Invecchiare e crescere insieme: un’opportunità per il futuro di tutti
Oggi in Italia si vive vent’anni in più rispetto agli anni ’50. Un “nuovo” invecchiamento -privo di modelli, riferimenti ed istruzioni d’uso perché senza precedenti nella storia L'articolo Invecchiare e crescere insieme: un’opportunità per il futuro di tutti proviene da Globalist.it.
di Mario De Finis
Oggi in Italia si vive vent’anni in più rispetto agli anni ’50. Un “nuovo” invecchiamento -privo di modelli, riferimenti ed istruzioni d’uso perché senza precedenti nella storia – che richiederebbe quindi anzitutto uno sforzo di maggiore conoscenza e comprensione rispetto alle attuali rappresentazioni piatte e riduttive di questo processo.
“Gli anziani sono l’unica risorsa naturale in aumento sul pianeta” – ha detto recentemente Laura Carstensen, direttore dello Stanford Center on Longevity: quindi una straordinaria, inestimabile e crescente opportunità da cogliere, valorizzare e utilizzare per le nostre società occidentali, così carenti di nuove energie umane. Per gli anziani si tratta di una nuova lunga fase della vita in cui poter reinventarsi e ripartire. Nel suo L’età da inventare Vincenzo Paglia – presidente della Pontificia accademia per la vita, che da anni studia e si occupa delle esperienze e dei bisogni delle persone anziane – ne parla come di “un periodo pieno di energia e di futuro, … scandito dal tempo degli affetti, della riflessione, dal contributo offerto alla comunità”.
Oggi, in contrapposizione a una rappresentazione sostanzialmente declinista dell’invecchiamento, focalizzata sull’aspetto di progressiva perdita di capacità, si fa strada – secondo il sociologo Francesco Morace – l’età “super-adulta”: una realtà inedita, fatta di anni di vita in più subito dopo l’età adulta. Certo nella nostra società frammentata, consumista e giovanilista, ogni giorno possiamo toccare con mano l’emarginazione e l’isolamento sociale degli anziani a causa della loro presunta minore utilità, attrattività e dinamicità. Ma al contempo assistiamo nelle nostre città allo sviluppo di una differente longevità, legata a nuovi stili di vita e visioni del mondo: differenti aspettative, maggiore flessibilità di comportamento e maggiore tempo per dedicarsi a ciò che più sta a cuore. Significativamente, il poeta Thomas Elliot sostiene intitola una propria poesia I vecchi dovrebbero essere esploratori.
Pertanto bisognerebbe “navigare” l’invecchiamento, una realtà finalmente non predefinita e standardizzata (in passato se ne parlava come di una rigida sequenza della vita in cui bisognava essenzialmente riposarsi!), bensì in continua evoluzione, come un articolato puzzle da comporre. Nella sua Lettera a un vecchio lo psichiatra Vittorino Andreoli invita a considerare questa nuova longevità – analogamente al passaggio dall’infanzia all’adolescenza – come una trasformazione di crescita e di metamorfosi interiore, da decifrare e vivere nel suo significato. Oggi ad esempio andare in pensione e vivere questi venti (o anche trenta) anni in più dopo la pensione, non significa – come in passato per i baby-boomer – rinunciare ad essere persone di valore, ormai irrimediabilmente appiattite e depotenziate.
Al contrario stili di vita corretti, e soprattutto il senso di contare, di essere utili, di avere uno scopo, permettono agli attuali Longennials di poter vivere questo tempo con serenità e soddisfazione (secondo l’ISTAT è così per più dell’80% di loro), e di poter esprimere l’intelligenza emotiva e la ricchezza di sentimenti che li contraddistingue. Molte persone in pensione o in attesa di pensione, sono disponibili – se gliene si dà l’opportunità concreta – a trasmettere il proprio prezioso bagaglio di esperienza, conoscenza e saggezza alle giovanissime generazioni; che a loro volta trovano nell’ascolto e nella comprensione di questi nuovi anziani un’ancora di stabilità affettiva ed emotiva nelle proprie realtà esistenziali, spesso disgregate e solitudinarie.
Perché in realtà, anche se apparentemente lontanissime, adolescenza e vecchiaia – come nota – Luciano Moia – sono età che hanno tanto in comune: stravolgimento del corpo, della propria identità, del proprio ruolo sociale; affievolirsi dei riferimenti e degli equilibri del passato, bisogno di sostenibilità urbana. Soprattutto senso di inutilità e solitudine. “I vecchi senza amore muoiono” – ha detto un’anziana – e anche i giovanissimi, senza qualcuno per cui contare, restano soli davanti a un futuro incerto e preoccupante.
Ma questa comune condizione paradossalmente può favorire la ricerca di insospettate e felici sinergie, come quando gli adolescenti si allontanano dal centro della propria solitudine, e visitano gli anziani all’interno di quelle concrete periferie esistenziali e urbane della terza età che sono gli istituti: penso all’esperienza pluridecennale di molti adolescenti legati alla Comunità di Sant’Egidio. La loro visita è un’irruzione di vita che spazza via la tristezza insopportabile di luoghi anonimi, donando ad anziani isolati nell’ abbandono e apparentemente inerti, nuove energie, gioia e speranza per aver trovato finalmente risposta al proprio bisogno di affetto.
A loro volta i giovanissimi – fragili e insicuri perché cresciuti in una società frammentata dalla crisi dei legami di comunità – nell’incontro con questi nuovi nonni che hanno tempo e voglia di stare con loro, sono inteneriti e attratti dalla loro debolezza e mitezza (così lontana dalla logica opprimente dell’individualismo e della forza); sperimentano nuova utilità e valore della propria vita nel dare (e ricevere) gratuitamente compagnia, gioia e speranza. Una risposta profonda e solida al proprio senso di orfananza e di vuoto, una bussola affettiva importante che li orienta e li aiuta a crescere, preservandoli dalla montante marea giovanile di aggressività e violenza (aumento dell’11% di minori arrestati o denunciati dal 2021 al 2022 – Rapporto Eurispes 2023)
Acutamente Edgar Morin osserva che “per l’uomo è tempo di ritrovare se stesso”. Giovanissimi e anziani lo possono fare insieme in questo nuovo legame in cui amano e sono amati, offrendo alle nostre città un modello possibile e già attivo di liberazione dalla condanna a una cultura dell’isolamento e dell’inutilità sociale. Ben oltre la fuorviante narrazione corrente di “scontro intergenerazionale”, l’incontro, l’amicizia e la solidarietà tra anziani e giovanissimi è in realtà un felice e dinamico ponte tra passato e futuro, arricchisce entrambi e può contribuire in modo significativo a dare valore alle nostre società del futuro, rendendole più inclusive, coese e pacificate. Una buona notizia, che può aggiungere un tassello di speranza a questo nuovo anno.
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