Ecco come e perché Nordio condanna la Corte penale internazionale sul caso Almasri
Il resoconto integrale dell'informativa alla Camera del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sul caso Almasri
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Il resoconto integrale dell’informativa alla Camera del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sul caso Almasri
Una breve ricostruzione dei fatti preliminari. Il 18 gennaio 2025, la Corte penale internazionale emetteva un mandato di arresto internazionale nei confronti di Osema Almasri Najeem per una serie di reati di cui vi parlerò dopo. Il mandato di arresto veniva eseguito dalla DIGOS di Torino domenica 19 gennaio 2025 alle ore 9,30. Una notizia informale dell’arresto veniva trasmessa via e-mail da un funzionario dell’Interpol a un dirigente del Dipartimento degli affari di giustizia del nostro Ministero alle ore 12,37, sempre della domenica 19 gennaio 2025. Si trattava, come ho detto, di una comunicazione assolutamente informale, di poche righe, priva di dati identificativi, priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non vi era nemmeno allegata la richiesta di estradizione.
Il 20 gennaio, invece, alle ore 12,40 il procuratore generale di Roma trasmetteva il complesso carteggio a questo Ministro; quindi, ufficialmente il carteggio è arrivato al Ministero protocollato il 20 gennaio alle ore 12,40. Successivamente, alle ore 13,57 l’ambasciatore dell’Aja trasmetteva al Servizio affari internazionali del Ministero e al Dipartimento per gli affari di giustizia la richiesta di arresto provvisorio del 18 gennaio 2025. Conviene sinora notare che la comunicazione della questura di Torino era pervenuta al Ministero ad arresto già effettuato e, dunque, senza la preventiva trasmissione della richiesta di arresto a fini estradizionali emessa dalla CPI al Ministro, come prescritto dagli articoli 2 e 4 della legge n. 237 del 2012.
In data 22 gennaio perveniva al gabinetto del Ministro, per il tramite del Dipartimento per gli affari di giustizia, il provvedimento di scarcerazione della corte d’appello, scarcerazione che era stata data il 21 gennaio su istanza del difensore. Prima di entrare nel merito della vicenda, devo informare che il giorno 28 gennaio, alle ore 16,50, è stata consegnata al sottoscritto un’informativa ai sensi dell’articolo 335 del codice di procedura penale, dalla quale si evince che l’onorevole Carlo Nordio è indagato per i reati di favoreggiamento e omissione di atti di ufficio. La qualità di indagato, iscritto nel registro citato, è sottolineata in grassetto nell’informazione di garanzia.
Devo dire che ho vista con una certa tenerezza questa sottolineatura che sarei persona indagata, perché un pubblico ministero, avendolo fatto per 40 anni, sa benissimo che, se è iscritto nel registro del 335, è persona indagata, non è iscritto all’associazione dei bocciofili
Questa notifica, pervenuta il giorno prima di quella fissata per le comunicazioni in Parlamento – per questo l’ho detto, è pervenuta il giorno prima della comunicazione che era stata programmata qui -, ha determinato un momento di riflessione, perché, sia in ossequio all’indipendenza e alle prerogative della magistratura, sia anche in relazione alla posizione di indagato, che, come tale, sapete, deve essere sempre assistito da un difensore, presentarsi il giorno dopo senza avere quantomeno interloquito con chi di dovere poteva essere un atto anomalo. Naturalmente, ho dimostrato subito la disponibilità ad essere ascoltato il prima possibile – e infatti eccomi qui – proprio per chiarire questa vicenda, sulla quale, come vedrete, ci sono state tantissime incertezze, tantissime inesattezze e anche talune grossolane contraddizioni da parte degli uffici, come vedremo.
Prima di tutto è necessario stabilire i poteri del Ministro della Giustizia così come sono disciplinati dagli articoli 2 e 4 della legge n. 237 del 2012 per i casi analoghi a quello in oggetto, perché senza di questi capiremmo poco di quanto sta accadendo. In realtà, si tratta di una disciplina molto complessa, che fino a oggi non ha mai trovato applicazione e sulla quale, com’è noto, in questi giorni si è acceso anche un dibattito con diverse conclusioni tra i giuristi. Addirittura un autorevole giurista, che potremmo chiamare di sinistra, ha sostenuto, l’altro giorno, che non c’era assolutamente la necessità che il Ministro approcciasse la corte d’appello, perché la corte d’appello aveva tutti i poteri in sé per poter convalidare quell’arresto.
Questo per dire che è una materia abbastanza oggetto di discussione. Comunque, l’articolo 2 prevede testualmente che i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale siano curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito. Il Ministro della Giustizia, ove ritenga ne ricorra la necessità – ove ritenga ne ricorra la necessità – concorda la propria azione con altri Ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato, e vi lascio immaginare quali possano essere questi altri organi dello Stato. Al Ministro della Giustizia compete, altresì, di presentare alla Corte, ove occorra, atti e richieste.
Da questa formulazione si evince che il ruolo del Ministro non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste che arrivano dalla Corte; non è un passacarte, è un organo politico che deve meditare il contenuto di queste richieste in funzione di un eventuale contatto con gli altri Ministeri, con le altre istituzioni e con gli altri organi dello Stato. Questo è ciò che dice la legge, non è che arriva il fascicolo e io faccio da passacarte e lo passo. No, ho il potere-dovere di interloquire con altri organi dello Stato, laddove se ne presenti la necessità. Come vedremo, questa necessità si presentava eccome.
Tanto più la richiesta proveniente dalla Corte penale internazionale è articolata e complessa, tanto maggiore deve essere la riflessione, anche una riflessione critica, sul suo procedere logico, sulla sua coerenza argomentativa, sui dettagli degli elementi citati e sulla coerenza delle conclusioni cui perviene. Coerenza delle conclusioni cui perviene la decisione della Corte. Come vedremo per tabulas, questa coerenza manca assolutamente e quell’atto, secondo noi, è radicalmente nullo.
Mentre il Ministero procedeva all’esame di questa richiesta pervenuta in lingua inglese, con svariati allegati in lingua araba, la corte d’appello di Roma, ritenendo che l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria nella procedura di consegna sul mandato della CPI debba ritenersi escluso – relativo alla compressione dello status libertatis delle persone – ordinava la scarcerazione, aderendo all’istanza difensiva, di cui, peraltro, il Ministero non poteva e non doveva avere conoscenza, nel rispetto del diritto della difesa e delle prerogative di indipendenza e di autonomia della magistratura.
Adesso veniamo al punto fondamentale. Fin dalla prima lettura, peraltro in lingua inglese, l’atto è arrivato in lingua inglese senza essere tradotto.
Sin dalla prima lettura, il sottoscritto notava tutta una serie di criticità sulle richieste di arresto che avrebbero reso impossibile una immediata richiesta alla corte d’appello. Infatti, vi prego di prestare attenzione, nella prima parte del provvedimento della Corte si dava atto che il 2 ottobre 2024 l’organo dell’accusa della Corte aveva richiesto l’emissione di un mandato di arresto nei confronti di Osama Almasri Najeem per delitti contro l’umanità e altri delitti particolarmente gravi avvenuti nel carcere libico di Mitiga, e commessi secondo l’accusa – e, quindi, questa è l’accusa che chiede – a partire all’incirca dal febbraio 2015 fino al giorno in cui era pervenuta la richiesta dai membri delle Forze speciali di dissuasione.
Peraltro, nel preambolo invece il provvedimento de quo menzionava la situazione nella Giamahiria Araba Libica a partire dal febbraio 2011. Nel febbraio 2011 Gheddafi era ancora al potere e, quindi, già qualcosa non quadrava. L’idea che un torturatore anti-gheddafiano potesse torturare qualcuno mentre Gheddafi era al potere doveva illuminarci un poco. Dalla lettura dei paragrafi nn. 5 e 7 emergeva un’incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi, prospettandosi, da un lato, un inizio nel febbraio 2011, allorquando erano iniziati i moti violenti, e, dall’altro, il febbraio 2015, data cui faceva riferimento l’atto di accusa all’esame della stessa Corte penale.
In poche parole, in questo mandato di arresto si oscillava dal 2011 al 2015 e non si riusciva a capire se il reato fosse iniziato nel 2011 o nel 2015; non è una cosa di poco conto, trattandosi di un reato continuato e poiché in quei 4 anni, secondo quanto espresso dalla stessa Corte, sarebbero stati commessi numerosi atti di stupro, di violenza, di aggressione, di omicidio, eccetera.
Nel paragrafo n. 13 la Corte penale segnalava, tra l’altro, che la terza giudice – la Corte è composta di tre giudici -, la giudice Socorro Flores Liera si era espressa in disaccordo con i colleghi, ritenendo che i crimini presunti descritti nella richiesta – cito tra virgolette – “non sono sufficientemente collegati alla situazione che ha comportato la competenza della Corte tramite il deferimento del Consiglio di sicurezza”. Lo vedremo dopo.
Allora, questa dissenting opinion non è stata allegata al primo atto che ci è stato mandato e vedremo poi come l’avremo. Il provvedimento della CPI segnalava anche che avrebbe allegato appunto questo parere contrario, che però non è pervenuto.
Nel prosieguo della parte cosiddetta motiva, la Corte penale continuava a far riferimento ai fatti commessi tra il febbraio 2015 e il marzo 2024, periodo – come si è visto – indicato nello stesso atto d’accusa. Ci sono tutte le trascrizioni: durante il periodo di tempo considerato, compreso tra febbraio 2015 e marzo 2024, diverse migliaia di persone erano detenute in queste strutture, eccetera. Questi concetti venivano ribaditi ai paragrafi dal 27 al 90, quindi una sessantina di paragrafi, in cui vi è tutta la sequenza di questi crimini orribili addebitati al catturando. Ecco allora, con un incredibile e incomprensibile salto logico e con una contraddizione che, almeno secondo la procedura penale italiana, renderebbe viziato l’atto, le conclusioni del mandato di arresto risultavano completamente differenti sia rispetto alla parte motiva sia rispetto alle stesse conclusioni dell’accusa.
Infatti, al paragrafo 101 si legge testualmente: per i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, i crimini di persecuzione commessi nella prigione di Mitiga dal 15 febbraio 2011 in poi.
Ma, poi, onorevole Bonelli, sa cosa? Che lei sarà smentito dalla stessa Corte, perché poi glielo spiego, quindi abbia pazienza, vedrà.
Perché, vedete, la cosa che più mi stupisce è che non avete letto le carte. Avete discusso sul nulla, non avete letto le carte, non sapevate neanche di cosa steste parlando. Allora, noi siamo abituati a discutere… come magistrati o come giuristi, si dice iuxta alligata ac probata, secondo gli allegati e i provati; quod non est in actis non est in mundo. Ma come fa a dire che è del ‘14, quando non soltanto è scritto a chiare lettere dal 2011, ma è la Corte stessa che poi lo corregge, come tra poco vedremo? Le ha lette le carte o no, Bonelli? No, non le ha lette, non le ha lette.
Allora, se a queste contraddizioni si aggiungono le perplessità manifestate dalla giudice dissenziente Socorro Flores Liera, delle cui argomentazioni noi non avevamo contezza – come ho detto – per non esserci stato tempestivamente trasmesso dalla CPI il relativo verbale, la trasmissione richiesta al procuratore generale presso la corte d’appello, prima di aver risolto queste discrasie e queste incongruenze, sarebbe stata, da parte mia, non solo inopportuna, ma prima ancora illegittima, perché sarebbe stata fondata su un arresto che, secondo i principi generali della procedura penale, era irrazionale e contraddittorio nell’elemento fondamentale della struttura del reato, che è quello del tempo del delitto commesso. Quattro anni di differenza in un reato continuato, tra il 2011 e il 2015, in cui sarebbero stati commessi tutti i reati più infami di questo mondo, non sono un errore materiale; è un vizio assoluto nel contenuto della struttura del reato, che viene esposta in un capo di imputazione, in un mandato di cattura internazionale, che poi si rivela completamente sbagliato. E perché si rivela sbagliato? Perché lo dice la Corte stessa. E adesso arriviamo alla seconda parte della vicenda che è quella ancora più interessante.
Allora a questo punto queste perplessità trovano conferma proprio da parte della stessa Corte che, senza neanche avvertire il nostro Governo della fissazione di una nuova udienza e senza comunicarci nemmeno l’esito, correggeva o, meglio, ribaltava completamente il precedente mandato di arresto, qualificando il secondo pronunciamento come una mera integrazione formale. Infatti, questo nuovo e diverso pronunciamento – che è questo, onorevole Bonelli (Il Ministro Nordio mostra un documento) – dice che la Corte si è nuovamente riunita il 24 gennaio, quindi 4 giorni dopo, e non ci è stato mandato, lo abbiamo ottenuto guardando il sito della Corte – anche qui in lingua inglese – e, come dicevo, allo stato attuale non ci è nemmeno stato inviato.
Allora, questo atto ufficiale, che è intitolato “Corrected version of the Warrant of arrest for Mr. Osama Elmasry” (corretta versione del mandato di arresto), che cosa dice? Allora, cambia completamente tutta una serie di capi di imputazione. Ho qui una tavola sinottica (Il Ministro Nordio mostra un documento), dove sono esplicitate tutte le differenze sui capi di imputazione tra la versione del 2018 e quella del 2024. Sono lunghe, sono prolisse, le metto a disposizione. Ne cito alcune, nelle contestazioni, relative al paragrafo 2.1, lettera g), dello Statuto, sono contestati tutti i reati possibili e immaginabili; bene, sono stati tutti cambiati, ma – ma, e qua voglio arrivare – il vizio genetico dell’ordinanza del 18 gennaio è certamente il mutamento della data del commesso reato. Perché? Perché nella parte dispositiva (PQM) dell’ordinanza del 24 gennaio, per il mandato di arresto si dice “for crime against humanity of persecution pursuant to article 7 of the Statute” – eccetera eccetera – commessi dal 15 febbraio 2015 onwards; cioè la Corte si riunisce 5 giorni dopo per dire che il primo warrant, il primo mandato di arresto era completamente sballato, perché aveva sbagliato niente meno che la data del commesso reato e noi ce ne eravamo accorti. Se noi non ce ne fossimo accorti e se noi avessimo inviato quella richiesta alla corte d’appello italiana, probabilmente ce l’avrebbe rimandata indietro dicendo che non c’eravamo accorti che quel mandato di arresto era assolutamente contraddittorio. Il fatto che sia contraddittorio ce lo dice la stessa Corte – ripeto – perché ha fatto una riunione apposta per cambiare la data del delitto commesso dal 2011 al 2015 e non è un errore materiale, dal 20 al 21 aprile, si tratta di 5 anni di crimini, che erano stati contestati in 45 paragrafi del primo mandato di arresto e che sono svaniti nel nulla perché, dal 2011 al 2015 – insomma 4 anni di reato continuato – non è una cosa da poco.
E questo trova anche conferma – e questo, per certi aspetti, è anche forse la cosa più grave – nel fatto che la giudice Liera si era accorta di questo e nella sua dissenting opinion aveva detto che mancava la giurisdizione. La giudice, la terza giudice componente, ha detto che la Corte non aveva giurisdizione per fare quello che ha fatto.
Cito testualmente: sulla base delle limitate informazioni, non è possibile valutare se i combattimenti, durante il periodo delle presunte condotte, siano stati in un conflitto armato non internazionale, per il quale è richiesto un livello sufficiente di intensità delle ostilità tra due o più attori armati sufficientemente organizzato o se il presunto conflitto armato non internazionale sia stato lo stesso o piuttosto un conflitto diverso da quello che ha avuto luogo all’inizio del 2011. Poi aggiunge – frase tremenda-: sembra che ci sia uno sforzo per forzare un collegamento con gli eventi che hanno fatto scattare la giurisdizione della Corte internazionale che, se accettato in pratica, significherebbe che la Corte può continuare a esercitare la sua giurisdizione indefinitamente su una parte non statale.
Questo non l’ho detto io, questo lo ha detto la terza giudice che ha manifestato la sua dissenting opinion proprio perché si era accorta di queste gravissime anomalie…
Allora, alla luce di queste considerazioni – sono, ripeto, squisitamente giuridiche – credo che ogni altra mia iniziativa sarebbe stata impropria e frettolosa nei confronti della corte d’appello e che avrebbe, anzi, dimostrato una carenza di attenzione da parte mia nel non aver rilevato queste gravissime anomalie, che sono state, ripeto, rilevate dalla stessa Corte – ancora una volta ripeto -, che si è riunita apposta per cambiare mezza struttura del primo atto che era stato notificato a noi e sulla base del quale io avrei dovuto chiedere quel provvedimento.
È stata la Corte che si è corretta, non sono io che ho rilevato dei difetti della Corte; li ha rilevati lei e ha cercato di cambiarli 5 giorni dopo, perché si era accorta che aveva fatto un immenso pasticcio.
La ragione di questo pasticcio frettoloso sarà discussa, sarà forse trovata e sarà sospettata in altre sedi e situazioni. Non so perché abbiano agito in un modo così frettoloso da sbagliare completamente un atto così solenne come un mandato di cattura internazionale e comunque aggiungo e concludo che è mia intenzione attivare i poteri che la legge mi riconosce e chiedere alla Corte penale giustificazione circa le incongruenze di cui è stato mio dovere riferire. Vorrei concludere. Capisco e rispetto ovviamente le ragioni dell’opposizione che esercita il suo compito e il suo dovere anche in modo, diciamo così, aggressivo, “la politique n’a pas d’entrailles”.
Capisco anche la stampa, anche se ha diffuso in questi giorni tutta una serie di notizie che, come si vede, erano inventate e in parte sbagliate. Quello che mi ha un po’ deluso, anche se non è arrivato inaspettato, è stato l’atteggiamento di una certa parte della magistratura, parte della magistratura che si è permessa di sindacare l’operato del Ministro senza aver letto le carte, cosa che può anche essere perdonata ai politici, ma non può essere perdonata – non può essere perdonata – a chi per mestiere è deputato e per prudenza le carte le dovrebbe leggere. Allora a questa parte della magistratura mi limito a dire che, tenuto anche conto dei precedenti talvolta anche un po’ troppo polemici cui abbiamo assistito all’inaugurazione dell’anno giudiziario, a questa parte della magistratura, se questo è il loro modo di intervenire in modo imprudente, in modo per certi aspetti sciatto, senza aver letto le carte, questo rende il dialogo molto, molto difficile. Il dialogo che ci viene suggerito e talvolta anche così a calde lettere in questo modo diventa molto, molto, molto, molto più difficile.
E se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme debbano essere rallentate
L’altro giorno un magistrato ha ringraziato ironicamente il Ministro perché finalmente aveva compattato la magistratura. Sono io che ringrazio questa parte della magistratura, perché ha compattato la nostra maggioranza come mai si era visto: se agli inizi vi erano delle esitazioni, oggi non vi sono più. Andremo avanti, andremo avanti fino in fondo, senza esitazione e fino alla riforma finale.