Pechino risponde ai dazi di Trump colpendo Apple: «Si valuta indagine Antitrust». E il titolo scende a Wall Street
Cala a Wall Street il titolo dell'azienda di Cupertino: -2,6% nelle contrattazioni pre mercato L'articolo Pechino risponde ai dazi di Trump colpendo Apple: «Si valuta indagine Antitrust». E il titolo scende a Wall Street proviene da Open.
Più che dalle contro-tariffe, potrebbe passare soprattutto da una stretta su Apple la risposta della Cina ai dazi di Donald Trump. Il 4 febbraio sono scattati i dazi al 10% su tutte le esportazioni dei prodotti cinesi verso gli Stati Uniti. Una misura contro cui Pechino ha già presentato ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio e che sembra intenzionata a combattere con tutti gli strumenti di cui dispone. Innanzitutto, una serie di contro-dazi: al 15% su carbone e gas naturale liquefatto (Gnl) estratti negli Stati Uniti, al 10% su petrolio, attrezzature agricole e alcune automobili.
L’indagine su Apple e il calo del titolo in Borsa
La risposta di Xi Jinping si arricchisce oggi di un ulteriore tassello. Secondo Bloomberg, l’Antitrust cinese starebbe valutando di avviare un’indagine su Apple per alcune sue politiche, tra cui la riduzione fino al 30% sulla spesa in-app e – ossia la possibilità di comprare funzionalità aggiuntive per un’app all’interno della app stessa – il divieto di servizi di pagamento e negozi esterni. L’Authority di Pechino, hanno riferito fonti vicine al dossier, ha parlato del caso con i dirigenti di Cupertino e gli sviluppatori dell’app già lo scorso anno. La decisione di avviare l’indagine, però, è maturata soltanto dopo l’annuncio della Casa Bianca sui dazi. È bastata questa indiscrezione, ancora non confermata da Pechino, per creare il panico in Borsa. Nelle contrattazioni pre-mercato a Wall Street, Apple ha ceduto il 2,62%. Un calo che gli analisti si spiegano soprattutto con i timori legati a una potenziale frenata dell’azienda di Cupertino sul mercato cinese.
Gli affari di Apple in Cina
A dirla tutta, Apple non è l’unica azienda americana finita nel mirino dell’Antitrust cinese subito dopo l’annuncio dei dazi di Trump. Pechino ha avviato infatti un’altra indagine nei confronti di Google, che però non è operativo in Cina. Apple, invece, lo è eccome. Non solo per quanto riguarda la produzione di molti suoi dispositivi, ma anche per le vendite. Fino al 2023, l’azienda fondata da Steve Jobs era il primo venditore di smartphone nel Paese asiatico, da cui arriva una quota consistente del fatturato globale. Nel 2024, Apple ha ceduto lo scettro ai rivali Vivo e Huawei – entrambi cinesi – che hanno superato il produttore di iPhone conquistando quote di mercato sempre maggiori.
Anche l’Europa mette nel mirino Big Tech
La strategia di Pechino potrebbe essere replicata anche dall’Unione europea. A scriverlo è il Financial Times, che cita due funzionari comunitari della task force incaricata di elaborare una risposta agli eventuali dazi di Trump. Se il presidente americano dovesse confermare l’introduzione di dazi ai prodotti europei, Bruxelles potrebbe rispondere utilizzando il cosiddetto «strumento di anti-coercizione» contro le Big Tech americane. Lo strumento, elaborato durante il primo mandato di Trump e usato come deterrente contro la Cina, consente all’esecutivo comunitario di imporre restrizioni al commercio di servizi se stabilisce che un Paese sta utilizzando le tariffe sulle merci per forzare cambiamenti di politica.
La stretta sul tungsteno che preoccupa gli Usa
Assieme ai contro-dazi annunciati ieri, la Cina ha dichiarato che limiterà le esportazioni verso gli Stati Uniti di cinque minerali critici: tungsteno, indio, bismuto, tellurio e molibdeno. Si tratta di materie prime utilizzate soprattutto nei settori della difesa e dell’energia pulita e che potrebbero preoccupare non poco l’industria americana. I timori riguardano più che altro le forniture di tungsteno, un metallo molto resistente, usato per produrre proiettili d’artiglieria, rivestimenti per armature e utensili da taglio. Nel 2023, secondo i dati dello United States Geological Survey, la Cina ha coperto oltre l’80% dell’offerta globale di tungsteno.
Foto copertina: EPA/Alex Plavevski
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