Quante imprese sul Gran Zebrù! Il racconto di Meridiani Montagne

Sul numero 132 della rivista, dedicato al Gran Zebrù e alla Valfurva, un ampio articolo di Popi Miotti è dedicato alla storia delle ascensioni su questa affascinante piramide di ghiaccio e calcare. Una cima profondamente modificata dal cambiamento climatico L'articolo Quante imprese sul Gran Zebrù! Il racconto di Meridiani Montagne proviene da Montagna.TV.

Gen 27, 2025 - 15:27
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Quante imprese sul Gran Zebrù! Il racconto di Meridiani Montagne

La calotta di ghiaccio che rendeva quasi inaccessibile la vetta del Gran Zebrù non c’è più. E ben difficilmente si riformerà. Ma non per questo la splendida montagna a cavallo tra Lombardia e Alto Adige ha smesso di affascinare. Anzi, la maggiore accessibilità ha consentito a molti alpinisti di disegnare nuove superbe linee verso la vetta. Una sfida di tecnica e fantasia che viene giocata da quando nel 1864 la vetta fu violata per la prima volta. Meridiani Montagne nel numero attualmente in edicola ripercorre la storia alpinistica del Gran Zebrù (o Koenigspitze per dirlo alla tedesca), dell’assedio ai suoi diversi versanti portato dai più valenti scalatori europei caratterizzato come sempre da vittorie, rinunce e tragedie. Una storia che comincia con una fake news ante litteram, ovvero la “falsa” conquista della vetta annunciata dal giovane seminarista Stefan Steinberger. Ma che poi si sviluppa con infiniti capitoli, tutti incisi in modo indelebile nel calcare del Gran Zebrù.
Ecco qualche brevi Giuseppe “Popi” Miotti dal titolo La cima più bella

La prima salita, la prima discesa (con gli sci)

… La Koenigspitze restò dunque ancora inviolata fino al successo della comitiva inglese di Francis Fox Tuckett, H.E. ed Edward North Buxton con le guide Franz Biner e Christian Michel, che il 3 agosto 1864 risolse la faccenda. La soluzione che scelsero, un capolavoro di logica,è ancora oggi la Normale, tanto normale che negli anni Sessanta la sua abbondante copertura nevosa era percorsa da una vera e propria trincea scavata dai pretendenti la vetta. E’ anche un must per eccellenti sciatori alpinisti, un’esperienza che richiede ottime condizioni, le stesse che trovò nel 1940 Stefano Sertorelli, olimpionico del fondo nel 1936. Con un paio di sci di oltre due metri, la piccozza in una mano, un bastoncino nell’altra, la guida bormina si gettò nella vertiginosa discesa, anticipando di decenni le imprese di Heini Holzer e Tone Valeruz sulla via Minnigerode

…Terminata l’era pionieristica, la bella piramide calcarea non cessò di attirare le attenzioni degli alpinisti, e il maggiore innevamento di quei tempi favorì molto questa fase esplorativa. Incredibile la linea tracciata da Fritz Drasch e J. Jureck lungo il versante est nel 1886, ma in breve creste e pareti avranno tutte almeno una loro via. Alcuni di questi itinerari diverranno celeberrimi…

Kurt Diemberger su una dolce meringa

…Affacciato sull’abisso, il cornicione restava in attesa. Sarebbe giunto qualche audace disposto alla prova? In fondo si trattava di una sorta di inutile bravata, visto che era evitabile. Ci voleva una nuova stagione, un tempo in cui, assieme alla curiosità e all’ambizione, il sempre più difficile sarebbe entrato a far parte delle motivazioni degli scalatori. Negli anni Cinquanta la glaciale corona strapiombava sui 600 metri dell’impressionante scivolo nord, goloso dolce al termine dell’impresa, simile a una meringa gigante (Schaumrolle), come la definì Kurt Diemberger, “divoratore” delle maggiori pareti glaciali delle Alpi. La sfida era pronta per essere raccolta: una pazzia. Ma, come scrive Diemberger, “Ogni persona fa qualcosa di pazzesco almeno una volta nella vita…”. Lascio le cronache dell’impresa, compiuta il 22 settembre 1956, al bellissimo volume dedicato al Gran Zebrù da Davide Chiesa, ma ancor più della salita alla Meringa è per me memorabile la traversata sulla parete nord che Diemberger compì partendo dalla Suldengrat per raggiungere Herbert Knapp e Hannes Unterweger, che l’avevano “dimenticato” al rifugio…

Un re senza più corona

… Qualche anno dopo, nel pieno fiorire dell’alpinismo invernale, la Ertl fu percorsa, primi nella stagione meno favorevole, da Jack Canali e Paolo Nessi: era il marzo del 1961. I due evitarono però la Meringa, che fu scalata d’inverno solo nel 1974 dai giovani meranesi Leo Breitenberger, Helmut Larcher e Dieter Drescher. Causa un precedente crollo parziale, il passaggio si mostrò tuttavia meno impressionante di quello originale. Del resto, essendo formazione dipendente dallo stato dell’innevamento, dai venti dominanti, dalle temperature, lo strapiombo di ghiaccio ha subito numerose variazioni: pensate che un tempo di meringhe ce n’erano persino due. Ma anche la Koenigspitze ha dovuto arrendersi al mutare del clima: nel 2001 la “corona” è ruzzolata definitivamente dal suo capo, e difficilmente la rivedremo. Siamo nel pieno di grandi cambiamenti e le rocce del Gran Zebrù ne portano i segni, cosi come i ghiacci che scompaiono. Oggi le stagioni “buone” per salire sono l’inverno, l’autunno, se nevoso, o la primavera…

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