C’è un altro gene che può provocare il morbo di Alzheimer, la scoperta tutta italiana
Tra i tanti fattori che possono innescare il morbo di Alzheimer c’è un altro gene, identificato come potenziale responsabile per la prima volta: la scoperta, tutta italiana, è stata guidata dall’Università di Torino e dall’Ospedale Molinette dello stesso capoluogo piemontese, e potrebbe portare un giorno a terapie mirate (ma la strada è lunga). I risultati...
Tra i tanti fattori che possono innescare il morbo di Alzheimer c’è un altro gene, identificato come potenziale responsabile per la prima volta: la scoperta, tutta italiana, è stata guidata dall’Università di Torino e dall’Ospedale Molinette dello stesso capoluogo piemontese, e potrebbe portare un giorno a terapie mirate (ma la strada è lunga).
I risultati sono stati ottenuti grazie ad avanzate tecniche di genetica molecolare e hanno identificato in Grin2c uno dei geni potenzialmente responsabili dell’innesco di questa grave malattia neurodegenerativa.
Il morbo di Alzheimer
Come spiega il nostro Istituto Superiore di Sanità, il morbo di Alzheimer è una patologia di tipo neurodegenerativo che manifesta un inizio subdolo: le persone, all’inizio, cominciano a dimenticare alcune cose, e spesso questi primi sintomi non vengono riconosciuti come indicativi del suo insorgere.
Solo più tardi tutto diventa più chiaro, per arrivare al punto in cui i malati non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici.
La malattia oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane.
In particolare, questa colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi, fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
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I precedenti
Moltissime sono ormai le ricerche su questa terribile malattia che sconvolge la vita dei pazienti colpiti e dei loro familiari. Tali ricerche cercano di indagare i sintomi precoci così come i meccanismi di innesco e di progressione, ed erano già stati individuati rare mutazioni nei geni Psen1, Psen2 e App come possibile causa, principalmente in età presenile. Ma purtroppo, ad oggi, non esiste alcuna terapia che possa far regredire, né fermare, il suo avanzamento.
Tra quelle più recenti, ricordiamo quella del CUNY Graduate Center di New York (Usa), che ha svelato un meccanismo critico che collega lo stress cellulare nel cervello alla progressione della malattia di Alzheimer (AD), scoprendo che le microglia, le principali cellule immunitarie del cervello, possono sia fermare che peggiorare il progredire del morbo di Alzheimer (dipende dalla tipologia).
In altre parole alcune popolazioni di microglia sono di aiuto, altre invece innescano meccanismi peggiorativi, accelerando il progredire della degenerazione cellulare. Questa ricerca aveva come obbiettivo proprio comprendere le differenze funzionali tra queste popolazioni.
Lo studio tutto italiano
I ricercatori hanno oggi scoperto che anche il gene Grin2C può essere causa, probabilmente molto rara, di malattia. Ma in realtà c’è un altro aspetto che rende forse ancora più interessante le ricerca.
[…] l’aspetto più significativo della ricerca è la conferma del ruolo che i meccanismi di eccitotossicità correlata al glutammato possono avere nello sviluppo della malattia – spiega infatti all’Ansa Innocenzo Rainero, che ha guidato il lavoro – Quando il glutammato interagisce con il recettore Nmda sui neuroni, si apre un canale che promuove l’ingresso di ioni calcio. E, se questa stimolazione è eccessiva, si provoca un’intensa eccitazione del neurone che porta alla morte cellulare
Questa scoperta, secondo gli scienziati, sarebbe correlata al disturbo dell’umore di tipo depressivo che i pazienti portatori della mutazione sviluppano anni prima dell’insorgenza del deficit cognitivo.
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Ma soprattutto è importante per sviluppare nuovi farmaci in grado di ridurre l’eccitotossicità cerebrale da glutammato, in modo da rallentare la progressione della patologia.
Il lavoro, comunque, presenta dei limiti.
In primo luogo la diagnosi di malattia di Alzheimer nel campione esaminato non è stata ancora confermata tramite esame patologico – scrivono i ricercatori – Tuttavia, è stata fatta utilizzando i criteri del NIA-AA Research Framework, che hanno dimostrato di avere una correlazione significativa con la conferma patologica in studi precedenti
Ma soprattutto il lavoro necessita di essere ampliato.
È importante notare che questo studio è stato condotto in una singola famiglia e, pertanto, la variante patogena osservata può attualmente essere classificata solo come specifica di questa famiglia. Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare la prevalenza di varianti genetiche nel gene Grinc2C nella malattia di Alzheimer a esordio tardivo
Il lavoro è stato pubblicato su Alzheimer’s Research & Therapy.
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Fonti: Ansa / Alzheimer’s Research & Therapy
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