Il Centro politico ha un futuro? Dentro o fuori del Pd? Pregi e limiti dei convegni di Milano e Orvieto
Se vuole sperare di costruire un'alternativa al governo Meloni, il centrosinistra deve rafforzare e valorizzare l'area più autenticamente riformista prendendo atto del fatto che il Pd è l'architrave dello schieramento progressista ma non può inglobarne tutte le anime L'articolo Il Centro politico ha un futuro? Dentro o fuori del Pd? Pregi e limiti dei convegni di Milano e Orvieto proviene da FIRSTonline.
I convegni dello scorso week end dei cattolici democratici a Milano e dei riformisti Pd di Libertà Eguale a Orvieto hanno avuto il grande merito di mettere a nudo un problema che stava maturando da tempo ma che faticava ad emergere nel dibattito politico dello schieramento progressista: lo sbilanciamento a sinistra del Pd di Elly Schlein e la necessità di una gamba più moderata nel centrosinistra. Una gamba spiccatamente riformista che riequilibri il campo progressista evitando di regalare all’astensionismo o alla destra gli elettori che vogliono sì votare a sinistra ma per una sinistra pragmatica e priva di tentazioni massimaliste. Soprattutto di una sinistra non a rimorchio dei fuffaguru, come li chiama qualcuno, dei Cinque Stelle o partito dei Bonelli e Fratoianni. E di una sinistra che non si accontenti di fare opera di testimonianza ma si ponga concretamente l’obiettivo della conquista del potere scalzando il governo di destra-centro.
Il Centro politico e le sfide che lo attendono
Se il Centro politico non vuol essere solo uno stato d’animo è però essenziale che rifugga dal festival delle vanità tutto giocato sui nomi dei presunti federatori del centrosinistra, ma si metta in grado di sviluppare una forte battaglia politica e culturale capace di esprimere una visione di società che faccia tesoro del Rapporto Draghi di fronte alle sfide epocali del nostro tempo, di dire qual è l’Italia del futuro che si vuole, di definire una strategia per l’alternativa al governo Meloni, di elaborare programmi molto concreti e in grado raccogliere un vasto consenso tra i cittadini. Una strategia per l’alternativa non può ridursi solo alla battaglia per la sanità e per il salario minimo come fa la Schlein, ma deve saper dare una risposta alle esigenze di tutta la società. Ma, al di là delle strategie e dei programmi, c’è un metodo che distingue il Centro: il metodo del pragmatismo che non dimentica mai che tra il desiderabile e il possibile vince sempre il secondo e che il compromesso è il sale della politica.
I convegni di Milano e di Orvieto sono l’inizio, non esclusivo, di un cammino che ha ancora molta strada da fare ma che deve sapersi dare traguardi temporalmente ravvicinati e provare a vincere già nelle elezioni politiche del 2027. Per farlo occorre sbarazzare il campo dalle ambiguità e soprattutto da due illusione ottiche.
Il Centro politico e le due ambiguità da cancellare
La prima ambiguità da cancellare riguarda l’illusione del Terzo polo di Carlo Calenda che non ha speranze di successo in presenza di una legge tendenzialmente maggioritaria che rafforza il bipolarismo e che perciò obbliga a schierarsi in uno dei due schieramenti – o di qua o di là – o con la destra o con la sinistra e, nel caso delle forze autenticamente riformiste, con il centrosinistra.
Ma c’è anche l’ambiguità opposta da superare, che è serpeggiata soprattutto ad Orvieto, quella cioè che pensa ancora che il Pd possa essere un partito a vocazione maggioritaria che ingloba tutte le anime del progressismo, da Matteo Renzi a Giuseppe Conte. Come ha onestamente riconosciuto il padre dell’Ulivo, Romano Prodi, in nessun Paese d’Europa c’è un partito che da solo possa rappresentare tutto il fronte progressista e riformista e che possa alimentare uno vocazione maggioritaria, Nemmeno il Pd, che pure rappresenta l’ancora del centrosinistra. Il che vuol dire che la gamba riformista dello schieramento progressista centrosinistra può agire dentro ma anche fuori il Pd. Si può benissimo marciare divisi purché si colpisca uniti, cioè insieme si punti alla conquista del 51% dei consensi elettorali e alla guida del Governo non per galleggiare ma per aggredire in chiave europea le grandi sfide che stanno di fronte a noi e che reclamano una pioggia ben coordinata di riforme.
La scelta delle alleanze e del leader nel campo progressista
Tutto questo implica una saggia politica di alleanze, senza che nessuno ponga veti, e la ricerca di un leader che sappia unire lo schieramento progressista? Certamente sì, ma se manca il cemento di una piattaforma politica e programmatica comune , le alleanze, come le stesse esperienze di governo dell’Ulivo hanno dimostrato, nascono e muoiono nello spazio di un mattino. Idem per il candidato premier: non può nascere dall’alto ma vincerà chi porta più voti ma soprattutto chi ha più idee e chi sa unire di più. Vasto programma direbbe il generale De Gaulle. Bonne chance .