MPS- Mediobanca: cosa attendersi dal nuovo risiko bancario?

Gli istituti di credito italiani sono in una fase di grandi cambiamenti. In cerca del terzo polo, il settore bancario guarda continuamente verso possibili fusioni, anche a livello internazionale, nuovi assetti e scalate più o meno ostili. Partendo da Unicredit che puntava a Commerzbank e finendo, notizia di qualche giorno fa, a Mps che tentava la scalata a Mediobanca con la benedizione, pare, anche del governo. Ma cosa si nasconde dietro tutto questo fermento?  A rispondere è Francesco Megna esperto di finanza ed economia. La notizia dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha sorpreso i mercati. È possibile ricostruire la vicenda? «Il risiko bancario all’italiana vede un nuovo capitolo e al centro, questa volta, ci sono Monte Paschi di Siena e Mediobanca. Ricordiamo che il Monte dei Paschi ha lanciato nella mattinata del venerdì 24 gennaio un’offerta pubblica di scambio, OPS, totalitaria, su una banca d’affari fondata nel 1946, a Milano, da Enrico Cuccia. Parliamo di un’operazione di oltre 13 miliardi di euro. Detto così, parerebbe semplice, ma non lo è per niente. L’offerta è stata bollata giusto poche ore fa, come ostile, e questo è un primo punto critico. Il secondo è che MPS, che è l’acquirente, è più piccola di Mediobanca in termini di valori di mercato. Infine, la situazione è complicata dalle partecipazioni incrociate presenti nella proprietà dei due istituti, come quelle delle famiglie del Vecchio e Catagirone, entrambe in possesso di consistenti pacchetti di azioni. Insomma, un rebus che non sarà facile sciogliere. Tra l’altro, secondo i termini dell’offerta, come si legge nelle note, per ciascuna azione Mediobanca portata in adesione, Montepaschi offrirà un corrispettivo di 2,3 azioni ordinarie per una valorizzazione di 15,992 euro per azione Mediobanca. In base ai prezzi di chiusura, il prezzo incorpora un premio pari al 5,03%, già superato abbondantemente dal mercato. Tra l’altro, una delle condizioni di efficacia per l’offerta è il raggiungimento del 66,67% dei diritti di voto di Mediobanca. L’obiettivo finale, ovviamente, è il delisting. L’ad di Montepaschi, Lovaglio, dice che Mediobanca è la controparte migliore che si presenta nel momento migliore per un business combination forte. Vogliono unire le forze in un approccio industriale che è innovativo». Francesco Megna Quali sono gli intrecci tra Mps, Mediobanca e Generali, quest’ultima chiamata in causa come possibile obiettivo finale dell’intera operazione? «L’azionariato di MPS e Mediobanca è in parte simile. Di recente sono entrati nel capitale della banca senese Delfin, la holding degli eredi di Leonardo del Vecchio, con il 9,78%, Francesco Gaetano Caltagirone con il 5,026%, Banco BPM con il 5% e Anima con il 3,992%. Nell’azionariato senese c’è anche la quota residua del Ministero delle Finanze, pari all’11,73%, eredità del salvataggio avvenuto nel 2017. Il Ministero non ha posto alcun limite a questa operazione, come ha detto l’ad di Montepaschi di Siena, Lovaglio. I principali azionisti di Mediobanca sono Delfin con il 19,81% del capitale, Gruppo Caltagirone 7,76%, Gruppo BlackRock 4,23%, Gruppo Mediolanum 3,49%. Gli altri investitori hanno il 60,88% dell’azionariato, quindi parliamo di un azionariato per il resto composto da 46mila azionisti». Banche 26 Novembre 2024 Banco Bpm dice no all’offerta di Unicredit Banco Bpm: "preoccupazioni per ricadute su lavoro e sociali: Rimaniamo focalizzati sul nostro piano" 26 Novembre 2024 unicredit banco bpm Guarda ora Quali sono le motivazioni che hanno spinto i vertici dell’istituto senese verso una strategi

Gen 30, 2025 - 02:21
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MPS- Mediobanca: cosa attendersi dal nuovo risiko bancario?

Gli istituti di credito italiani sono in una fase di grandi cambiamenti. In cerca del terzo polo, il settore bancario guarda continuamente verso possibili fusioni, anche a livello internazionale, nuovi assetti e scalate più o meno ostili. Partendo da Unicredit che puntava a Commerzbank e finendo, notizia di qualche giorno fa, a Mps che tentava la scalata a Mediobanca con la benedizione, pare, anche del governo. Ma cosa si nasconde dietro tutto questo fermento?  A rispondere è Francesco Megna esperto di finanza ed economia.

La notizia dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha sorpreso i mercati. È possibile ricostruire la vicenda?

«Il risiko bancario all’italiana vede un nuovo capitolo e al centro, questa volta, ci sono Monte Paschi di Siena e Mediobanca. Ricordiamo che il Monte dei Paschi ha lanciato nella mattinata del venerdì 24 gennaio un’offerta pubblica di scambio, OPS, totalitaria, su una banca d’affari fondata nel 1946, a Milano, da Enrico Cuccia. Parliamo di un’operazione di oltre 13 miliardi di euro. Detto così, parerebbe semplice, ma non lo è per niente. L’offerta è stata bollata giusto poche ore fa, come ostile, e questo è un primo punto critico. Il secondo è che MPS, che è l’acquirente, è più piccola di Mediobanca in termini di valori di mercato. Infine, la situazione è complicata dalle partecipazioni incrociate presenti nella proprietà dei due istituti, come quelle delle famiglie del Vecchio e Catagirone, entrambe in possesso di consistenti pacchetti di azioni. Insomma, un rebus che non sarà facile sciogliere. Tra l’altro, secondo i termini dell’offerta, come si legge nelle note, per ciascuna azione Mediobanca portata in adesione, Montepaschi offrirà un corrispettivo di 2,3 azioni ordinarie per una valorizzazione di 15,992 euro per azione Mediobanca. In base ai prezzi di chiusura, il prezzo incorpora un premio pari al 5,03%, già superato abbondantemente dal mercato. Tra l’altro, una delle condizioni di efficacia per l’offerta è il raggiungimento del 66,67% dei diritti di voto di Mediobanca. L’obiettivo finale, ovviamente, è il delisting. L’ad di Montepaschi, Lovaglio, dice che Mediobanca è la controparte migliore che si presenta nel momento migliore per un business combination forte. Vogliono unire le forze in un approccio industriale che è innovativo».

Francesco Megna

Quali sono gli intrecci tra Mps, Mediobanca e Generali, quest’ultima chiamata in causa come possibile obiettivo finale dell’intera operazione?

«L’azionariato di MPS e Mediobanca è in parte simile. Di recente sono entrati nel capitale della banca senese Delfin, la holding degli eredi di Leonardo del Vecchio, con il 9,78%, Francesco Gaetano Caltagirone con il 5,026%, Banco BPM con il 5% e Anima con il 3,992%. Nell’azionariato senese c’è anche la quota residua del Ministero delle Finanze, pari all’11,73%, eredità del salvataggio avvenuto nel 2017. Il Ministero non ha posto alcun limite a questa operazione, come ha detto l’ad di Montepaschi di Siena, Lovaglio. I principali azionisti di Mediobanca sono Delfin con il 19,81% del capitale, Gruppo Caltagirone 7,76%, Gruppo BlackRock 4,23%, Gruppo Mediolanum 3,49%. Gli altri investitori hanno il 60,88% dell’azionariato, quindi parliamo di un azionariato per il resto composto da 46mila azionisti».

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Quali sono le motivazioni che hanno spinto i vertici dell’istituto senese verso una strategia simile?

«Prendere il controllo di Mediobanca porterebbe ad un’integrazione tra una banca commerciale tradizionale, come Montepaschi, e una banca di investimento con attività nell’asset management e nel credito al consumo, come Mediobanca. Ma soprattutto avrebbe inevitabili ricadute sul controllo di Generali perché Mediobanca è infatti il principale azionista di Generali, impegnata nell’integrazione difficile con Natixis e alla vigilia dell’assemblea che in primavera dovrà rinnovare il consiglio di amministrazione della compagnia triestina, in quella che si prospetta come una riedizione dello sconto tra Mediobanca e due sui principali azionisti. Andando a ritroso ricordiamo che Mediobanca è il principale azionista di Generali, con il 13% del capitale di cui sono soci da alcuni anni su posizioni opposte a Piazzetta Cuccia, anche Delfin, 9,99% e Caltagirone, 6,9%. La holding della famiglia Del Vcchio e il gruppo dell’imprenditore romano sono anche due principali azionisti di Mediobanca, come ricordato prima, di cui detengono rispettivamente il 19,8% e il 7,8% del capitale eappare improbabile che possano sostenere l’operazione del Monte, nel cui cda hanno fatto recentemente ingresso con i propri rappresentanti. Ricordiamo che nei capitali ci sono anche il Banco BPM con il 5% e Anima con il 4%. Mediobanca, come prima ricordato, ha nocciolo pari a poco più del 10% dei soci industriali riuniti in un patto di consultazione che è storicamente vicino al management. La Delfin della famiglia Del Vecchio controlla il 19,8% del capitale e Caltagirone ha in portafoglio un altro 7,8% della banca guidata da Nagel. L’obiettivo dichiarato da Montepaschi di Siena è quello di creare un nuovo campione nazionale nel settore bancario che si posiziona al terzo posto nei segmenti di business chiave attraverso la combinazione industriale di due dei principali player del settore: Montepaschi Siena, nel retail e commercial banking e Mediobanca nel wealth management, corporate e investment banking e credito al consumo, così come spiega una nota del Monte».

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Considerando la situazione di Mps, soprattutto ricordando il ruolo dello Stato nel suo recente salvataggio, l’istituto può essere considerato un predatore credibile per i mercati?

«Per quanto riguarda la credibilità di Montepaschi di Siena c’è stato recentemente un sondaggio dal quale emerge che il 37% degli utenti ha espresso un giudizio negativo. Solo il 10% ne sostiene i benefici, mentre invece il 52% si colloca su posizioni neutrali ma spesso con forti dubbi tecnici e una visione molto cauta sulle prospettive di questa operazione. Cioè prevale la perplessità, perché questa neutralità espressa dal 52% degli intervistati non è omogenea. Ci sono veramente dei dubbi e delle riserve significative. Soprattutto molti si concentrano sul ruolo di Delfini e Caltagirone, i due grandi azionisti che potrebbero determinare l’esito dell’OPS. Le analisi tecniche mettono comunque in evidenza le difficoltà di integrare due istituzioni profondamente diverse. Quindi due visioni diverse: mentre Lovaglio, l’ad di Montepaschi di Siena lo vede come una cosa positiva, alcuni analisti dicono che sarà difficile mettere insieme queste sinergie, anche perché le due banche operano con modelli di business che si sovrappongono poco, rendendo complesse le sinergie industriali promesse dal management. Poi un altro tema è il rischio di frammentazione culturale operativa dei due istituti. Si sa che Mediobanca, tradizionalmente è orientata verso l’investment banking e la gestione patrimoniale, e viene descritta come incompatibile con una struttura fortemente retail orientata al credito come Montepaschi di Siena. A questo si può anche aggiungere l’incertezza sulle reali strategie di Montepaschi, anche perché, come detto prima, molti analisti temono che l’acquisizione di Mediobanca è solo un passaggio per puntare al controllo di Generali. Ma le critiche più accese dipingono Montepaschi come un attore ancora fragile, che ha bisogno di ulteriori investimenti per completare il proprio risanamento e mettono addirittura in dubbio la reale sostenibilità di un’operazione così ambiziosa».

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Quali sono le possibili conseguenze sul panorama bancario italiano? Si può parlare di terzo polo?

«A scorrere i giornali c’è chi sottolinea come la banca senese non abbia ancora superato i nodi strutturali che l’hanno portata al salvataggio statale. C’è chi invece rileva che senza un mercato di capitali europeo integrato e una vera unione bancaria, parlare di terzo polo, rischia di restare un’illusione. Ho letto addirittura un commento di chi definisce l’operazione come la peggio scalata mai vista. Parlare di terzo polo direi quindi che è ancora prematuro perché ci sono questi aspetti non trascurabili rilevati dalla maggior parte degli analisti. Solo dopo una precisa e attenta valutazione delle operazioni, dopo la messa in atto, dopo la lettura di tutti gli atti dell’assemblea sarà più facile dare un parere».

Anche Bruxelles ha espresso parere positivo in merito all’operazione. Cosa si attende l’Europa dal settore bancario italiano?

«Bruxelles è favorevole all’integrazione tra banche, lo diceva anche Mario Draghi e lo dicono i vertici di Bruxelles. Però vediamo quando alcuni banchieri cerano di concretizzare i loro propositi si incontrano spesso difficoltà».

Da qui il dubbio espresso in conclusione da Megna: Campanilismi? Piani strategici non convincenti? Prezzi poco allettanti? Al mercato l’ardua sentenza.

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