Dazi e protezionismo proteggono davvero l’economia interna? Report di Ref Ricerche sullo stallo del commercio mondiale
Secondo l’ultimo rapporto di Ref Ricerche, il commercio mondiale rallenta, mentre la deglobalizzazione accelera con politiche protezionistiche e catene produttive sempre più locali. L’economia globale si adatta a un ordine nuovo, frammentato e incerto L'articolo Dazi e protezionismo proteggono davvero l’economia interna? Report di Ref Ricerche sullo stallo del commercio mondiale proviene da FIRSTonline.
Il commercio mondiale cresce, ma lentamente, con una stagnazione che persiste da anni. Secondo l’ultimo rapporto di Ref Ricerche le ragioni sono chiare: la domanda di beni è fiacca, influenzata dalle politiche monetarie globali, mentre il settore automobilistico fa i conti con la difficile transizione ecologica. In parallelo, la deglobalizzazione avanza: i Paesi adottano misure protezionistiche che frenano l’espansione dei mercati globali. La guerra commerciale di Trump, con i suoi dazi, sta rimodellando gli scambi internazionali e mettendo a dura prova le relazioni globali. Di conseguenza, i mercati si stanno adattando a un mondo sempre più locale e protezionista, con ripercussioni concrete sull’economia globale
Deglobalizzazione: perché il mondo sta tornando locale
La stagnazione è solo una faccia della “deglobalizzazione“. Da oltre 15 anni, i Paesi adottano politiche protezionistiche che hanno accorciato le catene produttive, rendendole più locali e meno globali, spesso per evitare dazi. Allo stesso tempo, le aziende puntano sempre di più sull’integrazione verticale dei processi produttivi, cioè producendo internamente per ridurre i costi derivanti da forniture lontane.
I numeri parlano chiaro: il commercio mondiale cresce meno del Pil. Negli anni ’90 cresceva del 7%, oggi solo del 2,5% annuo, con le merci che registrano l’aumento minore, sotto l’1,5%. Le cause? La crisi finanziaria del 2008, l’aumento del costo del lavoro in Cina e, ovviamente, la consapevolezza che la globalizzazione, a volte, ha più svantaggi che vantaggi.
Nonostante questo rallentamento, gli scambi di servizi, inclusi turismo e il business online, continuano a crescere. Tuttavia, a differenza delle merci, questi scambi sono meno interconnessi tra i Paesi.
Post-Covid ed energia: l’autarchia come nuovo paradigma economico
Negli ultimi anni, la pandemia e la crisi energetica europea hanno intensificato la spinta verso l’autarchia, evidenziando i rischi di dipendere troppo da Paesi lontani.
La pandemia ha mostrato le fragilità delle catene di approvvigionamento globali, paralizzando settori come quello dei microchip e costringendo le aziende a mantenere scorte più costose in un contesto di tassi elevati. La dipendenza energetica dalla Russia ha spinto l’Europa a investire massicciamente nelle rinnovabili per ridurre i rischi legati alle forniture e abbattere i costi. Inoltre, la crisi ha acceso il dibattito sui rischi sanitari e sull’impatto della delocalizzazione del lavoro, alimentando il malcontento nei Paesi avanzati.
Dazi e protezionismo: funzionano o no?
Le tariffe commerciali, cuore della Trumpnomics, sono uno degli strumenti principali usati per proteggere i mercati interni dalla concorrenza estera. Ma queste misure non sono sempre la panacea. Se da un lato sembrano favorire i produttori locali, dall’altro possono scatenare vere e proprie guerre commerciali, con altri Paesi che reagiscono a colpi di dazi, penalizzando gli esportatori locali. Inoltre, le tariffe non sono impenetrabili. Esiste una “triangolazione commerciale”, che permette ai prodotti di aggirare i dazi passando per Paesi terzi.
Inoltre, l’introduzione di tariffe può far apprezzare la valuta nazionale, riducendo l’efficacia delle politiche e creando un circolo vizioso che complica la competitività locale. Le tariffe, infine, possono aumentare le tensioni politiche internazionali, ostacolando la cooperazione su temi globali complessi, come la lotta al cambiamento climatico.
Cina in ascesa: come ha superato i dazi con innovazione e strategie green
Nonostante i dazi imposti durante la prima presidenza Trump, la Cina è riuscita a mantenere il suo avanzo commerciale e ad aumentare la sua quota di mercato globale. Grazie alla svalutazione dello yuan, Pechino ha continuato a rendere competitivi i suoi prodotti, e a mantenere i costi di produzione più bassi rispetto agli altri Paesi. Ma non si è fermata lì: la Cina ha diversificato la sua produzione, spostandosi da settori a basso valore aggiunto verso tecnologie avanzate come le auto elettriche, le celle fotovoltaiche e le batterie agli ioni di litio, sfruttando le opportunità legate alla crescente domanda di tecnologie green.
Deficit Usa ed export: perché il surplus commerciale sta crescendo
Nonostante l’aumento delle importazioni di gas, l’Europa ha visto crescere il suo surplus commerciale con gli Usa, alimentato da politiche fiscali più espansive che hanno aumentato il deficit Usa al 8% del PIL nel 2024. L’Europa ha dovuto affrontare una contrazione del potere d’acquisto dovuta alla crisi energetica, ma l’aumento dei consumi Usa ha spinto le importazioni americane, mentre in Europa sono cresciute meno.
L’Eurozona ha sofferto per le difficoltà energetiche, ma ha saputo riprendersi. Paesi con surplus come Cina, Messico e Canada stanno affrontando minacce protezionistiche da parte degli Usa. Per l’Italia, l’export verso gli Usa è cresciuto, con metalmeccanica e agroalimentare in evidenza, ma le politiche protezionistiche di Trump potrebbero mettere a rischio questi settori.
Rapporti commerciali Usa-Europa: dazi, accordi e prospettive future
I rapporti commerciali tra Stati Uniti ed Europa, secondo i ricercatori di Ref Ricerche, potrebbero vedere un ulteriore ampliamento del surplus commerciale europeo, grazie a due fattori principali: le politiche fiscali divergenti tra le due sponde dell’Atlantico e il rafforzamento del dollaro. Nonostante un considerevole surplus bilaterale, le esportazioni europee potrebbero essere influenzate dai dazi di Trump, ma l’impatto dipenderà dalla loro entità e dall’ulteriore apprezzamento del dollaro.
Una soluzione probabile potrebbe essere un nuovo accordo commerciale simile a quello del primo mandato di Trump, quando l’Europa accettò di aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto e soia in cambio dell’eliminazione delle tariffe. Oggi, ci si aspetta un aumento delle importazioni di gnl, ma potrebbero esserci discussioni anche su altri settori, come i beni agricoli e, forse, gli armamenti, a causa delle critiche all’Europa sullo spese militari.
Trumpnomics 2025: cosa aspettarsi tra guerre commerciali e inflazione
Le prime mosse dell’amministrazione Trump hanno sollevato un bel po’ di dubbi su come andranno le cose nel 2025. Al momento, però, le aspettative sembrano orientarsi verso misure più leggere rispetto a quanto promesso, focalizzandosi su “azioni simboliche” per mantenere le promesse elettorali, come l’espulsione di immigrati.
Alcuni aspetti della Trumpnomics, però, sono inevitabili. Già da settimane, le politiche hanno influito sull’inflazione e sui tassi d’interesse, rafforzando il dollaro. Se le guerre commerciali non si risolvessero, potrebbero intensificarsi, danneggiando l’economia globale e gli investimenti.
Lo scenario peggiore? Tassi d’interesse più alti e previsioni più cupe, con effetti anche sui mercati azionari. In ogni caso, anche se le guerre commerciali restano per lo più simboliche, non mancheranno interventi concreti, accelerando quella tendenza alla chiusura dei mercati che dura ormai da anni.