L’avanguardismo neofuturista di Vincenzo Profeta

Vincenzo Profeta è uno scrittore che non la pensa come gli scrittori, utilizza un linguaggio strano, insolito, senza alcuna narrazione, una lingua che raggiungerebbe il sublime se fosse barocca, ma […]

Feb 1, 2025 - 04:58
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L’avanguardismo neofuturista di Vincenzo Profeta

Vincenzo Profeta è uno scrittore che non la pensa come gli scrittori, utilizza un linguaggio strano, insolito, senza alcuna narrazione, una lingua che raggiungerebbe il sublime se fosse barocca, ma resta una scrittura di facile fruizione perché per certi versi si pone l’obiettivo di raggiungere tutti. Non è detto sia un male, di questo libro è difficile parlare, rappresenta una novità assoluta, un frammento d’avanguardia neofuturista. Viola (GoG edizioni) è un antiromanzo, sembra raccontare una storia molto semplice: l’incontro in chat tra una milanese che si occupa di moda e un palermitano nichilista che si interessa di esoterismo, e perfino di satanismo. Ma questo è solo il primo strato, in realtà si tratta di un atto di decostruzione della letteratura, e dei miti contemporanei. Profeta è un anarchico di destra, ma non credo che le nostre divergenze possano compromettere il pensiero che ho della sua scrittura: è una scrittura ispirata, nuova, che va letta anche e soprattutto per il modo in cui cerca di eludere la narrazione per entrare nella mente del suo protagonista, Osvaldo. I dialoghi in chat sono racchiusi in vignette da fumetto che riportano una scrittura minima, antiletteraria, un’antiscrittura. Si tratta di un incontro di boxe tra maschile e femminile, il linguaggio si fa inesistente. A interrompere i dialoghi, pagine celestiali di monologo scevro da accadimenti, in cui il contemporaneo è ferocemente analizzato dal protagonista, scrittore disoccupato, che si aggira per una Palermo senza speranza come si aggirasse per un luogo metafisico devastato da una guerra atomica.

Viola potrebbe non esistere, o esistere solo nella sua mente, o essere un chatbot, ma ciò non ha importanza, perché lei è per lui kafkianamente il coltello con cui scrutare dentro sé stesso.

È un libro celiniano, che affonda nel popolare per poi risalire nella vertigine. Un testo dal ritmo incalzante: si fa leggere, nonostante il suo protagonista appaia detestabile, essendo parte di un mutamento antropologico profondo, e inquietante – e rappresenta perciò una reale chiave di lettura del presente – vive nell’odio delle diversità, ma anche in una profonda devastazione interiore che chiede un amore talmente grande da poter essere assimilato all’amore di Dio. Osvaldo sembra prendersi gioco dell’intera umanità, abbandonarsi a dietrologie complottiste, cercare di dissolversi consegnandosi all’universo come fosse l’ultima speranza di riportare in vita un Dio assassinato dalla ragione.

Il libro è intriso di pagine potenti di puro esoterismo, di verità nascoste, di un contatto dell’umano con l’abissale. È la storia dell’eterno scontro tra tecnologia e esoterismo, tra futuro e passato che ritorna, tra un contemporaneo che va a schiantarsi, nella sua bulimia di esperienze nullificanti, contro la propria stessa hybris; e di un’attrazione affatturante, che definirei fascino in termini demartiniani, verso la magia.

La magia è di destra e la tecnica di sinistra? Può darsi, o può darsi sia il contrario, oppure tali categorie sono vecchie, stantie, non significano nulla, sono forse il modo che trovano i due personaggi per cercare un’identificazione in un mondo ormai vuoto e collassato nell’assenza totale di identità, in un becero scontro uomo-donna, conservatorismo-progressismo, patriarcato-femminismo. A dire il vero, Profeta, sembra essere più di tutto un situazionista, che utilizza le categorie del presente per dissolverle, portavoce di una nuova avanguardia, che porta al punto di rottura la letteratura stessa, e tende alla sparizione nella clandestinità. L’universo ci osserva, e ogni nostro atto ci verrà restituito. Chi sei? Non è importante. Nessuno. E, forse, con Emily Dickinson, questo è l’incontro-scontro tra due nessuno, dispersi nella furia del contemporaneo. Profeta è diretto, non utilizza nessun canone della narrazione, non dissimula, non mostra senza dire, ma affascina.

Di sicuro Vincenzo Profeta è un provocatore, ma Viola è un libro che va letto, perdonategli qualche refuso, ma leggetelo, si tratta di una modalità altra del raccontare, che implica una modalità altra di porsi nei confronti della conoscenza: senza ego, senza che divenga una forma di dominio, come invece per lo più accade.

«Non parlate con gli zombie umanoidi di oggi. Gli androidi di ultima generazione non solo non vi capirebbero. Ma faranno di tutto per controllarvi nel corpo e nella mente. Divieni tutto e sarai nulla, la selvaggia manifestazione della vita eterna, una forza al più alto livello dell’iniziazione, la totale disaffezione dall’ego, solo la nuda presenza del fuoco universale, i riti, le cerimonie, le pratiche meditative, le preghiere, modi mediati, niente stronzate new age, solo Dio, solo tu e Cristo, per approcciare questa potenza, il tratto finale è immergersi in questo turbine, nulla che noi pensiamo di essere può essere paragonato a questa forza. Chi conserva un io, un frammento di personalità, è destinato a fallire, divieni nulla, e sarai tutto, luce divina, concentratevi, in una massa oscura fuori da voi, aggregate tutto in questa palla, ecco il vuoto di questa palla è il tutto, ogni cosa è dentro un libro, per quello non mi interessano i libri, il mio ultimo capolavoro è fuori da qui, affannarsi per arrivare alle 100 pagine perfette, e usare come riempitivo di tutto pure questa stronzata appena scritta».