Rimborso spese legali per dipendente pubblico assolto: chiarimenti

lentepubblica.it Spetta all’amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico assolto nel giudizio penale per fatti connessi con l’espletamento dei propri compiti d’ufficio. Nota a TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 11 ottobre 2024, n. 824 a cura dell’Avv. Renzo Cavadi. I requisiti necessari perché il dipendente possa ottenere il rimborso delle spese […] The post Rimborso spese legali per dipendente pubblico assolto: chiarimenti appeared first on lentepubblica.it.

Feb 3, 2025 - 22:57
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Rimborso spese legali per dipendente pubblico assolto: chiarimenti

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Spetta all’amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico assolto nel giudizio penale per fatti connessi con l’espletamento dei propri compiti d’ufficio. Nota a TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 11 ottobre 2024, n. 824 a cura dell’Avv. Renzo Cavadi.


I requisiti necessari perché il dipendente possa ottenere il rimborso delle spese legali sono, l’accertamento che il fatto o l’atto sia connesso con l’espletamento del servizio o assolvimento di obblighi istituzionali e l’esclusione della responsabilità del dipendente nel giudizio penale o amministrativo.

Pertanto, a maggior ragione, lo stesso fatto che è stato ritenuto anche inidoneo ad ingenerare una responsabilità disciplinare (come emerge dal provvedimento di archiviazione del procedimento amministrativo) non può ritenersi possa formare oggetto di un nuovo ed autonomo giudizio attinente sempre alla configurabilità di una negligenza fonte di responsabilità del dipendente ai fini del rigetto del rimborso delle spese legali sostenute.

Sulla base di tali interessanti presupposti il TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, con la sentenza n. 824 dell’11 ottobre 2024 (Pres. P. Carpentieri – Est. M. Bertagnolli) si è pronunciato in merito ai requisiti necessari all’ottenimento del rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente di un’Amministrazione pubblica, per la propria difesa in un procedimento penale conclusosi poi con sentenza di assoluzione.

Rimborso spese legali per dipendente pubblico assolto: chiarimenti

La decisione in commento s’inserisce in un filone tematico decisamente ricco di diverse pronunzie amministrative fiorite negli ultimi anni, rappresentando una questione di grande attualità per il diritto amministrativo e di doveroso interesse per il settore specifico del pubblico impiego ([1]).

Il motivo e se vogliamo la sua ratio è di facile lettura. Se il diritto al rimborso delle spese legali trova fondamento giuridico nel generale diritto di difesa, il ristoro delle spese poggia altresì, sul principio secondo il quale devono rientrare nella sfera giuridica del titolare dell’interesse sostanziale, le conseguenze derivanti dall’operato di chi agisce per suo conto.

Molto più semplicemente in tali ipotesi, il dipendente pubblico non fa altro che agire per conto dell’amministrazione di appartenenza e in ragione di ciò, non deve subire alcuna conseguenza pregiudizievole. E’ indubbio che il nostro ordinamento ex lege si deve cercare di garantire la tutela dei diritti (anche patrimoniali) dei lavoratori in seno alla Pubblica Amministrazione specialmente in relazione a vicende a sfondo processuale.

La normativa applicabile al caso di specie

Ai fini della ricostruzione del caso di specie, nonché della successiva comprensione delle motivazioni utilizzate dai giudici del TAR EMILIA ROMAGNA, risulta necessario richiamare lo sfondo normativo sul quale si muove la vicenda sottoposta all’attenzione del giudice amministrativo.

Le norme che disciplinano il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico sono contenute nell’articolo 18 comma 1 del D. L. n. 67 del 25 marzo 1997 il quale così dispone: “ Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti e atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui ([2]) dall’Avvocatura dello Stato”.

Secondo le coordinate normative previste da tale articolo, il procedimento  amministrativo per ottenere il diritto al rimborso delle spese affrontate e sostenute si articola essenzialmente in due momenti consecutivi vale a dire:

  1. a) Richiesta presentata all’Amministrazione di appartenenza. Dunque in primis il dipendente pubblico deve presentare un’istanza formale alla propria amministrazione, allegando la documentazione necessaria che attesti regolarmente le spese processuali sostenute nonchè in aggiunta la sentenza di assoluzione emessa dall’autorità decidente sia per processi affrontati di fronte al Tribunale ordinario in un giudizio penale o di fronte alle accuse mosse dalla Corte dei Conti nei casi che rientrano nella responsabilità amministrativa-contabile.
  2. b) Autorizzazione/parere rilasciato dall’Avvocatura dello Stato. L’amministrazione, ed è questo un passaggio fondamentale della procedura, dopo aver esaminato attentamente la richiesta, deve consultare tale organo il quale, deve esporre la propria valutazione ([3]) in termini legittimità e congruità ([4]) per far ottenere concretamente al lavoratore, l’autorizzazione al rimborso ([5]).

Peraltro lo stesso articolo precisa poi che “Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità ([6])”.

La vicenda da cui è scaturito il contenzioso

Il ricorrente ha rivolto alla propria Amministrazione d’appartenenza un’istanza finalizzata all’ottenimento del rimborso, in base all’art. 18 del D.L. n. 67/1997, delle spese legali sostenute per la propria difesa nell’ambito di un procedimento penale, correlato ad un evento verificatosi nell’espletamento dei propri compiti d’ufficio e concluso poi con sentenza di assoluzione piena, nel frattanto passata in giudicato (con la formula: “perché il fatto non sussiste”).

L’Amministrazione dal canto suo è inizialmente rimasta silente alla richiesta del lavoratore.

A seguito dell’accoglimento di un primo ricorso proposto avverso il silenzio serbato dall’amministrazione di appartenenza, la stessa si è pronunciata in termini di rifiuto sull’istanza di rimborso delle spese di giudizio affrontate dal dipendente.

Il diniego dell’istanza presentato dal lavoratore veniva dall’amministrazione di controparte motivato sulla scorta di tre interessanti presupposti e cioè: 1) pretesa impossibilità di evincere dalla pronuncia assolutoria l’esclusione di responsabilità,  2) mancata correlazione del fatto con il regolare e diligente assolvimento degli obblighi istituzionali rectius dei compiti d’ufficio; 3) sussistenza della potestà di effettuare una autonoma attività valutativa, ai fini dell’effettivo riconoscimento o meno del rimborso richiesto, “anche a prescindere dalle valutazioni assunte nel procedimento disciplinare”.

Il successivo ricorso al TAR EMILIA ROMAGNA contro l’atto di diniego dell’Amministrazione.

Contro l’atto di diniego emesso da parte dell’Amministrazione di appartenenza, il dipendente decideva di agire in giudizio, proponendo dunque ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, chiedendone l’annullamento.

Il Tribunale adito, definendo nel merito la controversia, ha accolto il ricorso del dipendente, ritenendo in concreto sussistenti tutti i requisiti richiesti dall’articolo 18 del D. L n. 67 del 1997.

Il percorso argomentativo nella decisione dei giudici amministrativi

In via preliminare il Collegio Amministrativo, ha affermato che nessun dubbio ricorre nel caso di specie in merito alla sussistenza del primo dei presupposti di legge. A tal proposito a supporto del proprio ragionamento, richiama i princìpi espressi in precedenza dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n. 20 del 2013, in cui è espressamente chiarito come l’espressione sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità, va inteso che la responsabilità è esclusa da qualunque sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 530 cpp, anche quella che si avvalga della formula dubitativa”.

Inoltre gli stessi giudicanti, hanno ritenuto che la vicenda oggetto del caso di specie potesse senz’altro ricondursi all’espletamento del servizio ovvero a un’attività realizzata per doveri d’ufficio e quindi in nome e per conto dell’amministrazione. Più precisamente i giudici del TAR Emilia-Romagna evidenziano come “l’evento che ha condotto all’esercizio dell’azione penale si è verificato nel corso della predisposizione del materiale da utilizzare per una esercitazione di servizio da effettuarsi nello stesso giorno, come rilevato in sentenza e, dunque, l’intera vicenda deve ritenersi riconducibile all’espletamento del servizio ovvero a un’attività posta in essere in nome e per conto dell’amministrazione, così come richiesto dalla norma”.

Infine, il Collegio Amministrativo ha ampiamente escluso che in capo all’Amministrazione resistente potesse residuare un’autonomia valutativa dei fatti ulteriore rispetto a quella esercitata in sede disciplinare, deponendo in tal senso secondo in giudici depone il tenore letterale del comma 1 – art. 18 del D.L. 67 del 1997. A conferma della propria interpretazione, il Collegio Amministrativo ha richiamato la decisione dei giudici di Palazzo Spada (Consiglio di Stato n. 8137/2019), il quale in precedenza ha chiarito come i requisiti necessari perché il dipendente pubblico possa ottenere il rimborso delle spese legali sono l’accertamento che il fatto o l’atto sia connesso con l’espletamento del servizio o assolvimento di obblighi istituzionali ([7]) e naturalmente l’esclusione della responsabilità del dipendente nel giudizio penale o amministrativo.

Motivo per cui secondo i giudici del TAR Emilia-Romagna “lo stesso fatto che è stato ritenuto anche inidoneo ad ingenerare una responsabilità disciplinare (come emerge dal provvedimento di archiviazione del procedimento disciplinare) non può ritenersi possa formare oggetto di un nuovo ed autonomo giudizio attinente sempre alla configurabilità di una negligenza fonte di responsabilità del dipendente ai fini del rigetto del rimborso delle spese legali sostenute”.

Il Tribunale amministrativo emiliano, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo ha quindi accolto e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento di diniego del rimborso nei confronti del proprio dipendente.

Considerazioni finali

Per i dipendenti pubblici, la conoscenza delle procedure di richiesta di rimborso delle spese legali affrontate nel corso di un processo per fatti contestati dall’amministrazione in relazione alla violazione dei doveri d’ufficio, poi sfociati con formula piena di assoluzione, è un tema di estrema importanza.

Tuttavia, pur trattandosi di un diritto che può essere rivendicato pienamente dal lavoratore al verificarsi di determinate circostanze, va detto che lo stesso può essere esercitato in una corretta ottica di bilanciamento con gli interessi pubblici, seguendo una procedura stabilita ex lege. Tale procedura non solo garantisce la protezione del diritto patrimoniale del dipendente, ma contribuisce anche a una gestione più trasparente e certamente più responsabile delle risorse pubbliche.

Note

([1]) Tra le varie pronunzie val la pena ricordare la decisione del TAR Campania, Napoli, n. 4704/2022, secondo il quale “Un dipendente pubblico assolto in ambito penale per poter reclamare le spese deve dimostrare che il proscioglimento sia avvenuto per fatti in connessione con i propri doveri di ufficio e non per occasionalità. Inoltre, la condotta imprudente che sia stata archiviata nel procedimento disciplinare, fa venire meno anche un potenziale conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza”.

([2]) In tal senso è bene sottolineare come la suddetta erogazione è a carico dello Stato, e quindi, gravando sulla finanza pubblica deve pertanto essere contenuta entro parametri ben definiti. In tal senso dispone la legge, prevedendo che “l’attuazione delle sue disposizione debba risultare coerente con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica” (art. 20, comma 2, D. L. n. 67/1997). Secondo la pronunzia n. 394/2023 del TAR LIGURIA, “il diritto al rimborso non è un diritto al completo ristoro delle spese legali sostenute dal dipendente”. Il rimborso secondo il Collegio Amministrativo ha infatti carattere di indennizzo e non risarcitorio e/o restitutorio in senso stretto al punto che continuano i giudici amministrativi “l’emolumento spetta solo in corrispondenza delle attività che la parcella attesta come compiute”.

([3]) Secondo la giurisprudenza amministrativa maggioritaria dei giudici di Palazzo Spada (Cons. Stato n. 3593/2013 e Cons. Stato n.1266/2017), si tratta di un parere obbligatorio e vincolante ai fini della legittimità della procedura del rimborso.

([4]) Si comprende bene la ragione per cui è formalmente richiesto il parere di congruità da parte di un organo tecnico come l’Avvocatura di Stato. La stessa può sapientemente valutare le effettive esigenze processuali affrontate dal dipendente pubblico per difendersi delle accuse che gli sono state mosse in relazione alla presunta condotta contestata.

([5])La legge del 2 dicembre 2005, n. 248, ha disposto che le disposizioni dell'”articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile, liquida l’ ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”.

([6]) Sul punto si segnala la pronunzia del TAR LAZIO n. 16009/2024 secondo il quale “L’anticipo per il rimborso delle spese legali sostenute, corrisposto al dipendente pubblico assolto in primo grado, ha natura provvisoria e deve essere restituito al datore di lavoro pubblico, in caso di successiva condanna definitiva del dipendente nei gradi successivi di giudizio”.

([7])E’ evidente che nel comportamento del soggetto, deve ravvisarsi il cosiddetto “nesso di immedesimazione organica”. Occorre dunque che i fatti contestati al dipendente siano riferibili all’amministrazione di appartenenza e che determinino l’imputazione ad essa dei relativi effetti. In altre parole, la condotta deve essere espressione della volontà della amministrazione di appartenenza e risultare finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali (Cass. 1190/2013, Cass. 1568/2017; Cons. St. 3427/2018). Pertanto a contrario, si evince che “il diritto al rimborso non sussiste allorché il rapporto di lavoro abbia costituito una mera occasione per la commissione dei fatti imputati al dipendente”. Così Cass. civ.  n. 28597/2018.

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