Cinque anni di Brexit oggi: come è cambiata la vita degli italiani (e degli inglesi)

La maggioranza degli Italiani residenti a Londra lo sapeva già, come sarebbe andata a finire con la Brexit. Adesso, a cinque anni dal divorzio dall’Europa, l’hanno capito pure gli Inglesi che non ne valeva la pena. Nessuno, nemmeno il leader di Reform UK, Nigel Farage, fautore insieme a Boris Johnson di quella campagna referendaria che spezzo’ in due il Paese, ha poi tanta voglia di festeggiare un anniversario che a detta di tutti (sondaggisti, opinionisti e analisti) delinea un quadro sconfortante del Regno Unito dopo l’uscita dalla Comunità Europea. Tanto per ricordare un attimo: il 31 gennaio del 2020 la Gran Bretagna taglia il cordone ombelicale che l’ha tenuta legata per 47 anni al Comunità, ma rimarrà per ulteriori 11 mesi sia nel mercato libero che nell’Unione doganale per dare la possibilità alle due parti di assestarsi, creando un accordo tanto speciale, quanto pasticciato e confuso, con l’Irlanda del Nord. Durante quei mesi saranno soprattutto i residenti provenienti dall’Europa, tra cui moltissimi Italiani, ad avvertire il cambiamento. Persino a Londra, dove il voto per rimanere fu predominante, gli Europei, hanno visto cambiare l’aria. Serpeggiava allora quella sensazione di non essere più così graditi, tanto che moltissimi hanno poi deciso di andarsene lasciando posti vacanti nelle corsie d’ospedale come nei vari Cafe’ Nero e Costa, nelle aziende edilizie così come nei ristoranti e negli alberghi. Il governo conservatore di allora fu bravo a cavalcare l’onda dell’entusiasmo dei Leavers promettendo che l’uscita dall’Europa avrebbe portato una crescita economica, più fondi per il servizio sanitario nazionale, più lavoro per gli Inglesi, diminuzione dell’immigrazione, maggiore indipendenza dalla castrante legislazione europea. Nulla di questo è accaduto e ora che tutti se ne sono accorti e che la maggioranza degli Inglesi vorrebbe tornare indietro, anche il governo laburista di Keir Starmer, ripete stancamente le solite dichiarazioni d’intenti a favore di un riavvicinamento con l’Europa, ma nella pratica non sa che pesci pigliare. Le cifre sono noiose, ma la dicono lunga su come siano andate le cose. E poiché non tutti possono osservare di persona gli scaffali desolatamente sforniti di merce dei supermercati del Regno, val la pena sottolineare che soltanto nel biennio 2021/23 le importazioni dall’Europa sono calate del 27% e le esportazioni del 31% e che gli accordi siglati con altri Paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda non sono riusciti neppure lontanamente ad assorbire quest’impatto negativo. Per non parlare delle migliaia di aziende che hanno deciso di andarsene o chiudere i battenti perché travolte dall’aumento della documentazione burocratica richiesta attualmente per passare i confini. A proposito di frontiere, se si pensa al tormentone del “riapproprio dei propri confini” cantato ad ogni piè sospinto dai vari leader conservatori che con la Brexit hanno avuto a che fare, da Theresa May fino a Liz Truss e Rishi Sunak passando per Johnson, val la pena di leggere le conclusioni del rapporto “The Brexit Files”, lo studio redatto dall’osservatorio indipendente “Uk in a Changing Europe” (https://ukandeu.ac.uk/reports/the-brexit-files-from-referendum-to-reset/?mc_cid=9a2a68d222&mc_eid=94282a554b) in cui si spiega che l’unico effetto sull’immigrazione dovuto alla Brexit è stato un aumento dell’immigrazione proveniente dai Paesi non Europei che supera di gran lunga la diminuzione dell’immigrazione europea causata da Brexit. Il che può essere anche un aspetto positivo, a seconda dei punti di vista, ma solo un’altra promessa non mantenuta vista con gli occhi di un Leaver. Rimane ora da vedere se mister Starmer riuscirà a rientrare dalla porta di servizio in un’Europa molto diversa e più fragile di quella di 5 anni fa. Pronta si, a riaccogliere gli Inglesi, ma solo se gliene viene qualcosa in cambio, per esempio nel settore della Difesa. E’ per questo che il leader britannico il prossimo 3 febbraio è stato invitato a prendere parte al vertice europeo di Bruxelles. Un primo passo di riavvicinamento di un percorso tutto in salita, mentre il Paese fa i conti con un’occasione perduta: quella di rimanere dov’era…..

Feb 2, 2025 - 13:17
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Cinque anni di Brexit oggi: come è cambiata la vita degli italiani (e degli inglesi)


La maggioranza degli Italiani residenti a Londra lo sapeva già, come sarebbe andata a finire con la Brexit. Adesso, a cinque anni dal divorzio dall’Europa, l’hanno capito pure gli Inglesi che non ne valeva la pena. Nessuno, nemmeno il leader di Reform UK, Nigel Farage, fautore insieme a Boris Johnson di quella campagna referendaria che spezzo’ in due il Paese, ha poi tanta voglia di festeggiare un anniversario che a detta di tutti (sondaggisti, opinionisti e analisti) delinea un quadro sconfortante del Regno Unito dopo l’uscita dalla Comunità Europea.

Tanto per ricordare un attimo: il 31 gennaio del 2020 la Gran Bretagna taglia il cordone ombelicale che l’ha tenuta legata per 47 anni al Comunità, ma rimarrà per ulteriori 11 mesi sia nel mercato libero che nell’Unione doganale per dare la possibilità alle due parti di assestarsi, creando un accordo tanto speciale, quanto pasticciato e confuso, con l’Irlanda del Nord. Durante quei mesi saranno soprattutto i residenti provenienti dall’Europa, tra cui moltissimi Italiani, ad avvertire il cambiamento. Persino a Londra, dove il voto per rimanere fu predominante, gli Europei, hanno visto cambiare l’aria. Serpeggiava allora quella sensazione di non essere più così graditi, tanto che moltissimi hanno poi deciso di andarsene lasciando posti vacanti nelle corsie d’ospedale come nei vari Cafe’ Nero e Costa, nelle aziende edilizie così come nei ristoranti e negli alberghi.

Il governo conservatore di allora fu bravo a cavalcare l’onda dell’entusiasmo dei Leavers promettendo che l’uscita dall’Europa avrebbe portato una crescita economica, più fondi per il servizio sanitario nazionale, più lavoro per gli Inglesi, diminuzione dell’immigrazione, maggiore indipendenza dalla castrante legislazione europea. Nulla di questo è accaduto e ora che tutti se ne sono accorti e che la maggioranza degli Inglesi vorrebbe tornare indietro, anche il governo laburista di Keir Starmer, ripete stancamente le solite dichiarazioni d’intenti a favore di un riavvicinamento con l’Europa, ma nella pratica non sa che pesci pigliare.

Le cifre sono noiose, ma la dicono lunga su come siano andate le cose. E poiché non tutti possono osservare di persona gli scaffali desolatamente sforniti di merce dei supermercati del Regno, val la pena sottolineare che soltanto nel biennio 2021/23 le importazioni dall’Europa sono calate del 27% e le esportazioni del 31% e che gli accordi siglati con altri Paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda non sono riusciti neppure lontanamente ad assorbire quest’impatto negativo. Per non parlare delle migliaia di aziende che hanno deciso di andarsene o chiudere i battenti perché travolte dall’aumento della documentazione burocratica richiesta attualmente per passare i confini.

A proposito di frontiere, se si pensa al tormentone del “riapproprio dei propri confini” cantato ad ogni piè sospinto dai vari leader conservatori che con la Brexit hanno avuto a che fare, da Theresa May fino a Liz Truss e Rishi Sunak passando per Johnson, val la pena di leggere le conclusioni del rapporto “The Brexit Files”, lo studio redatto dall’osservatorio indipendente “Uk in a Changing Europe” (https://ukandeu.ac.uk/reports/the-brexit-files-from-referendum-to-reset/?mc_cid=9a2a68d222&mc_eid=94282a554b) in cui si spiega che l’unico effetto sull’immigrazione dovuto alla Brexit è stato un aumento dell’immigrazione proveniente dai Paesi non Europei che supera di gran lunga la diminuzione dell’immigrazione europea causata da Brexit. Il che può essere anche un aspetto positivo, a seconda dei punti di vista, ma solo un’altra promessa non mantenuta vista con gli occhi di un Leaver. Rimane ora da vedere se mister Starmer riuscirà a rientrare dalla porta di servizio in un’Europa molto diversa e più fragile di quella di 5 anni fa. Pronta si, a riaccogliere gli Inglesi, ma solo se gliene viene qualcosa in cambio, per esempio nel settore della Difesa.

E’ per questo che il leader britannico il prossimo 3 febbraio è stato invitato a prendere parte al vertice europeo di Bruxelles. Un primo passo di riavvicinamento di un percorso tutto in salita, mentre il Paese fa i conti con un’occasione perduta: quella di rimanere dov’era…..