‘L’industria del complottismo’: tra i conformisti e i semplificatori esiste una terza strada
di Sara Gandini e Paolo Bartolini L’uscita recente del libro di M. Amiech, L’industria del complottismo (Malamente edizioni, 2024), con una pregevole prefazione di Elisa Lello, merita un invito alla lettura. Il testo dello studioso e attivista francese rappresenta un valido strumento per cercare una via critica che eviti i luoghi comuni degli ultimi anni, […] L'articolo ‘L’industria del complottismo’: tra i conformisti e i semplificatori esiste una terza strada proviene da Il Fatto Quotidiano.
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di Sara Gandini e Paolo Bartolini
L’uscita recente del libro di M. Amiech, L’industria del complottismo (Malamente edizioni, 2024), con una pregevole prefazione di Elisa Lello, merita un invito alla lettura.
Il testo dello studioso e attivista francese rappresenta un valido strumento per cercare una via critica che eviti i luoghi comuni degli ultimi anni, soprattutto relativi all’emergenza sanitaria Covid-19. Il primo è quello che ha usato il “complottismo” come termine svalutativo per neutralizzare e criminalizzare qualsiasi lettura non coincidesse con la dottrina mainstream propinata dalla quasi totalità dei mass media. Il secondo, simmetrico e opposto, è quello di coloro che hanno preferito risolvere il disagio, la paura e la confusione adottando processi mentali tesi a semplificare e imputare ogni evento distorto alle intenzioni malevole di soggetti più o meno oscuri, detentori esclusivi delle leve del comando.
Le teorie cospirazioniste – come suggerisce il libro – sbocciano come effetto della depoliticizzazione della società e del silenziamento del dibattito pubblico. Esse risultano deboli e talora perniciose, non perché diffondano il seme dell’irrazionalismo, ma perché la fanno troppo facile e inibiscono una reale presa di responsabilità collettiva. Insomma, condannano all’impotenza compiaciuta. Sono perfette per masse atomizzate, che abitano internet e rimangono murate nel loro isolamento digitale, sfogando rabbia e malumore senza mai cogliere fino in fondo cosa sia il potere. Quest’ultimo non è riconducibile in modo lineare e riduzionistico a trame occulte, perfettamente coordinate su scala mondiale.
Tra i conformisti pronti a ubbidire a qualunque disposizione proveniente dall’alto, e la galassia dei semplificatori seriali che ritengono siano in corso segrete riunioni del Deep State per estrarre dal nostro corpo ogni goccia di sangue e di libertà, esiste una terza strada. Amiech ci invita a percorrerla, ricordando una cosa ovvia ma dimenticata: il grosso dei progetti del tecno-capitalismo (che, fra l’altro, non è un’entità monolitica, ma un campo di conflitti tra centri di potere diversi) sono da decenni sotto gli occhi di chi sappia dove guardare. Il dogma neoliberale, unito alla crescente e inarrestabile formattazione delle nostre vite mediante le nuove tecnologie digitali di controllo e disciplinamento, non fa nessun segreto del suo obiettivo: mediante la forza degli eserciti, dei mass media allineati, dei centri della finanza e di istituzioni compiacenti, rendere le popolazioni conformi al totalitarismo dei mercati, all’estrazione di plusvalore (nell’ordine fisico e in quello mentale), riducendo drasticamente qualunque forma di autosufficienza produttiva e di consumo, e di gestione democratica dei beni comuni. Tutto questo per drenare valore astratto dai servizi pubblici e dalla vita delle persone, dirigendolo verso il profitto di pochi.
Bisogna quindi fare attenzione perché la funzione dell’anticomplottismo mainstream è quella di legittimare l’ordine corrente (e la sinistra non riesce ancora a comprenderlo). Elisa Lello va diritta al punto quando individua, come nodo che impedisce un dialogo tra sinistra e classi popolari, il fatto che la prima “non fa nulla per dissimulare il suo disprezzo per i valori e i modi di vita delle seconde, mentre si dispera perché queste ultime non le tributano più i loro consensi”. Nodo, sottolinea, che riguarda anche il mondo accademico. Capita quindi che venga tacciato di complottismo chi sottolinea che è fondamentale chiarire gli intrecci sempre più stretti tra scienza, politica e interessi privati. Chi riconosce che stiamo assistendo da anni, a livello di organizzazioni sovranazionali, all’elaborazione di strategie di global health unidimensionali, appiattite sul concetto di immunizzazione. Chi ricorda che la posizione di chi fa ricerca non può esser neutrale e ogni sapere non può che essere situato.
Se da una parte stiamo andando verso una progressiva iperspecializzazione delle scienze, dall’altra noi ci teniamo a sottolineare che la verità soggettiva, quella che parte dalla vita, dal proprio sentire, dalle proprie contraddizioni, ha una valenza cruciale persino in ambito biostatistico. Proprio in quanto persone che lavorano nel campo della ricerca, invitiamo a fare attenzione agli scienziati che hanno la pretesa di fornire verità assolute. Lanciamo quindi anche noi l’allarme di aver “idolatrato il razionalismo tanto da non sapere vedere i pericoli derivanti al porre la scienza al centro della politica”, come scrive Lello. Di più, invitiamo a fare attenzione a chi strumentalizza le parole degli scienziati per non assumersi la responsabilità dei tagli alla sanità e alla scuola di questi decenni.
In definitiva, bisogna avere il coraggio di ripensare il rapporto tra scienza e politica, liberare la società dalla mercatizzazione di ogni esperienza umana e dalla governance algoritmica che sta riducendo gli umani a profili, numeri, vite da niente. Questa deriva è inscritta nelle dinamiche ricorsive del sistema, non nella mente di singoli demiurghi, siano essi appartenenti ai liberal-progressisti del globalismo dem o alla tecno-destra ultraliberista e reazionaria di marca trumpiana.
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