Il disagio alimentare e il corpo degli adolescenti
Sono convinti di essere brutti, perché devono confrontarsi con modelli di bellezza e di successo sociale praticamente irraggiungibili. Così i terapeuti come Francesca Pierotti aiutano gli adolescenti malati a trovare le parole per esprimere i propri disagi e avviare un percorso di cura L'articolo Il disagio alimentare e il corpo degli adolescenti sembra essere il primo su Galileo.
Un esercito di adolescenti è convinto di essere brutto – scrive Laura Della Ragione nella prefazione al testo di Francesca Pierotti, psicologa ed educatrice specializzata nei disturbi della alimentazione. Ma la società li costringe a confrontarsi con modelli di bellezza e di successo sociale praticamente irraggiungibili. Da parte loro, molte famiglie istigano i propri figli a primeggiare nei confronti degli altri, stimolandoli comunque ad emergere nelle situazioni scolastiche, sportive e sentimentali mentre la rete, sempre pervasiva, propone modelli irrealizzabili e promette una visibilità ben lontana da quelle che sono le abituali attività degli adolescenti. Il bisogno continuo di approvazione è abbastanza destabilizzante e genera spesso quello che Pennac, insegnante e scrittore francese, chiama “divieto di avvenire”. Oppure sviluppa una sorta di passione del fallimento, altrettanto destabilizzante e dolorosa, di cui non è facile individuare le cause.
Adulti fragili
Si è verificata, nel tempo, l’assenza di una netta separazione tra mondo dei giovani (i figli) e quello degli adulti (i genitori) che appaiono spesso fragili e bisognosi di continue rassicurazioni. Spesso si parla, addirittura, di evaporazione degli adulti i quali, sempre più spesso, considerano i piccoli come un loro prolungamento senza impegnarsi a sostenerne l’autonomia. Come sempre, ma in particolare come risposta a questo atteggiamento, gli adolescenti, scontenti del loro corpo, cercano di costruirsi un più adeguato corpo sociale con cui presentarsi in pubblico ed essere accettati, spesso nascondendo a tutti i più intimi e profondi desideri, atteggiamenti, bisogni.
Adolescenti e bisogno d’amore
Depressione e senso di inadeguatezza sono spesso il risultato di questi tentativi, che portano anche a identità fittizie, a una sorta di mimetizzazione della propria reale personalità. Dal punto di vista funzionale, molte di queste inadeguatezze trovano una loro esplicitazione in disagi alimentari, diventano cioè manifeste attraverso il corpo, ma con un linguaggio che solo un terapeuta riesce a decifrare fin dai suoi inizi. Non si tratta solo della ricerca di una impossibile bellezza: la sofferenza che non si riesce a comunicare a parole si esprime attraverso il rifiuto o l‘eccesso di cibo; e spesso i genitori invocano i figli di riempirsi di alimenti vari senza capire che forse gli adolescenti hanno bisogno non di un nutrimento materiale ma di un nutrimento affettivo. I codici di questa comunicazione senza parole non sono ovvi: il lavoro dei diversi professionisti che operano insieme all’autrice nei Centri di Todi e di Città della Pieve è quello di aiutare i malati a trovare parole per esprimere i propri disagi interiori e avviare un così un percorso di cura.
I centri di cura
Dare una forma esplicita al proprio malessere è difficile, e Francesca Pierotti ha realizzato nei Centri apposite strutture relazionali in cui si potessero sviluppare i faticosi e difficili processi di scrittura narrativa. Qui i pazienti vengono aiutati gradualmente a raccontare e a raccontarsi, in situazioni di ascolto individuale e collettivo, per imparare a dare forma riconoscibile al pensiero, alla sofferenza, alle speranze e ai disagi causa di tanto malessere.
Medicina narrativa
Inserire gli aspetti relazionali nel concetto stesso di salute è uno stimolo particolarmente importante per giungere a una condivisione del proprio star male, e la lettura dei testi scritti dalle pazienti che seguono la terapia narrativa permette una sorta di identificazione in una cura che non è più soltanto individuale. I terapeuti devono saper interpretare i testi, non solo nel loro significato ma anche nella loro struttura di sottintesi, di metafore, di ellissi, di rimandi, di accentuazioni che non sono spesso esplicitamente evidenti. La raccolta di alcuni di questi testi è particolarmente significativa, e anche il lettore può accorgersi di quanto sia complesso l’intreccio di cose dette e non dette, attraverso frasi che fanno intravedere il dolore interiore, il desiderio di morte, la sconfitta o il primo apparire di un desiderio di rinascita.
Un’alleanza terapeutica
La medicina narrativa, per essere efficace, comporta un vero e proprio cambio di paradigma nell’atteggiamento mentale del curante: l’approccio diagnostico e terapeutico viene personalizzato ed è finalizzato a disegnare una cura co-costruita tra professionista e persona malata. Lo scopo dell’intervento riabilitativo è certamente quello di facilitare il ritorno dei pazienti ad una esistenza normale e al recupero funzionale della propria persona, ma serve anche a far accettare i necessari cambiamenti nello stile di vita, dato che l’esperienza della malattia rende le persone più fragili e soprattutto più bisognose di aiuto. Forse non si ritorna mai come si era “prima”, ed è spesso difficile sopportare una guarigione con limitazioni, cioè con cambiamenti del modo di essere o di comportarsi di quando si stava bene. Se la malattia acuta può guarire completamente, o quasi, la malattia cronica segnala alla persona la fine delle connotazioni della sua precedente vita e l’inizio di una condizione del tutto nuova, in cui la cura diventa una attività costante e necessaria. La gestione della malattia richiede dunque un difficile processo di accettazione, spesso collegato alle rappresentazioni mentali che la persona ha del sé e della malattia stessa. Serve una sorta di educazione terapeutica, e l’OMS ha designato a questo scopo uno specifico comitato che definisse le modalità adatte a superare quella sorta di lutto connesso al cambiamento, e alla profonda sensazione di aver perso qualcosa di essenziale alla propria esistenza.
Quando si rompe l’equilibrio degli adolescenti
La medicina narrativa permette, con le sue definite modalità, di fare chiarezza sulla propria identità, di riconoscersi e ristabilire la relazione con se stesso, rotta dalla malattia e recuperare l’equilibrio tra la persona e l’ambiente in cui si vive. Nei Centri di Todi e di Città della Pieve i disturbi alimentari sono interpretati come sintomi del disagio tra dinamiche inconsce e il mondo esterno, in particolare tra i contesti individuali, familiari e sociali. Per questo nel processo terapeutico anche i genitori dei pazienti adolescenti sono coinvolti nelle pratiche di narrazione. Sono molto interessanti i testi in cui questi esprimono i loro punti di vista, la loro storia, l’iniziale fastidio e scetticismo, l’adesione al percorso che li coinvolge come persone e come adulti responsabili. Anche per loro l’esperienza sociale diventa un punto di riferimento che può modificare profondamente il loro rapporto con la malattia.
Il ruolo dei social network
L’ultimo capitolo del libro analizza i rapporti linguistici all’interno dei social network, dove la comunicazione è in realtà disincarnata, nel senso che rimuove dall’interazione il corpo e i suoi significati, sostituendoli con una pluralità di immagini scelte per trasmettere una idea di sé spersonalizzata e convenzionale. Le risposte stimolate da questi messaggi sono di diverso tipo, dall’appartenenza al bisogno di mantenere i contatti con gli altri, fino alla necessità di confermare una data relazione attraverso legami da cui è difficile liberarsi. Da questi legami solo apparentemente virtuali possono svilupparsi emozioni negative, senso di inferiorità, oppressione, tentativi di corrispondere a misure esteriori (non solo fisiche). Ma il social può anche essere visto come spazio narrativo, come mezzo per differenziare la propria identità pur rimanendo collegati con gli altri. La narrazione creatrice può esprimere autonomia e al tempo stesso stabilire relazioni, può rinforzare la propria presenza senza condizionarla totalmente, può esprimere emozioni o mascherarle in una sorta di omologazione emotiva.
Cervello rapido o lento?
Certo la rete sta cambiando il nostro cervello, conclude Francesca Pierotti, come sta cambiando molti nostri comportamenti occupando parti sempre più cospicue del nostro tempo, o frammentando la nostra attenzione. Bisogna quindi controllare i processi che tendono a globalizzare il cervello umano rispettandone l’evoluzione biologica, preservando le funzioni complementari di un cervello rapido, funzionale alla sopravvivenza e di un cervello lento plastico e influenzato dall’ambiente; soprattutto evitando di innescare nella mente umana sogni di dominio sull’uomo stesso e sulla natura.
Credits immagine: Janosch Lino su Unsplash
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