Rifò: il brand green che crea capi sostenibili da fibre rigenerate
VOCE DEL VERBO "RIFARE", prima persona singolare. È sufficiente il nome di questa avventura, cominciata nel 2017 dall’altra parte del...
VOCE DEL VERBO "RIFARE", prima persona singolare. È sufficiente il nome di questa avventura, cominciata nel 2017 dall’altra parte del mondo, per riportare alla mente un microcosmo antico, squisitamente toscano, fatto di manualità e competenze preziose, tramandate di generazione in generazione. Rifò è, in effetti, un’inflessione toscana del verbo "rifare", un verbo che riprende la tradizione della rigenerazione tessile in uso, da oltre un secolo, nel famoso distretto tessile di Prato. Quando Niccolò Cipriani (nella foto), founder di Rifò, arriva in Vietnam grazie a un programma delle Nazioni Unite, nel 2017, trova davanti a sé un panorama desolante: ovunque, montagne di vestiti invenduti o ‘scartati’ dai nostri armadi troppo pieni, riversati in immense discariche o destinati all’inceneritore. Il frutto di un sistema economico squilibrato, basato sulla produzione a oltranza e non sulla qualità. "Si produce molto di più rispetto alle nostre necessità – spiega Cipriani – e si creano quantità smisurate di produzione e vendita. Mi è parso subito evidente come si dovesse tornare a un sistema basato sulla valorizzazione della qualità; allo stesso tempo, ho iniziato a domandarmi in che modo si potesse ‘rivalorizzare’ tutto lo scarto prodotto finora". Così ha un’idea: lascia tutto e torna nella sua città, Prato: qui, la tradizione legata alla rigenerazione tessile è nata secoli fa, quando riciclare era frutto del buon senso e non certo di una strategia di marketing.
Grazie a un’operazione di crowdfunding avviata già in Vietnam e ben riuscita, Rifò si costituisce nel 2018 come startup di abbigliamento sostenibile e cresce in modo costante, fino a chiudere brillantemente due round di investimento e contare, oggi, un team di circa 30 persone (il 72% composto da donne). Nel 2020, inoltre, l’azienda diventa una B-Corp: la certificazione, di rilievo internazionale perché diffusa in 80 Paesi, premia le aziende che si impegnano per avere un impatto positivo in ambito sociale e ambientale.
Attualmente, i capi e gli accessori Rifò sono venduti, oltre che sulla piattaforma online, in più di 300 negozi, in Italia e all’estero. Oltre alla sede e punto vendita di Prato, il brand è sbarcato lo scorso autunno a Roma, a pochi passi da Piazza di Spagna. Inaugurato il 2 novembre 2024, il punto vendita resterà aperto fino alla fine di marzo 2025, offrendo una selezione di capi realizzati con fibra rigenerata di lana, cashmere e cotone. Oltre a far conoscere ulteriormente la mission di Rifò, il temporary store romano si propone anche come luogo in cui trovare idee regalo ‘consapevoli’, personalizzare i capi e scoprire nuovi modi per contribuire all’economia circolare.
A proposito di economia circolare, una delle principali novità del 2025 è la raccolta di indumenti usati all’interno dei temporary store Rifò. I clienti che desiderano partecipare al programma di raccolta possono portare i loro capi usati in lana, cashmere e cotone denim, per provare a dar loro una nuova vita. Rifò offre uno sconto del 20% a chi decide di contribuire al progetto di raccolta, destinando i capi in buono stato al mercato del ‘second hand’ o rigenerandoli attraverso una filiera trasparente e sicura, interamente localizzata a Prato. Gli artigiani della filiera – i cui nomi sono pubblicati sul sito web ufficiale di Rifò, assieme alle loro storie e agli indirizzi dei loro laboratori – provvederanno a trasformare i materiali recuperati in nuove fibre, che serviranno a creare filati sostenibili, a loro volta utilizzati per confezionare nuovi capi.
L’iniziativa consente a Rifò di ridurre gli sprechi e promuovere un ciclo virtuoso di uso e riuso dei materiali. Ma come si ricicla un indumento usato? Intanto, è bene chiarire che la tecnologia esistente, prevalentemente meccanica, consente di riciclare solo indumenti o scarti cosiddetti ‘mono-materici’: quelli contenenti, cioè, una sola fibra, in una percentuale pari o superiore al 95%. Per questo, Rifò chiede ai partecipanti di consegnare solo capi in cashmere, lana e cotone denim (o jeans). "Al momento, si sta investendo tanto sulla ricerca di soluzioni di riciclo chimico – prosegue Cipriani – in grado di separare le fibre ‘miste’, ma non esiste ancora un processo attivo a livello industriale".