Non crollerà l’economia con la settimana corta. Le ragioni delle imprese erano false già cent’anni fa

Nel XIX secolo, quando nelle immense piantagioni dell’America Latina arrivava la bassa stagione, e quindi meno lavoro, gli schiavi non tiravano alcun sospiro di sollievo. I grandi latifondisti, infatti, avevano inventato una varietà di mansioni con lo scopo di tenerli impegnati in occupazioni poco utili anziché permetter loro di starsene senza far niente. L’eventuale tempo […] L'articolo Non crollerà l’economia con la settimana corta. Le ragioni delle imprese erano false già cent’anni fa proviene da Il Fatto Quotidiano.

Feb 8, 2025 - 17:15
 0
Non crollerà l’economia con la settimana corta. Le ragioni delle imprese erano false già cent’anni fa

Nel XIX secolo, quando nelle immense piantagioni dell’America Latina arrivava la bassa stagione, e quindi meno lavoro, gli schiavi non tiravano alcun sospiro di sollievo. I grandi latifondisti, infatti, avevano inventato una varietà di mansioni con lo scopo di tenerli impegnati in occupazioni poco utili anziché permetter loro di starsene senza far niente.

L’eventuale tempo libero di uno schiavo era innanzitutto un pericolo: avrebbero iniziato a tramare rivolte o fughe. Oggi il tempo libero di un lavoratore continua a fare paura.

Siamo a un secolo dalla conquista della giornata lavorativa di 8 ore. Il primo Paese in cui fu introdotta per legge fu la Spagna, dopo lo sciopero degli operai de La Canadiense: correva l’anno 1919. Da allora la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda, la rivoluzione informatica, la robotica, oggi l’Intelligenza Artificiale: la produttività si è moltiplicata, ogni lavoratore produce molto di più in molto meno tempo, ma toccare la settimana di 40 ore, via via conquistata in tanti Paesi, rimane spesso tabù.

Oggi, seppur timidamente, un passo viene fatto in Spagna. Martedì 4 febbraio il Consiglio dei ministri del governo Sánchez ha approvato un progetto per la riduzione della settimana lavorativa dalle attuali 40 a 37,5 ore. A parità di salario. La riforma prevede anche l’aumento delle paghe per chi lavora part-time. La novità beneficerà circa 12,5 milioni di lavoratori (6,8 milioni di uomini e 5,7 di donne; 10,5 a tempo pieno e 2 part-time), in maggioranza dipendenti di aziende private (nel pubblico già oggi si lavora meno).

Secondo il Ministero del Lavoro, il 55% dei beneficiari lavora nei settori del turismo, del commercio, dell’edilizia e dell’industria manifatturiera. I primi tre risultano tra quelli a più bassi salari e a più alto tasso di precarietà.

Dal mondo delle imprese si sono levate grida di indignazione e il terrorismo già agitato cent’anni fa, all’epoca delle lotte per la giornata lavorativa di 8 ore: “Crollerà la produzione, aumenteranno i costi e quindi diminuirà la competitività, saremo costretti a licenziare e a chiudere e chi pagherà il prezzo più alto saranno proprio i lavoratori”. Erano argomentazioni false cent’anni fa e continuano a esserlo nel XXI secolo.

Non crollerà l’economia. Gli imprenditori non sono preoccupati per questo ma perché rischiano di veder diminuire i propri profitti. A vantaggio di quei lavoratori e di quelle lavoratrici che negli ultimi 40 anni non hanno visto migliorare la propria condizione salariale malgrado gli aumenti di produttività che hanno abbondantemente sopravanzato quelli degli stipendi (anche laddove, come in Italia, l’aumento della produttività è stato basso). E che guadagnerebbero anche tempo libero, tempo di vita, da sempre un pericolo per chi comanda.

In Italia l’ultradestra di governo si muove – qualcuno ne dubitava? – a sostegno dei profitti. E delle imprese che fondano la propria competitività su lunghi orari di lavoro e bassi salari. La maggioranza, ad esempio, oltre a rifiutare inflessibilmente l’introduzione di un salario minimo, incentiva il ricorso agli straordinari, spingendo così ad allungare l’orario di lavoro. Le opposizioni, invece, sembrano voler fare echeggiare un po’ di vento spagnolo.

Il 1 ottobre 2024 hanno presentato il progetto di legge 2067, a prima firma Fratoianni (Alleanza Verdi Sinistra) che prevede una settimana lavorativa di 32 ore. L’articolato si premura di rassicurare le imprese, mettendo a loro disposizione anche un fondo di 50 milioni per il 2024 e di 275 milioni “per ciascuno degli anni 2025 e 2026”, così da affrontare i maggiori costi cui andranno incontro. La presentazione che accompagna la norma è inoltre tesa a suggerire alle imprese che la riduzione dell’orario di lavoro sarebbe uno strumento di efficientamento per il capitale stesso.

Ci si comporta come suggeritori del capitale, come se l’imprenditoria fosse composta di sprovveduti incapaci di comprendere i propri stessi interessi. Se finora l’orario di lavoro non si è ridotto ma – anzi – in alcuni casi allungato, è perché ampie fasce di imprenditoria sanno che è un modo forse antico ma efficace per aumentare i propri profitti. È la parte più retriva del capitalismo italiano, vero. Ma è tutt’altro che inconsistente, in termini tanto numerici che di potere esercitato. Se così stanno le cose, la capacità di convincimento potrà agire solo su alcuni settori, ma lo scontro è nei fatti e i lavoratori possono spuntarla solo se si mettono in campo strumenti adatti.

Nel progetto di legge 2067 manca quello che è il secondo pilastro della riforma spagnola, meno propagandato del primo, ma forse ancor più importante.

Di fronte a un sistema che, come quello italiano, registra un alto numero di ore extra già oggi non pagate, il governo spagnolo introduce una nuova e più stringente modalità di controllo delle ore lavorate, così da impedire truffe da parte delle imprese. Dovrà essere digitale – basta quindi con i fogli firma – non manipolabile e soprattutto accessibile da remoto da parte dell’Ispettorato del Lavoro. Il governo spagnolo, cioè, ha previsto anche il bastone laddove qualche imprenditore dovesse pensare di fare il “furbetto dell’orario di lavoro”, rubando ore di stipendio e di vita ai dipendenti (si pensi al lavoro grigio).

Il rafforzamento dell’Ispettorato del Lavoro e dei meccanismi di controllo, anche sulla base delle nuove tecnologie, diventa imperativo se vogliamo promuovere trasformazioni reali. In Spagna il percorso è avviato. Il progetto approvato dal Consiglio dei Ministri dovrà passare al vaglio del Parlamento, in cui più d’un partito si farà portavoce delle istanze dell’imprenditoria.

Un passo però è stato fatto ed è stato inserito nell’agenda politica il tema chiave del tempo di vita e di lavoro; se si viva per lavorare o se si lavori per vivere; se il lavoro sia un fine o un mezzo. È ora che questo passo lo si faccia anche qui.

Quasi cent’anni fa John Maynard Keynes aveva preconizzato la settimana lavorativa di 15 ore. Non sarà giunto ancora quel tempo, ma quello per la battaglia per una settimana di 32 ore spalmate su 4 giorni sì. Friday is the new Saturday, dicono nel Regno Unito. È l’orizzonte verso cui muoverci anche noi.

L'articolo Non crollerà l’economia con la settimana corta. Le ragioni delle imprese erano false già cent’anni fa proviene da Il Fatto Quotidiano.