Imprese italiane in ritirata: dieci su cento chiuse dal 2019 ad oggi
La crisi delle imprese manifatturiere italiane si aggrava. Tra il 2019 e il 2024, ben 59mila imprese hanno cessato l’attività, una perdita pari a oltre il 10% delle aziende del macrosettore manifatturiero. A rivelarlo sono i dati di InfoCamere-Movimprese, che fotografano una situazione critica: alla fine del 2024, il numero di imprese attive nella manifattura […] L'articolo Imprese italiane in ritirata: dieci su cento chiuse dal 2019 ad oggi proviene da Economy Magazine.
La crisi delle imprese manifatturiere italiane si aggrava. Tra il 2019 e il 2024, ben 59mila imprese hanno cessato l’attività, una perdita pari a oltre il 10% delle aziende del macrosettore manifatturiero. A rivelarlo sono i dati di InfoCamere-Movimprese, che fotografano una situazione critica: alla fine del 2024, il numero di imprese attive nella manifattura si è ridotto a 497.423, rispetto alle 556.188 registrate nel 2019.
Il fenomeno è il risultato di una combinazione di più fattori diversi: il colpo inflitto dalla pandemia, i costi energetici e costi delle materie prime in forte aumento, e l’instabilità geopolitica legata alla guerra in Ucraina. Alcuni settori, come la moda e la metallurgia, hanno subito le conseguenze più pesanti. A questo si aggiunge l’aumento del costo del denaro e il rallentamento dei consumi, in un contesto economico ancora segnato dalle fiammate inflazionistiche.
Sebbene esistano segmenti sempre dinamici, soprattutto quelli legati alla sostenibilità e all’innovazione, la componente più tradizionale del made in Italy soffre. In molti casi, per sopravvivere, le piccole imprese vengono inglobate da realtà più grandi della filiera, in un processo di aggregazione sempre più necessario per affrontare le sfide del mercato globale.
Moda e metallurgia tra i settori più colpiti
Nel dettaglio, il comparto moda ha perso 15.381 aziende, mentre la produzione di metalli (esclusi i macchinari) ha visto scomparire oltre 9.000 realtà. La crisi del fashion è legata a una contrazione della domanda estera, con il segmento della confezione che ha registrato un calo di quasi 8.000 imprese (-14,8%) e la produzione di articoli in pelle che ha perso il 18,8% delle aziende attive.
Le aree più colpite sono le province di Fermo, Ascoli Piceno e Macerata, storici distretti della pelletteria e calzatura, insieme a Toscana e Veneto. Anche il tessile ha sofferto: in cinque anni ha perso quasi il 17% delle imprese, colpendo duramente distretti come Biella, dove il ricorso alla cassa integrazione è esploso nel 2024.
Non solo moda: crisi anche per arredamento e alimentare
Se la moda e la metallurgia sono i settori più in difficoltà, anche altri comparti strategici hanno subito perdite rilevanti. Il settore del mobile ha registrato una riduzione del 14% delle aziende, con la scomparsa di 3.576 imprese, mentre l’industria alimentare ha perso circa 4.000 realtà, con una contrazione del 6% dello stock complessivo.
La trasformazione del tessuto imprenditoriale italiano è evidente anche nel tipo di aziende che scompaiono: le imprese individuali sono diminuite di oltre 26.000 unità (-12%), seguite dalle società di persone (-20,5%). Il calo è stato più contenuto per le società di capitali (-3,4%), a dimostrazione di una tendenza alla concentrazione e alla crescita dimensionale per affrontare le difficoltà del mercato.
Dinamiche di cambiamento: chi sopravvive?
Secondo Marco Granelli, presidente di Confartigianato, molte imprese artigiane stanno cambiando forma giuridica, trasformandosi in società di capitali per restare competitive. Questo spiega in parte il calo delle registrazioni, ma non annulla il problema di fondo: la manifattura italiana sta vivendo una fase di profonda transizione, con alcune eccellenze che faticano a reggere il passo.
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