Vi spiego le 3 opzioni per il futuro dei medici di base
Sarebbe paradossale ricondurre una libera professione alla dipendenza nel momento in cui il lavoro subordinato si va diffusamente riorientando dall’orario alla responsabilità di obiettivi e risultati. Il punto di Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro e della Salute, per QN
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Sarebbe paradossale ricondurre una libera professione alla dipendenza nel momento in cui il lavoro subordinato si va diffusamente riorientando dall’orario alla responsabilità di obiettivi e risultati. Il punto di Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro e della Salute, per QN
Dipendenti o liberi professionisti convenzionati, singoli o associati? Sono dunque tre e non due le opzioni sul tavolo per i medici di medicina generale (MMG).
Ma partiamo dai bisogni. La casa di abitazione, con l’allungamento della vita, si sta rivelando come il luogo più efficace per l’assistenza e la cura (entro certi limiti) della persona. Viene preferita dai pazienti che reagiscono meglio alle terapie, costa molto meno di un ricovero ospedaliero o in una residenza assistenziale. Più in generale, anche ai fini di ridurre la pressione sui pronto soccorso, il MMG deve stratificare i bisogni dei pazienti, aggiornare i registri di patologia, educare a prevenire malattie e complicanze, prendere in carico le persone affette da cronicità e seguirle, anche con la telemedicina, redigendo Piani Individuali Assistenziali, collaborare con specialisti, infermieri e servizi sociali, monitorare l’aderenza e i risultati delle terapie, garantire appropriatezza alla diagnostica. Per non parlare del compito di gestire l’ambulatorio, dagli affitti alle manutenzioni, dagli appuntamenti agli acquisti e alla conservazione degli strumenti diagnostici, fino ai molti adempimenti amministrativi e assicurativi.
Ne consegue la necessità di servizi “primari” fiduciari, flessibili, prossimi. Il contrario della dipendenza fondata su 38 ore nelle Case di Comunità, hub per 50mila abitanti, che non costituirebbero solo il minimo dovuto ma anche il massimo rigidamente praticato. Per non parlare delle lunghe assenze per malattia, permessi sindacali, legge 104, maternità, diritti che un libero professionista o non ha o non ne abusa, soprattutto se la sua remunerazione fosse più variabilmente collegata alla effettiva attività.
La costruzione del complesso dei servizi sociosanitari territoriali nelle Regioni deve quindi comprendere, a valle delle Case di Comunità, efficienti reti spoke di MMG. La convenzione vigente è strutturata in modo tale da non rendere distinguibili i migliori dai peggiori per cui deve essere ridisegnata. A partire dall’obbligo incentivato di dare vita a forme associate di professionisti secondo criteri essenziali in termini di personale e di strutture. Oggi, circa un terzo dei medici di famiglia (13.000 su 37.000) opera già in medicine di gruppo. Si tratta di prime esperienze importanti, ma non sufficienti. Serve un cambio di passo, con reti caratterizzate dal dovere di garantire un servizio h 12 su sei o sette giorni, personale sanitario e di supporto conseguente, strumenti tecnologici avanzati. Il rapporto fiduciario tra medico e paziente non verrebbe meno ma si consoliderebbe attraverso la continuità assistenziale garantita dagli altri medici dell’equipe. Non esiste, però, una soluzione unica per tutti i territori. Nelle aree urbane, è possibile creare centri medici per grandi bacini di utenza mentre in quelle periferiche servono modelli più decentralizzati e tali da garantire la storica prossimità dei medici di famiglia, senza costringere i pazienti a spostamenti verso le Case di Comunità.
Sono ovviamente necessari significativi investimenti. Per far funzionare le reti di gruppo, servono piattaforme digitali integrate con il Fascicolo Sanitario Elettronico e la telemedicina, ma anche incentivi che premino la presa in carico dei pazienti e gli esiti clinici, piuttosto che il volume delle prestazioni o il numero di assistiti. Alla finanza pubblica costerebbe molto meno questa logica sussidiaria rispetto alla organizzazione diretta di strutture che richiederebbero, per le rigidità ricordate, più medici e infermieri con significativi costi fissi incrementali nel tempo. Senza considerare la poca attrattività di una professione burocratizzata in una stagione di carenza dei nuovi medici. Sarebbe poi paradossale ricondurre una libera professione ordinistica alla dipendenza nel momento in cui il lavoro subordinato si va diffusamente riorientando dall’orario alla responsabilità di obiettivi e risultati. Ancor più necessaria quando è in gioco la salute.