Jake La Furia, l’urban e Sanremo: «Non puoi riempirlo di rapper per la classifica, e poi decidere cosa devono dire» – L’intervista

Il rapper milanese torna con «Fame», e a Open dice: «Tra i giovani, e comunque tra chi si dovrebbe occupare di cambiare il mondo, non c'è tutta questa fretta di cambiare il mondo» L'articolo Jake La Furia, l’urban e Sanremo: «Non puoi riempirlo di rapper per la classifica, e poi decidere cosa devono dire» – L’intervista proviene da Open.

Feb 1, 2025 - 19:28
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Jake La Furia, l’urban e Sanremo: «Non puoi riempirlo di rapper per la classifica, e poi decidere cosa devono dire» – L’intervista

Jake La Furia nuovo album Fame commento Gasparri

Francesco Vigorelli, milanese classe 1979, debutta nel rap con il nome d’arte di Fame, diventerà Jake La Furia solo nel 2003, con l’uscita del primo album dei Club Dogo, il progetto con Gué e Don Joe che rivoluzionerà e decreterà definitivamente la scena rap milanese. Fame è anche il titolo del nuovo album di Jake La furia, disponibile su tutte le piattaforma dallo scorso venerdì. Un nuovo album di Jake La Furia è sicuramente un evento, questo perché parliamo di uno dei padri del rap italiano, ma anche di un personaggio di una simpatia indiscutibile e, soprattutto, anche molto pop. Forse per questo ha colpito anche chi non è interessato alla cultura hip hop, compreso il pubblico di X Factor, che ha accolto con gigantesco entusiasmo la sua prima esperienza da giudice. Tra i tanti progetti degli ultimi anni di Jake La Furia sicuramente c’è 17, il disco del 2020 composto insieme ad Emis Killa, in questi giorni al centro dell’attenzione mediatica per il suo ritiro dal Festival di Sanremo dopo aver appreso dai giornali di essere indagato per associazione per delinquere nell’ambito dell’inchiesta Doppia Curva della Direzione distrettuale antimafia sugli affari criminali del mondo ultrà interista e milanista. Per questo l’intervista di Open su un disco che affronta di petto il sociale, non poteva che partire da un commento alla vicenda.

Nei giorni scorsi Maurizio Gasparri ha commentato felice il ritiro di Emis Killa dal Festival di Sanremo, chiudendo il suo intervento con un “Si trovi un lavoro”…

«Gasparri è una macchietta come il dottor Balanzone, capito? Ieri nella sezione notizie di un noto quotidiano ho trovato due notizie, una sopra l’altra, la prima era: “Meloni indagata: nessun passo indietro” e subito sotto “Emis Killa indagato: faccio un passo indietro”. Già questa cosa qui dovrebbe far riflettere l’onorevole»

Ma Sanremo è definitivamente diventato un posto adatto ai rapper?

«Sanremo negli ultimi anni è diventato un posto assolutamente frequentabile anche per quanto riguarda la musica urban, una kermesse dove degnamente si va per promuovere la propria musica, al contrario del Sanremo di quando ero piccolo, che era un pò meno blasonato…»

In questo tuo nuovo album dai ampio spazio al sociale…

«Questa coscienza sociale ovviamente ce l’ho sempre avuta e ancora di più ce l’ho in questo periodo, in cui vedo il pericolo che nel mondo succedano delle cose che non avrei mai pensato di poter vedere fino a due/tre anni fa. Io sono nato e cresciuto con la convinzione che alcune cose non sarebbero mai più successe, ora non sono più così tanto sicuro. Poi però vedo che tra i giovani, e comunque tra chi si dovrebbe occupare di cambiare il mondo, non c’è tutta questa fretta di cambiare il mondo. E intanto qua va sempre peggio»

Allora hai usato il tuo linguaggio, la musica, il rap, per provare a svegliare le coscienze?

«È una call to action, una sveglia un po’ generale per stimolare ad interessarsi di altre cose, che sono molto più importanti di Fortnite in questo momento»

Più il rap viene fuori, diventa cultura di massa, e più viene attaccato, come praticamente tutte le novità culturali. La cosa che mi stupisce è che non c’è mai stata una risposta, un contrattacco, cosa che sarebbe anche nella natura stessa del rap…

«Questo non accade innanzitutto perché i rapper, che sono giovanissimi, probabilmente neanche sanno, né si preoccupano di chi sia Gasparri. Poi nei loro coetanei c’è un totale rifiuto della politica, lo vediamo nell’astensionismo che purtroppo ci tocca sopportare. Detto questo, secondo me c’è invece una forte attitudine nel rap a difendere se stesso e non ad attaccare gli altri. Quindi difendere me stesso come rapper, difendere quello che faccio e perché lo voglio fare, difendere la mia sicurezza, difendere la mia ricchezza e non invece ad attaccare le motivazioni per il quale tutto sta andando a puttane. E questo sicuramente mi ha fatto venire un’improvvisa voglia di coscienza politica»

Un altro argomento che tu affronti molto bene nel disco con il pezzo Money On My Mind è il rapporto con i soldi…

«“Sono spaccone e ho fatto i soldi” è uno dei capisaldi su cui si poggia la struttura del rap di tutto il mondo, però c’è anche altro: il pezzo parla di essere schiavo della ricchezza. Perché correre continuamente dietro i soldi alla fine diventa un’ossessione che ti rovina la vita. Tutto quello che importa alla fine è avere soldi, mostrare di avere soldi, per cui alla fine diventi schiavo dei soldi»

Altro argomento centrale oggi quando si parla di rap è la censura, già solo in vista di Sanremo abbiamo assistito prima all’attacco ai testi di Tony Effe e ora addirittura a Bella stronza di Masini…

«L’altro giorno ho letto un commento che secondo me ti dà l’idea della voglia di totalitarismo che c’è in questo momento. In una discussione sulla musica uno diceva: “L’autotune è il male della musica, non ho ancora capito perché nessuno si sia ancora mosso per renderlo vietato”. Cioè qua si pensa che si possa si possa vietare tutto da un momento all’altro, anche delle cose così»

Molti tuoi colleghi hanno detto che più che altro in questo momento il rischio è quello dell’autocensura preventiva…

«Io non è che proprio voglio parlare di censura però, ma vedo un tentativo di ammorbidimento della musica rap. Qualche tempo fa Carlo Conti ha fatto un’intervista in cui diceva ai giornalisti, preoccupati che ci fossero tutti questi rapper: “Non vi preoccupate, ho sentito tutti i pezzi, sono tutti pezzi buoni, con argomenti positivi, altrimenti io non avrei mai permesso che ci fossero”. Cioè, non solo ti riempi il festival di rapper perché i rapper ti fanno la classifica, ma vuoi avere pure l’arroganza di scegliere cosa devono dire. Questa cosa qua per me è veramente pessima per la musica rap»

Dici che si tende a sfruttare il seguito del rap ma contemporaneamente ad ammorbidirlo per renderlo innocuo?

«Percepisco una tendenza a cercare di vietare e zittire tutte le cose che non rispettano certi canoni. Ma il linguaggio del rap è quello, è un linguaggio violento ed è sempre stato così, anche per dire le cose più giuste possibili. I Public Enemy portavano messaggi molto giusti dal punto di vista etico, combattevano delle battaglie giustissime, e avevano comunque un linguaggio violentissimo. Il rap è questo. Il rap te lo devi prendere per quello che è; non è che ti puoi prendere il rap e poi cercare di lavare tutti i rapper con la spugna»

Quando scrivi oggi ti poni il problema del pubblico di giovanissimi che ti ascolta?

«Non me lo sono mai posto e mai me lo porrò. Penso che sia sbagliato, la responsabilità di educare chi ascolta non è dell’artista. Mi ascoltano tanti giovanissimi? Benissimo, che le famiglie gli diano gli strumenti per ascoltare il rap. Perché il rap esiste, se non vogliono che lo ascoltino non glielo facciano ascoltare, ma il rap è questo, mica possiamo fare un genere di rap per giovanissimi»

Lunedì la versione video integrale della nostra intervista.

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