Le curiosità (e le fesserie) sul caso Almasri

Il caso Almasri? La situazione è grave ma non è seria. La lettera di Teodoro Dalavecuras

Feb 5, 2025 - 12:18
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Le curiosità (e le fesserie) sul caso Almasri

Il caso Almasri? La situazione è grave ma non è seria. La lettera di Teodoro Dalavecuras

Caro direttore,

ti tranquillizzo subito. Non sto per proporti una nuova chiave d’interpretazione dell’affare Almasri, non ho nessuna opinione al riguardo ma solo qualche curiosità che espongo con tutta la sintesi di cui sono capace (che è poca, lo so), senza fare nomi, secondo un’elementare prudenza imposta dal grande peso specifico di chi ha contribuito all’approfondito dibattito sul tema, per non parlare di quel salotto tv che ci campa da alcuni giorni con l’intervento di pesi massimi come Massimo Cacciari (appunto), Mario Monti e il cardinale Paolo Mieli.

Sembrerebbe che la Corte Penale Internazionale (CPI) avesse atteso l’ingresso in Italia del ricercato Almasri per spiccare un ordine di cattura (ammesso che si possano chiamare così i provvedimenti della CPI) la cui presenza nei dieci giorni precedenti in UK e in Francia, pur nota (nota a chi?) non aveva prodotto nessuna conseguenza. Secondo un cattedratico, commentatore per una testata di glorioso passato, è lecito attendersi dalla CPI “spiegazioni attendibili e convincenti” per questo curioso surplace della Corte internazionale con il “suo” prezioso ricercato. Evidentemente l’ordine di cattura doveva venire eseguito solo in Italia. O no? E ancora, che tu sappia queste spiegazioni sono arrivate?

Apprendo, sempre dalla lettura della stampa quotidiana, che secondo le norme che regolano l’attività della CPI questi “ordini di cattura” devono essere comunicati al Ministro della Giustizia del Paese nel quale la Corte ne chiede l’esecuzione, e la logica di questa norma credo di poterla capire perfino io: è imposta dall’esigenza di rispettare la sovranità del Paese interessato, sovranità che si identifica nell’autorità politica: sarà poi l’autorità a procedere attraverso gli organi a ciò deputati. Sembra però pacifico che la CPI non abbia comunicato l’ordine al ministro competente, ma direttamente al procuratore della Repubblica di Torino (magari ho frainteso, destinatario fu il PG, ma non cambia la natura della mia curiosità). Narrano infatti le cronache che il magistrato avrebbe subito trasmesso il fascicolo (che tra di noi potremmo ribattezzare la “pepatencia”) al ministro della Giustizia, e qui non posso non farmi una domanda: se il ministro avesse preso in considerazione il fascicolo non avrebbe in qualche modo “legittimato” un atto gravemente illegittimo, perché oggettivamente inteso a “scavalcare” la sovranità dei Paesi aderenti alla convenzione istitutiva trasformando l’azione della CPI in una sorta di gioco “senza frontiere” tra magistrati?

Altra curiosità. I giornali di destra hanno cavalcato senza nessuna remora la storia della richiesta del procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi di recarsi in Sicilia con “voli di Stato” (ignoro se Francesco Lo Voi goda astrattamente del diritto a questo servizio ma non è questo il punto: il punto è che la richiesta del procuratore capo, che ha dato luogo a un procedimento, si è conclusa con un rifiuto che presumibilmente ha contrariato il richiedente (a nessuno piace vedersi rifiutare qualcosa cui è convinto di avere diritto). Mi domando: che cosa prevedono – se ancora ce ne sono – gli usi e costumi della magistratura quando il magistrato deve adottare un provvedimento nei confronti una persona che conosce e dalla quale ha ricevuto un rifiuto su una questione soggettivamente, e forse non solo soggettivamente importante? Magari di astenersi? Non lo so ma sarebbe interessante saperlo.

Per inciso: un altro commentatore, importante professionista, si è indignato per il fatto che una questione così “delicata” come la faccenda dei voli di Stato negati a Lo Voi sia uscita dalle stanze dove si custodiscono gli “arcana imperii” e sia finita sui giornali. Ma qui siamo oltre il muro del ridicolo: questo è il Paese dove si pubblica di tutto, dove i data base più riservati sono accessibili non agli hacker di San Pietroburgo o di San Francisco ma anche a grigi ragionieri di provincia, non pochi giornalisti ci campano per anni (bravi loro, niente da dire); nessuno batte ciglio finché la notizia pubblicata non è sgradita o fastidiosa: questa “indignazione” a comando non fa più nemmeno ridere.

Buon’ultima, arriva la ragion di stato. Gli anglosassoni, che l’arte della sintesi la praticano, dicono che “Reasons of state, as is well-known, are not to be questioned”, ma evidentemente non è sufficientemente “well-known” in Italia, perché da noi si pretende di farne oggetto di dibattito parlamentare, anzi ci si indigna perché non è presente al dibattito la presidente del Consiglio.

Insomma, nel merito dell’affare Almasri la pubblicistica nazionale ha adempiuto al meglio alla propria missione: col contributo militante e/o competente di innumerevoli testate e esperti l’affare e le sue appendici strettamente interne (Lo Voi e Mantovano) sono ora avvolte in una spessa coltre di nebbia dove le diverse fazioni del pubblico pagante sono incrollabilmente sicure del rispettivo punto di vista, e la conclusione è rassicurante: la situazione è grave ma non è seria, e io resto con le mie curiosità.

Grazie per la pazienza, direttore, e buon lavoro.