componentistica nei suoi stabilimenti in madrepatria togliendola così dai due impianti nella Penisola. Il Mimit dal canto suo fa sapere che “vigilerà”.
Quel che è certo è che con quest’ultima operazione Geely allunga ulteriormente le proprie mani sulle Case automobilistiche europee. Un interesse che arriva da lontano. Sotto il cappello di Geely Holding infatti troviamo la tedesca Daimler (a cascata ha il 50% di Smart, condivisa con Mercedes-Benz), la svedese Volvo, la britannica Lotus (fresca di una nuova partnership con un’altra cinese, Nio) e una partecipazione del 7,6 per cento in Aston Martin.
I COSTRUTTORI DEI MEZZI PESANTI NELLE MANI DI GEELY
Una rapida rassegna che fa emergere un dato non indifferente: due dei principali produttori di mezzi pesanti del Vecchio continente, ovvero Volvo e Daimler, sono già partecipate da Geely. Ora il colosso asiatico ha nel portafogli pure un quarto del capitale di Menarinibus.
Ma il costruttore del Dragone è attivo su più fronti che lambiscono in altri modi varie Case europee avendo per esempio stretto una importante jv – nota come Horse – con i francesi di Renault per continuare a produrre motori endotermici per i Paesi in via di sviluppo col marchio d’Oltralpe.
POLESTAR HA LE BATTERIE SCARICHE?
Sul fronte elettrico, non tutto ciò che è stato fatto da Geely corre veloce come i conti della holding asiatica: emblematica la crisi in cui versa Polestar, nata dalla partnership con Volvo, che a detta di alcuni brucerebbe qualcosa come più di 100 milioni di dollari al mese. Come molte delle grandi fabbriche cinesi, anche Geely non ha una storia particolarmente epica alle spalle avendo iniziato producendo tutt’altro: parti meccaniche per frigoriferi.
LA SPINTA DEGLI AIUTI DI STATO
L’azienda fondata nel 1986 da un Li Shufu appena 23enne si è fatta largo nel Vecchio continente in sordina, fino ad arrivare a sfiorare i 56 miliardi di dollari di fatturato nel 2022 impiegando oltre 120mila persone in 40 stabilimenti, 8 centri di ricerca e 6 centri di progettazione sparsi in tutto il mondo.
La fortuna, si sa, aiuta gli audaci. Soprattutto quando è accompagnata anche da fiumi di denaro pubblico elargito da Pechino, come documentato da Bruxelles nell’inchiesta che ha portato la Commissione a elevare i dazi al 18,8 per cento sulle sue auto elettriche che intendono varcare i nostri confini. Motivo per il quale Geely ha fatto causa alla Ue. Nonostante la sua presenza in Europa, insomma, gli screzi con le istituzioni comunitarie non mancano.