Il caso Almasri: vicenda complessa, tra decisioni e ambiguità istituzionali

lentepubblica.it La vicenda del capo della polizia libica, Najeem Osema Almasri, si presenta come un complesso groviglio di decisioni, procedure e comunicazioni istituzionali. Le discrepanze riscontrate nelle tempistiche ministeriali e le scelte operative adottate generano una serie di interrogativi, gettando ombre sulla coerenza e sulla trasparenza del coordinamento tra le autorità italiane e gli organismi internazionali. […] The post Il caso Almasri: vicenda complessa, tra decisioni e ambiguità istituzionali appeared first on lentepubblica.it.

Feb 3, 2025 - 22:57
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Il caso Almasri: vicenda complessa, tra decisioni e ambiguità istituzionali

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La vicenda del capo della polizia libica, Najeem Osema Almasri, si presenta come un complesso groviglio di decisioni, procedure e comunicazioni istituzionali.


Le discrepanze riscontrate nelle tempistiche ministeriali e le scelte operative adottate generano una serie di interrogativi, gettando ombre sulla coerenza e sulla trasparenza del coordinamento tra le autorità italiane e gli organismi internazionali.

La richiesta della CPI e il contestuale rimpatrio

Tutto comincia il 21 gennaio: intorno alle ore 16:00 il Ministero della Giustizia, con una nota ufficiale, comunica di aver ricevuto dalla Corte penale internazionale (CPI) una richiesta d’arresto per il cittadino libico Najeem Osema Almasri. Nella nota si leggeva che lo stesso guardasigilli Carlo Nordio, vista la complessità dei documenti ricevuti, stava valutando se inoltrare formalmente la richiesta della CPI al procuratore generale di Roma.

Contemporaneamente – e qui cominciano le prime stranezze – un Falcon 900 dei servizi segreti italiani era pronto al decollo presso l’aeroporto di Torino Caselle. Intorno alle 20:00, il velivolo partiva con Almasri a bordo, atterrando poi verso le 22.00 a Mitiga, nei pressi di Tripoli, la capitale libica.

Dov’è l’ambiguità? Ebbene, mentre il ministro si dichiarava ancora indeciso sul se autorizzare formalmente l’arresto di Almasri, il Governo aveva già attivato la procedura per la sua espulsione. Si deduce quindi che il rimpatrio del capo della polizia libica risultasse già organizzato dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nonché responsabile dei servizi segreti, Alfredo Mantovano.

Cortocircuito dell’esecutivo o tentativo, peraltro assai maldestro, di nascondere qualcos’altro?

Caso Almasri: chi è e perché la CPI ne vuole l’arresto

Prima però di proseguire nell’analisi della vicenda, è opportuno soffermarsi sulla figura di Almasri: chi è e soprattutto perché la CPI ne ha richiesto la cattura?

Partiamo innanzitutto dal nome: secondo alcune fonti, il suo vero nome sarebbe Osama al-Najeem, mentre “Almasri” sarebbe il nome di battaglia che significa “l’egiziano”. Soprannominato anche il “torturatore di Mitiga”, il capo della polizia libica è accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra. Inoltre, è ritenuto responsabile, assieme ai suoi uomini, di una serie di abusi, tra cui omicidi, violenze sessuali e torture nelle strutture detentive di Tripoli, in particolare nella tristemente nota prigione di Mitiga (da qui il soprannome). Membro di un gruppo militare islamista denominato Rada e uomo di fiducia del signore della guerra Abdel Raouf Kara, Almasri, prima della vicenda che oggi raccontiamo, aveva già toccato il suolo europeo in varie occasioni.

Il viaggio in Europa e la tardiva richiesta della CPI

Fatta questa premessa, torniamo al mistero del suo arresto e del successivo rimpatrio.

L’arrivo di Almasri in Europa risale al 6 gennaio, allorquando lo stesso, con un volo da Tripoli atterrava a Londra, con scalo a Fiumicino. Nella capitale britannica rimaneva fino al 13 gennaio. Successivamente, giungeva in treno a Bruxelles, per poi spostarsi in Germania e fermarsi a Bonn. Da lì, insieme ad almeno un altro soggetto, noleggiava un’automobile con direzione Monaco.

Il 16 gennaio, durante il tragitto, veniva fermato dalla polizia tedesca per un controllo ordinario. Giunto a Monaco in data 18 gennaio, Almasri noleggiava un ulteriore veicolo con cui giungeva a Torino nel tardo pomeriggio, con lo scopo di assistere alla partita Juventus-Milan insieme a tre connazionali libici.

Dalla ricostruzione della “vacanza” di Almasri in Europa si evince chiaramente che la Corte penale internazionale avrebbe avuto tutto il tempo per richiedere la sua cattura. Quindi, perché attendere solo il 18 gennaio? Secondo quanto comunicato dalla CPI, il fascicolo contro Almasri risultava aperto solo in data 2 ottobre 2024 e un funzionario della stessa Corte (del quale non è nota l’identità) ha precisato che la decisione di emettere il mandato di cattura si assumeva solo una volta che la presenza del funzionario libico risultava effettivamente confermata in Europa, quindi in data 18 gennaio 2025. In quel frangente, la Corte, riunitasi in camera di consiglio preliminare presso la sede dell’Aia, decideva di diramare la richiesta di cattura affinchè Almasri si presentasse dinanzi ad essa per rispondere di ben dodici capi d’accusa, tra cui crimini contro l’umanità, violenze sessuali, tortura e altri atti inumani.

Un ritardo apparentemente privo di giustificazioni: ma per il Governo è una ritorsione

Proprio su questo ritardo però, apparentemente privo di giustificazioni e giudicato sospetto dal governo Meloni, l’esecutivo italiano fonda la propria tesi secondo cui l’inerzia della CPI costituirebbe una sorta di ritorsione nei confronti dell’Italia, colpevole di aver preso una posizione netta in ordine al mandato d’arresto (sempre emesso dalla CPI) contro il premier israeliano, Benjamin Netanyahu.

Alcuni giorni fa, infatti, il Times of Israel diffondeva le dichiarazioni del Ministro degli esteri israeliano Gideon Sa’ar, il quale avrebbe detto: “Ho parlato con i ministri Antonio Tajani e Carlo Nordio e non ho l’abitudine di riferire ciò che si dice, ma non c’è nessun problema per chiunque venga a Roma, nemmeno per Netanyahu”.

Dopo poco arriva la conferma da parte del ministro degli esteri italiano, Tajani: “Mi pare tutto molto chiaro, ci sono delle immunità e le immunità vanno rispettate. Vedremo quali sono i contenuti della decisione e le motivazioni che hanno spinto a questa decisione la corte. Noi sosteniamo la Cpi ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non un ruolo politico. Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare”.

L’arresto a Torino e le incongruenze procedurali

L’arresto di Almasri è avvenuto alle ore 03:30 di domenica 19 gennaio nella sua stanza presso l’hotel Holiday Inn di piazza Massaua a Torino, dove il “torturatore di Mitiga” alloggiava. Tuttavia, anche il suo arresto desta alcune perplessità, dal momento che Almasri, già nella mattinata del giorno precedente (18 gennaio), precisamente alle ore 11, risultava intercettato dalla squadra mobile della Digos di Torino. Gli agenti, infatti, dopo aver notato in via Lagrange una Volkswagen Golf station wagon con targa tedesca e quattro passeggeri, avevano effettuato un controllo. Tra i passeggeri, oltre ad Almasri, vi erano due cittadini libici – Bramitah Murad Shiboub, al volante, e Sghiar Ayoub Youssef Elmokhtar – e un cittadino statunitense, Usta Osama Mohamed, l’unico con precedenti giudiziari risalenti al 2009 per un reato di ricettazione. I quattro, comunicando in inglese, avevano dichiarato la loro intenzione di assistere alla partita Juventus-Milan e, pertanto, erano stati lasciati liberi.

Verso mezzanotte però, la questura di Torino comunicava alla Digos l’arrivo di un mandato internazionale per Almasri. Gli agenti procedevano dunque all’arresto dello stesso nella stanza dell’hotel, all’interno della quale rinvenivano alcuni oggetti, tra cui un mirino per fucile, una somma pari a 5.455 euro in banconote di grosso taglio, 105 sterline inglesi e due cellulari.

Dopo l’arresto, Almasri veniva condotto presso il carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino.

La pronuncia della Corte d’appello di Roma

Controversa è anche la pronuncia della Corte d’appello di Roma, che ha dichiarato “irrituale” l’arresto di Almasri, fondando la propria decisione su un vizio di forma procedurale. In base alla legge 237 del 2012, con cui l’Italia ha recepito lo statuto della CPI, è competenza del ministro della Giustizia – attraverso l’adozione dei relativi canali ufficiali – dare attuazione alle richieste provenienti dalla Corte. Nel caso in esame, il mandato d’arresto era stato comunicato a Carlo Nordio solo dopo che la polizia aveva già eseguito il fermo, determinando così la mancata convalida dell’operazione da parte dei giudici.

Il quadro dei rapporti Italia-Libia

Varie sono le stranezze e le ambiguità che emergono da questa vicenda, la cui analisi però non può prescindere dalla ricostruzione dei rapporti internazionali che legano Italia e Libia e che risalgono al lontano 2008.

Il 30 agosto di quell’anno infatti, il governo italiano, guidato da Silvio Berlusconi siglava il cd. Trattato di Bengasi, un Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione con la Libia, con cui si definivano i principi generali volti a regolare i rapporti bilaterali. In parole semplici, le due nazioni si impegnavano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra e ad astenersi da ogni forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni, nel pieno rispetto dello spirito di buon vicinato.

Il 2 febbraio del 2017, il governo italiano, guidato da Paolo Gentiloni, siglava un “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana”. L’accordo stabiliva un impegno congiunto tra Italia e Libia per affrontare e gestire il fenomeno dell’immigrazione clandestina, combinando misure di sicurezza con iniziative di sviluppo socio-economico. In particolare, le due parti si proponevano di lavorare insieme per rafforzare le istituzioni libiche, specialmente quelle responsabili della sicurezza e della gestione delle frontiere, al fine di contenere i flussi di migranti illegali e mitigare le conseguenze legate a tali movimenti.

Opportunità politica o vizio di forma?

Tanto premesso, non si può fare a meno di chiedersi se la decisione di liberare Almasri derivi da ragioni di opportunità politica e strategica, piuttosto che da un mero vizio di forma procedurale (come asserito dalla Corte d’Appello). È possibile che le relazioni storiche tra Italia e Libia, rafforzate dagli accordi tesi a contenere i flussi migratori illegali, abbiano indotto il governo italiano a temere che l’arresto del “torturatore di Mitiga” potesse innescare un’onda migratoria incontrollata dal territorio nordafricano?

Varie sono infatti le incongruenze riscontrabili nella vicenda. Mentre il ministro della giustizia Nordio stava valutando se inoltrare alla procura di Roma la richiesta di arresto, il ministero dell’interno e i servizi segreti italiani avevano già organizzato il rimpatrio di Almasri, avvenuto con un Falcon 900 dell’aeronautica italiana che, per inciso, è lo stesso velivolo impiegato dai servizi segreti per il rimpatrio dall’Iran della giornalista Cecilia Sala.

Un trattamento, dunque, particolarmente favorevole per un personaggio come Almasri, che sicuramente non ha la fama di filantropo. Trattamento che però stride con quelli solitamente riservati ai migranti irregolari che risultano espulsi dal territorio italiano. Infatti, normalmente le autorità italiane noleggiano dei voli charter per l’accompagnamento coattivo dei soggetti irregolari, i quali vengono ricondotti nei propri paesi d’origine accompagnati da alcuni agenti di polizia e legati da fascette.

Almasri invece è sceso dal velivolo italiano sorridente e senza restrizioni, come se si fosse trattato di un alleato dell’Italia, sebbene il ministro dell’interno Piantedosi, nel giustificare tale modus operandi, abbia definito il capo della polizia libica un “soggetto pericoloso”.

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