L’Italia dal punto di vista della Lega è una specie di gregge analfabeta

L’eredità che lascerà Salvini alla politica è quella di parlare al proprio elettorato ponendolo nell’ignoranza, considerandolo gretto e manipolabile. In teoria lo fanno parecchi partiti, ma per la Lega è l’unica ancora per non sprofondare definitivamente, anche perché non ha nulla di concreto da offrire ai propri elettori se non proposte ormai al limite dell’inverosimile. L'articolo L’Italia dal punto di vista della Lega è una specie di gregge analfabeta proviene da THE VISION.

Feb 6, 2025 - 17:07
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L’Italia dal punto di vista della Lega è una specie di gregge analfabeta

Per quanto l’elettorato italiano possa essere liquido ed eterogeneo, quasi tutti i partiti hanno una platea di riferimento, un pubblico – ormai nella politica degli influencer l’elettorato può definirsi anche così – con alcune ideologie in comune o anche soltanto con la fascinazione per il leader di turno capace di veicolare proposte nella migliore delle ipotesi, malumori nella peggiore. Per cui Fratelli d’Italia ha una percentuale di nostalgici unita alla marea di voti “per Giorgia”, ovvero quelli scollegati al partito e unicamente ottenuti dalla presunta – e fallace – forza d’urto della novità rappresentata dalla premier. Il PD ha i voti degli elettori di centrosinistra che si tappano il naso e di qualche giovane che spera nell’inversione di rotta di Elly Schlein. Forza Italia vive ancora del riflesso di un leader non più tra noi, con le scorie del berlusconismo non del tutto smaltite e gli aficionados di Mediaset ancora speranzosi davanti alla televisione. I grillini sopravvissuti sono probabilmente gli anticasta che non hanno ancora tolto la maschera di Guy Fawkes dalla foto profilo o che pendono dalle labbra di Marco Travaglio. A prescindere dal giudizio in merito, tutte queste sono comunque categorie di persone che si riconoscono, o provano a farlo, in una creatura politica in base a un sentire comune più o meno vasto. Gli unici elettori che, anche sforzandomi, non riesco a definire e catalogare sono quelli della Lega. In teoria dovrebbero forse essere quelli con l’identità più marcata di tutti, trattandosi del partito fondato prima tra quelli presenti in parlamento e con una forte connotazione territoriale. C’è però una discrepanza tra l’elettorato naturale e un partito che nel 2025 non si riferisce a qualcuno in particolare se non agli sbrodolamenti di un leader che ha perso numeri e fama. E che quindi parla soltanto a se stesso.

Un tempo gli elettori della Lega erano i secessionisti del Nord-est pronti alla guerra contro i terùn, padani che con lo spirito guida di Alberto da Giussano e le ampolle dell’acqua del Po nel taschino portavano avanti il canovaccio bossiano del celodurismo e dell’indipendentismo da valle. Potevano essere imprenditori veneti o muratori lombardi; a prescindere dal ceto sociale sognavano una Padania staccata da Roma-ladrona e dal resto dell’Italia. Questi elettori non sono evaporati nel nulla, ma hanno visto cambiare la Lega sotto i loro occhi con l’arrivo di Matteo Salvini, che più che essere un segretario si è intestato il partito. A partire dal nome: da Lega Nord a Lega per Salvini premier. Ha poi smantellato gli impeti padani sperando di raccattare voti “ovunque e comunque”. Prima il Nord ma anche Prima gli italiani; atlantismo con Trump e putinismo con Russia Unita; terroni riabilitati e ricerca di un nemico ancora più a Sud con i migranti; tricolore ma autonomia differenziata; cannoli siciliani ma non toccateci la polenta. Finché questo meccanismo si è retto sugli elettori confluiti dal Movimento Cinque Stelle, pregni di quella post-ideologia populista, Salvini ha goduto anche del suo momento di gloria, seppur breve. Ciò che ora è rimasto è l’increscioso tentativo di sorpassare a destra Fratelli d’Italia (ma non basta un Vannacci per essere più neofascisti dei veri neofascisti). Anche perché i vecchi elettori leghisti, seppur secessionisti e con tratti ampiamenti xenofobi, avevano una formazione partitica antifascista, anche se adesso sembrerebbe impensabile. Lo stesso Bossi all’apice rivendicò l’antifascismo leghista e, addirittura, una “coscienza partigiana” del Carroccio, definendo fascisti i centralisti. Con la ristrutturazione salviniana, lo scopo ormai pare soltanto quello di restare aggrappati agli scranni del governo con proposte politiche al limite dell’inverosimile.

Umberto Bossi

Perché sì: sebbene i post sui social di Salvini possano lasciar intendere il contrario, la Lega è al governo. Ogni giorno il leader leghista passa il tempo a lamentarsi in rete come se fosse ancora all’opposizione, e ormai il trucco di evidenziare le malefatte dei migranti o di elogiare politici stranieri poco democratici non paga più. Il riscontro effettivo deve passare necessariamente dalle azioni di governo, e qui si scopre come le anime della Lega possano essere una, nessuna e centomila. C’è la proiezione del vecchio Carroccio con l’autonomia differenziata di Calderoli, l’anti-intellettualismo salviniano di Valditara all’Istruzione, la politica dei manganelli di Piantedosi all’Interno, criticata persino dal presidente della Repubblica. E soprattutto c’è il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, lo stesso Salvini, che ha il poco incoraggiante primato dei peggior dati sui ritardi dei treni da quando sono iniziati i rilevamenti di Ferrovie dello Stato. Il tutto con lo spettro dell’ennesimo decreto sicurezza che, come al tempo del governo gialloverde, suona sempre di più come una prova generale per uno Stato di Polizia, come denunciato anche dalle opposizioni e dagli analisti politici. Se si aggiungono anche proposte che trasudano razzismo da ogni parola, come quella per l’istituzione del reato per “molestie islamiche” – viene da chiedersi in che modo siano diverse da quelle di italianissimi bianchi cristiani – si capisce come il tentativo di sopravvivenza della Lega sia legato a sparate estemporanee, alla mostruosità di proposte che non dovrebbero nemmeno essere discusse in uno Stato democratico. Eppure ogni azione è portata avanti dal governo e dalla maggioranza solidissima di Meloni. Perché lei è più abile di Salvini, non ultimo nel mascherare meglio i suoi estremismi, ed è riuscita a farsi rispettare anche a livello internazionale.

Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini

Meloni, infatti, viene vista all’estero per quello che è: una politica di estrema destra; Salvini come una macchietta. Meloni ha dunque campo libero in questo periodo storico, con l’appoggio di un nuovo governo statunitense affine alle sue istanze e i venti neofascisti che dalla Germania al resto d’Europa soffiano sempre più forti. Salvini, invece, non ha mai avuto una linea politica internazionale che non fosse quella di seguire il trend del momento, che fosse il putinismo o il culto trumpiano. Già durante la sua prima esperienza al governo millantava una vicinanza con Trump, smentita però dallo stesso tycoon con un laconico: “Non lo conosco e non l’ho mai incontrato”. E oggi è lo stesso: Salvini si veste come Trump, scimmiotta le sue proposte – anche le più raccapriccianti, come quella a nome Borghi-Bagnai di uscire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – ma poi non viene invitato all’insediamento trumpiano, perché per Trump – così come a livello internazionale – non conta nulla. Se ne stanno accorgendo anche all’interno del suo stesso partito, visto che nella nuova segreteria della Lega in Lombardia sono stati votati tutti i suoi oppositori, compresi quelli che nel recente passato ne hanno chiesto le dimissioni.

La Lega non è solo isolata, è alla ricerca di un’identità elettorale che non ha più e che non potrà mai ritrovare con la linea politica che sta adottando. Intanto perché gli estremisti di destra votano chi adotta questa linea e ha più potere, ovvero Meloni, e poi perché il Nord si è sentito tradito dalle innumerevoli giravolte di Salvini nel corso degli anni, quelle che hanno trasformato il partito in un raccoglitore di voti trasversale, finendo poi per perdere consensi ovunque dopo i famosi quindici minuti di celebrità consumati nel giro di poco tempo. Non si sa bene quale sia l’identikit dell’elettore medio della Lega, se il vecchio zoccolo duro preferirebbe un cambio della guardia e uno Zaia al comando e gli elettori che portarono il partito al 34% alle elezioni europee del 2019 sono già finiti tra le braccia di Meloni. È anche difficile l’identificazione perché tra i commenti sotto i post della Lega e di Salvini ciò che viene fuori è una scarsa padronanza della lingua, un analfabetismo funzionale dilagante e i residui di una fedeltà al “Capitano” ormai sovrastata dalle critiche di chi chiede a Salvini di fare il lavoro per cui viene pagato, ovvero il ministro a gestire dei trasporti allo sbando. È ingeneroso e limitante però considerare gli elettori della Lega solo ed esclusivamente come analfabeti più o meno funzionali. È più corretto invece dire che i loro rappresentanti, Salvini in primis, li trattano come se lo fossero e in alcuni casi riescono pure a trasformarli in tali.

Matteo Salvini

L’eredità che lascerà Salvini alla politica è proprio questa: parlare al proprio elettorato ponendolo nell’ignoranza, considerandolo gretto e manipolabile. In teoria lo fanno parecchi partiti, e Fratelli d’Italia non è da meno, ma per la Lega è l’unica ancora per non sprofondare definitivamente, anche perché non ha nulla di concreto da offrire ai propri elettori. Non ha la storia missina del partito di Meloni, e quindi quel tessuto politico che negli anni ha stretto i fili per ricompattarsi; non ha la scia berlusconiana di Forza Italia; non ha più nemmeno gli appigli alla sua stessa storia, se lo stesso Bossi ha smesso di votare il suo partito parlando apertamente di tradimento. Considerando che ormai il 10% è una chimera e che le azioni e le proposte governative sono fuori da ogni logica, viene da chiedersi cosa sia rimasto al partito a livello di progettualità, di visione futura. Probabilmente nulla, se non la farsa intrinseca al salvinismo e il modo di trattare i propri elettori come un gregge incapace di intendere e di volere – e di perderli, come conseguenza. In teoria non dovrebbe nemmeno interessarci del destino di un partito deleterio sia nelle vesti originarie che in quelle attuali. È però al governo, quindi condiziona le nostre vite con leggi inammissibili per uno Stato democratico, e dunque la sua irrilevanza elettorale stona con il potere di rendere l’Italia un posto ancora peggiore di come non lo sia già da anni. Perché per gli statunitensi è già drammatico avere al governo un’oligarchia di criminali; figuriamoci per noi avere i loro cosplayer.

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