I dazi di Trump e la lotta climatica a rischio: l’Europarlamento convoca la plenaria
Quale posizione deve tenere l’Unione europea di fronte al generale atteggiamento di rottura del neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump? I 720 deputati dell’Europarlamento ne discuteranno da lunedì 10 a giovedì 13 febbraio in occasione della consueta seduta plenaria mensile dell’assemblea legislativa. Il programma dei lavori prevede diversi dibattiti dedicati proprio alle prime mosse tranchant […]
Quale posizione deve tenere l’Unione europea di fronte al generale atteggiamento di rottura del neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump? I 720 deputati dell’Europarlamento ne discuteranno da lunedì 10 a giovedì 13 febbraio in occasione della consueta seduta plenaria mensile dell’assemblea legislativa.
Il programma dei lavori prevede diversi dibattiti dedicati proprio alle prime mosse tranchant di Trump, dai dazi minacciati verso l’Ue alla decisione di far uscire gli Usa dall’Accordi sul Clima di Parigi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, fino alla sospensione degli aiuti umanitari internazionali da parte statunitense.
Si parlerà poi anche della strategia europea rispetto ai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente e della necessità di rilanciare l’industria continentale, con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che, mercoledì 12, presenterà la sua “Bussola per la competitività”.
Oggi, venerdì 7 febbraio, nell’ambito delle iniziative “L’Europa che fa notizia”, il Parlamento europeo ha organizzato un briefing per la stampa per presentare la seduta plenaria della prossima settimana. Presenti quattro eurodeputati italiani: Annalisa Corrado (Partito democratico, del gruppo dei Socialisti europei), Denis Nesci (Fratelli d’Italia, del gruppo Ecr dei Conservatori europei), Ignazio Marino (del gruppo Verdi/Alleanza Libera Europea) e Valentina Palmisano (del Movimento 5 Stelle, che fa capo al gruppo della Sinistra europea).
I tre europarlamentari di centrosinistra esprimono forti preoccupazioni in vista dei dazi minacciati dalla Casa Bianca. “La reazione a Trump da parte di von der Leyen è stata forte a parole. Ma dobbiamo potenziare gli strumenti europei altrimenti rischiano di essere parole al vento”, osserva Corrado rispondendo a una domanda di TPI. “Rischiamo che qualcuno, con contatti bilaterali, funga da cavallo di Troia perché Trump possa smontare l’Europa, che è il nostro unico baluardo di difesa. E ho paura che l’Italia possa fare qualcosa del genere”.
“L’Europa si sta dimostrando debole e divisa: così il bullo Trump prevale“, le fa eco Marino. “Se pensiamo di avere un dialogo solitario con gli Usa, come la nostra presidente del Consiglio Meloni forse immagina, perderemo. Perché in Europa siamo forti solo se stiamo tutti insieme”.
Anche Palmisano rimarca come l’Ue debba “avere una postura autonoma e unitaria” rispetto a Trump. “I dazi – fa notare l’europarlamentare del M5S – avrebbero come effetto quello di far aumenterebbe i prezzi per i cittadini comuni. Sono convinta che Trump usi queste idee come deterrente, ma, se dovesse andare avanti, l’Europa deve farsi trovare pronta. E Meloni deve dire cosa pensa dei dazi“.
Più cauta la lettura dell’onorevole Nesci, unico esponente presente che fa riferimento alla maggioranza di governo italiana: “Io sarei più attendista, prima di trarre conclusioni”, dice. “Sappiamo che Trump è un grande mediatore, vedremo quel che succederà. Di certo l’Italia sarà protagonista in questa mediazione, come dimostra il ruolo di leadership che finora ha avuto il Governo Meloni in Europa”.
Trump divide gli eurodeputati anche rispetto alla sua decisione di abbandonare la green economy e le politiche di lotta al cambiamento climatico. Anche nelle istituzioni europee inizia a farsi sempre più forte il pressing per alleggerire i vincoli del pacchetto di riforme “Fit for 55” (che punta entro il 2030 a ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% rispetto al 1990).
In particolare, da destra arrivano spinte sempre più insistenti per rivedere la misura che vieta, a partire dal 2035, di vendere auto nuove a motore endotermico sul territorio dell’Ue. Secondo Nesci, bene ha fatto la nuova Commissione a manifestare l’intenzione di avere “un approccio meno ideologico e più pragmatico”. “Serve un equilibrio tra la transizione verde e la sostenibilità economica”, sostiene l’eurodeputato di FdI. “Non siamo pronti ad avere solo l’elettrico in Europa, siamo indietro. Il rischio è di consegnare il monopolio del settore automotive alla Cina, che non ha certo la nostra stessa attenzione alla questione ambientale. La proposta del Governo italiano è diluire la deadline [del 2035, ndr] per arrivare pronti alla sfida dell’elettrico”.
“Non è così”, replica Corrado: “Si sbaglia l’analisi se si dà la colpa della crisi dell’auto al Green New Deal. In Europa abbiamo un ritardo di competitività, ma la partita industriale è stata ormai vinta dall’auto elettrica. E tutti gli attori del settore ci chiedono stabilità della normativa. Possiamo parlare del come, di quali investimenti fare, ma tornare indietro sarebbe un suicidio”.
La pensa così anche Marino: “Industriali e cittadini sono più avanti del Parlamento“, osserva: “È vero che la Cina non ha a cuore la transizione ecologica, ma io credo nell’esempio virtuoso: l’Europa deve assumere la leadership internazionale, perché la transizione si può fare e conviene”.
Palmisano, da parte sua, si augura che l’Ue faccia nuovamente ricorso al Fondo Sure utilizzato durante la pandemia di Covid-19: “Può essere un buono strumento per sostenere i lavoratori e le imprese in questo periodo”, dice. “Affermare che in Europa siamo indietro sull’elettrico e che quindi bisogna tornare indietro rispetto alla normativa già adottata mi pare un controsenso. L’industria ha bisogno di stabilità”.