Se i poliziotti sono bastardi
Su Netflix, nella serie tv Acab, la polizia somiglia molto a un’associazione a delinquere. Dove vigono alcune regole che si chiamano sopraffazione, paura e omertà. Il manifesto per i prossimi cortei contro gli agenti è servito.Non so quanti sappiano che cosa vuol dire l’acronimo «Acab», ma di certo molti avranno visto i manifesti affissi in alcune città, con cui Netflix, colosso americano di video on demand (cioè a pagamento), reclamizza la serie tv dedicata alla polizia italiana. Per chi non lo sapesse, e non avesse avuto modo di vedere le puntate dedicate al reparto mobile della Questura di Roma, Acab sta per All Cops Are Bastards, ovvero tutti i poliziotti sono bastardi, un motto che ha le sue radici in Inghilterra, rispolverato dagli skinheads negli anni Settanta per gli scontri allo stadio e diventato nel tempo, come spiegano le recensioni della serie tv, «un richiamo universale alla guerriglia nelle città, nelle strade, negli stadi». Ovviamente contro la polizia.Negli ultimi anni dello slogan si è appropriato il movimento Black Lives Matter (che si traduce con «Le vite dei neri contano»), nato in seguito alla morte di George Floyd, un americano di colore deceduto per soffocamento durante l’arresto da parte della polizia. Derek Chauvin, l’agente che immobilizzò Floyd premendogli per otto minuti il ginocchio sul collo, è stato condannato a 22 anni di carcere, ma questo non ha impedito che in tutti gli Stati Uniti si scatenassero manifestazioni e violenze contro le forze dell’ordine, accusate di brutalità ed etichettate con l’acronimo Acab: tutti i poliziotti sono bastardi.La lunga premessa, sulle origini di uno slogan, era necessaria per inquadrare la serie tv. Preceduta da un film di qualche anno fa, tratto da un libro scritto dal vicedirettore di Repubblica Carlo Bonini e dedicato agli scontri del 2001 a Genova, Acab racconta la vita del terzo dipartimento della squadra antisommossa della Polizia di Roma: sei episodi per descrivere un branco in divisa disposto a tutto pur di fronteggiare (e malmenare) figli di papà votati alla rivoluzione, ambientalisti che vogliono salvare il mondo, immigrati vittime del razzismo occidentale, tifosi invasati dalla passione per la loro squadra e No Tav dediti alla rivolta permanente.La serie è arrivata in tv con grande tempismo, dopo le accuse a polizia e carabinieri di fare un uso violento della forza. Prima l’indagine contro gli agenti che a Pisa hanno respinto una manifestazione studentesca che cercava di rompere il blocco disposto da chi doveva garantire l’ordine pubblico. Poi il caso Ramy Elgaml, trasformato da inchiesta contro chi si è sottratto al controllo delle forze dell’ordine, provocando una vittima, a processo contro gli inseguitori, colpevoli prima ancora di essere giudicati di aver fatto il loro mestiere, ovvero di aver cercato di fermare chi fuggiva. Maurizio Caverzan, collaboratore di Panorama e grande esperto di tv, scrivendo delle manifestazioni scatenatesi a Milano e in tutta Italia per protestare contro la morte del giovane egiziano, deceduto durante l’inseguimento, ha parlato del tentativo di trasformare Ramy nel George Floyd italiano e i cortei contro le forze dell’ordine, in cui sono rimasti feriti diversi agenti, delle prove generali per dare vita a un Black Lives Matter in salsa nazionale, magari con un migrante al posto di un «black».«Se mancava un manifesto creativo della rivolta contro gli agenti assassini, da cui i leader della sinistra non hanno preso le distanze, c’è da temere che (con Acab, ndr) sia stato trovato», ha scritto proprio Caverzan. Ecco le rappresaglie del reparto mobile in val di Susa contro i militanti dei centri sociali dopo che il capo della squadra mobile rimane a terra colpito da una bomba carta, il manifestante ridotto in fin di vita, le prove nascoste, la solitudine di agenti che sono descritti come frustrati, razzisti, machisti, ovvero un branco di lupi in divisa, composto da uomini borderline, che fanno della forza il loro credo e la loro sola ragione di esistere e di avere un posto nel mondo. «Sono diventato come voi», dice il nuovo capo del reparto al suo predecessore, dopo aver quasi ucciso un uomo.È la divisa che trasforma anche un funzionario democratico in un poliziotto violento. «Alla fine, l’unica cosa che conta è la legge del clan. Un clan che somiglia sempre di più a quello di Gomorra», scrive ancora Caverzan. In effetti è così. Camorra e forze dell’ordine nella serie in cui tutti i poliziotti sono bastardi appaiono speculari, accomunati dalla stessa logica di potere e violenza. Del resto, il produttore della serie è l’ex regista della traduzione video del film di Roberto Saviano e la casa di produzione è la medesima. Dunque, la polizia somiglia molto a un’associazione a delinquere. Dove vigono alcune regole che si chiamano sopraffazione, paura e omertà. Il manifesto per i prossimi cortei contro gli agenti è servito.
Su Netflix, nella serie tv Acab, la polizia somiglia molto a un’associazione a delinquere. Dove vigono alcune regole che si chiamano sopraffazione, paura e omertà. Il manifesto per i prossimi cortei contro gli agenti è servito.
Non so quanti sappiano che cosa vuol dire l’acronimo «Acab», ma di certo molti avranno visto i manifesti affissi in alcune città, con cui Netflix, colosso americano di video on demand (cioè a pagamento), reclamizza la serie tv dedicata alla polizia italiana. Per chi non lo sapesse, e non avesse avuto modo di vedere le puntate dedicate al reparto mobile della Questura di Roma, Acab sta per All Cops Are Bastards, ovvero tutti i poliziotti sono bastardi, un motto che ha le sue radici in Inghilterra, rispolverato dagli skinheads negli anni Settanta per gli scontri allo stadio e diventato nel tempo, come spiegano le recensioni della serie tv, «un richiamo universale alla guerriglia nelle città, nelle strade, negli stadi». Ovviamente contro la polizia.
Negli ultimi anni dello slogan si è appropriato il movimento Black Lives Matter (che si traduce con «Le vite dei neri contano»), nato in seguito alla morte di George Floyd, un americano di colore deceduto per soffocamento durante l’arresto da parte della polizia. Derek Chauvin, l’agente che immobilizzò Floyd premendogli per otto minuti il ginocchio sul collo, è stato condannato a 22 anni di carcere, ma questo non ha impedito che in tutti gli Stati Uniti si scatenassero manifestazioni e violenze contro le forze dell’ordine, accusate di brutalità ed etichettate con l’acronimo Acab: tutti i poliziotti sono bastardi.
La lunga premessa, sulle origini di uno slogan, era necessaria per inquadrare la serie tv. Preceduta da un film di qualche anno fa, tratto da un libro scritto dal vicedirettore di Repubblica Carlo Bonini e dedicato agli scontri del 2001 a Genova, Acab racconta la vita del terzo dipartimento della squadra antisommossa della Polizia di Roma: sei episodi per descrivere un branco in divisa disposto a tutto pur di fronteggiare (e malmenare) figli di papà votati alla rivoluzione, ambientalisti che vogliono salvare il mondo, immigrati vittime del razzismo occidentale, tifosi invasati dalla passione per la loro squadra e No Tav dediti alla rivolta permanente.
La serie è arrivata in tv con grande tempismo, dopo le accuse a polizia e carabinieri di fare un uso violento della forza. Prima l’indagine contro gli agenti che a Pisa hanno respinto una manifestazione studentesca che cercava di rompere il blocco disposto da chi doveva garantire l’ordine pubblico. Poi il caso Ramy Elgaml, trasformato da inchiesta contro chi si è sottratto al controllo delle forze dell’ordine, provocando una vittima, a processo contro gli inseguitori, colpevoli prima ancora di essere giudicati di aver fatto il loro mestiere, ovvero di aver cercato di fermare chi fuggiva. Maurizio Caverzan, collaboratore di Panorama e grande esperto di tv, scrivendo delle manifestazioni scatenatesi a Milano e in tutta Italia per protestare contro la morte del giovane egiziano, deceduto durante l’inseguimento, ha parlato del tentativo di trasformare Ramy nel George Floyd italiano e i cortei contro le forze dell’ordine, in cui sono rimasti feriti diversi agenti, delle prove generali per dare vita a un Black Lives Matter in salsa nazionale, magari con un migrante al posto di un «black».
«Se mancava un manifesto creativo della rivolta contro gli agenti assassini, da cui i leader della sinistra non hanno preso le distanze, c’è da temere che (con Acab, ndr) sia stato trovato», ha scritto proprio Caverzan. Ecco le rappresaglie del reparto mobile in val di Susa contro i militanti dei centri sociali dopo che il capo della squadra mobile rimane a terra colpito da una bomba carta, il manifestante ridotto in fin di vita, le prove nascoste, la solitudine di agenti che sono descritti come frustrati, razzisti, machisti, ovvero un branco di lupi in divisa, composto da uomini borderline, che fanno della forza il loro credo e la loro sola ragione di esistere e di avere un posto nel mondo. «Sono diventato come voi», dice il nuovo capo del reparto al suo predecessore, dopo aver quasi ucciso un uomo.
È la divisa che trasforma anche un funzionario democratico in un poliziotto violento. «Alla fine, l’unica cosa che conta è la legge del clan. Un clan che somiglia sempre di più a quello di Gomorra», scrive ancora Caverzan. In effetti è così. Camorra e forze dell’ordine nella serie in cui tutti i poliziotti sono bastardi appaiono speculari, accomunati dalla stessa logica di potere e violenza. Del resto, il produttore della serie è l’ex regista della traduzione video del film di Roberto Saviano e la casa di produzione è la medesima. Dunque, la polizia somiglia molto a un’associazione a delinquere. Dove vigono alcune regole che si chiamano sopraffazione, paura e omertà. Il manifesto per i prossimi cortei contro gli agenti è servito.