Eni e il primo impianto in Italia per lo stoccaggio della CO2
CEMENTO, VETRO, acciaio ma anche ceramica: sono materiali protagonisti della nostra vita quotidiana ma la cui produzione è allo stesso...
CEMENTO, VETRO, acciaio ma anche ceramica: sono materiali protagonisti della nostra vita quotidiana ma la cui produzione è allo stesso tempo tra i principali freni alla corsa verso gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissate dall’Unione Europea per il 2030 e 2050. Le industrie che li producono vengono definite “hard-to-abate“ (letteralmente “difficili da abbattare”), perchè particolarmente difficili da decarbonizzare con le attuali tecnologie a disposizione o che si basano su processi che, per loro natura, generano anidride carbonica come sottoprodotto. Per dare un’idea della loro portata, sono responsabili di oltre il 60% delle emissioni industriali di gas serra e di circa il 13% delle emissioni totali a livello nazionale.
Nonostante l’impatto che hanno sull’ambiente (un impatto che ormai non può più essere ignorato) tuttavia questi settori restano cruciali per l’economia globale. Il vero dilemma, però, è che al momento non esistono le tecnologie adatte in grado di ridurre drasticamente tali emissioni, che possono solo essere contenute prima che raggiungano l’atmosfera. Da questa premessa, negli ultimi anni sono stati avviati numerosi progetti a livello internazionale, incentrati sui sistemi “Carbon capture, utilization and storage“ ovvero per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo dell’anidride carbonica. Non è una tecnologia nuova, il primo CCS è stato costruito in Texas nel 1972 e ne esistono oltre trecento in via di sviluppo in tutto il mondo. Ma l’Italia non ne aveva mai avuto uno proprio. Almeno fino a pochi anni fa: nel dicembre del 2022 Eni e Snam hanno firmato una Joint Venture paritetica, con Eni come operatore, con l’obiettivo di sviluppare la prima infrastruttura permanente di cattura, trasporto e stoccaggi di CO2 in Italia, in provincia di Ravenna.
Ma in cosa consiste di preciso questo sistema? Il processo si divide in diversi step. La prima fase è quella della cattura, nella quale l’anidride carbonica viene separata dagli altri gas con i quali è mescolata, ad esempio in seguito ad un processo di combustione. A questo punto, la CO2 viene compressa per permetterne il trasporto, solitamente tramite condotte ma anche via mare (nave) o via terra (trasporto su gomma o ferroviario). Così potrà essere utilizzata per usi industriali, come ad esempio nella produzione di materiale cementizio o di carburanti sintetici, e si parla allora di CCU (Carbon Capture and Utilization), oppure stoccata permanentemente all’interno di formazioni geologiche sotterranee appositamente selezionate, come per esempio i giacimenti di idrocarburi esauriti. In questo caso si parla quindi di CCS (Carbon Capture and Storage).
Tornando al progetto tutto italiano, dallo scorso agosto è partita la Fase 1 del progetto Ravenna CCS, che vede l’iniezione di circa 25mila tonnellate di anidride carbonica prodotta dalla centrale Eni di trattamento del gas naturale di Casalborsetti (nella foto) verso il giacimento di gas esaurito ‘Porto Corsini Mare Ovest’ nel Mar Adriatico, dove viene stoccata permanentemente a circa 3000 metri di profondità. Dopo la Fase 1 si procederà con lo step successivo, aperto alle aziende emettitrici, nel quale si prevede di stoccare fino a 4 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030. L’obiettivo del programma è quello di dar vita al progetto CCS di riferimento per l’Europa meridionale e uno dei più grandi al mondo.
É un sodalizio strategico quello stretto tra Eni Snam, in cui le due aziende metteranno a fattor comune competenze e know-how : Eni (nella foto l’ad Claudio Descalzi) farà leva sulla sua esperienza pluridecennale nel business tradizionale per riconvertire i propri giacimenti offshore esauriti nel Mar Adriatico. Sna, previo completamento iter autorizzativi, svilupperà un’adeguata infrastruttura di trasporto riutilizzando, laddove possibile, le infrastrutture esistenti e rendendole idonee al passaggio della CO2.
Parlando di benefici concreti, oltre a quelli ambientali legati alla decarbonizzazione, il sistema "garantirà un impatto importante su competitività e sviluppo tecnologico del sistema Italia e sull’economia locale, in primis in termini di creazione e tutela di posti di lavoro, diretti e indiretti", assicura Eni. Come emerso infatti dallo studio strategico “Carbon Capture and Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività industriale” realizzato nel 2023 da The European House - Ambrosetti, l’utilizzo della CCS contribuirebbe a preservare la competitività dei settori hard to abate in Italia (acciaierie, cementifici, chimica, carta, vetro ecc.), che rappresentano 94 miliardi di euro di valore aggiunto (ovvero circa il 5% del Pil italiano) e 1,25 milioni di occupati ( il 4,5% della forza lavoro nazionale) e che, al contempo, emettono 63,7 milioni di tonnellate di CO2, di cui il 22% connesse intrinsecamente al processo produttivo e che non sono evitabili attraverso l’elettrificazione.
I progetti di stoccaggio geologico della CO2 non sono una novità per Eni che è partner del progetto Sleipner in Norvegia dal 1996, il primo impianto al mondo dedicato allo stoccaggio geologico dell’anidride carbonica a fini ambientali. L’azienda italiana ha stabilito una posizione di leadership oltre anche nel Regno Unito con i progetti di HyNet, uno dei più avanzati del Paese, e Bacton che potenzialmente può divenire l’hub di riferimento per la regione a sud est di Londra, utilizzando per entrambi i progetti.A questi si aggiungono i progetti che Eni sta sviluppando in Olanda ed in Nord Africa le iniziative nel Mare del Nord e nella regione asia- Pacifico.