Tassa sul carbonio alle frontiere, Bruxelles apre a una revisione per esonerare “l’80% delle imprese Ue”. Il peso delle lobby e il rischio di distorsioni
Il meccanismo che punta a evitare la concorrenza sleale di chi produce in Paesi con vincoli ambientali meno rigorosi e ridurre il rischio di delocalizzazione delle produzioni sarà a pieno regime dal 2026 L'articolo Tassa sul carbonio alle frontiere, Bruxelles apre a una revisione per esonerare “l’80% delle imprese Ue”. Il peso delle lobby e il rischio di distorsioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sarà rivisto già nel 2025 il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam), la tassa sull’anidride carbonica incorporata o emessa per la produzione dei beni importati in Europa dai Paesi extra europei. La Bussola della competitività presentata da Bruxelles anticipa la revisione, inizialmente prevista nel 2026. Ma con la promessa di risolvere una serie di problemi, rischia di crearne altri, modificando aspetti cruciali del sistema concepito per proteggere l’industria europea dalla concorrenza sleale di chi produce in Paesi con vincoli ambientali meno rigorosi. E per ridurre il rischio di ‘carbon leakage’, la delocalizzazione delle produzioni Ue che sposta il problema al di fuori dell’Europa. Gli analisti segnalano distorsioni e ostacoli all’applicazione del Cbam, ma alcune delle modifiche chieste dalle lobby rischiano di indebolire il meccanismo. Nel passaggio dal Green Deal al Clean industrial Act, di fatto, cambierà l’ennesimo strumento creato per trainare il continente verso la neutralità climatica al 2050.
Il commissario europeo per il clima, Wopke Hoekstra, ha dichiarato al Financial Times che, nell’ambito del pacchetto normativo ‘Omnibus’ sulla semplificazione normativa, intende proporre una revisione per esonerare l’80% delle imprese Ue. Per il commissario “meno del 20% delle aziende è responsabile di oltre il 95% delle emissioni”. Il quotidiano stima che l’esclusione riguarderebbe tra le 180mila e le 200mila aziende, ma Hoekstra ritiene che questo “non diminuirebbe l’importanza degli obiettivi climatici”, rendendo solo “la vita più facile a un’ampia gamma di imprese”.
Il Cbam, cos’è e come funziona – Il Carbon Border Adjustment Mechanism nasce come misura complementare all’Emission Trading System (Ets), il sistema che dal 2005 fissa un tetto alla CO2 che può essere emessa per le produzioni in Ue. Le industrie devono acquistare i relativi ‘permessi a inquinare’. La lobby delle acciaierie Eurofer sottolinea che i produttori europei soggetti all’Ets si sono esposti a un prezzo unilaterale del carbonio che ha raggiunto circa 75 euro a tonnellata di CO2, mentre “più di 25 milioni di tonnellate di acciaio (il 20% della produzione Ue) sono importate ogni anno da paesi senza alcun costo del carbonio”. Da qui la necessità del meccanismo.
Attualmente in fase transitoria, il Cbam sarà a pieno regime dal 2026. Per il momento si applica a sei categorie, materiali fondamentali per le industrie Ue: cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti minerali e chimici, energia elettrica e idrogeno. La lista dovrebbe gradualmente allargarsi. Gli importatori devono segnalare le emissioni generate, dirette (derivanti dalla produzione) e indirette (legate all’utilizzo di energia elettrica). Già oggi, attraverso il Registro Cbam, i fornitori condividono i dati con gli importatori che, dal 2026, dovranno acquistare certificati Cbam rilasciati dall’Autorità nazionale competente di ciascuno Stato. Ogni certificato corrisponde a una tonnellata di CO2 equivalente emessa in atmosfera. Sono state le stesse industrie Ue a chiedere il Cbam per difendersi dalla concorrenza sleale, per poi invocarne (e ottenere) la revisione anticipata. Tra le altre cose, chiedono l’esclusione delle emissioni indirette.
I permessi a inquinare gratis e le insidie della revisione – Il processo di applicazione del Cbam, poi, dovrebbe essere accompagnato da una graduale eliminazione dell’assegnazione gratuita di ‘diritti a inquinare’. La Corte dei Conti Ue nel 2020 ha stimato che, senza modificare le regole dell’Ets, le aziende responsabili del 94% dei gas serra in Ue avrebbero continuato a ricevere questi permessi fino al 2030. Ma questo punto cardine del meccanismo potrebbe essere tra i primi a crollare, se l’Europa dovesse cedere alle pressioni delle lobby. Nel rapporto ‘The future of European competitiveness’ (su cui si basa la Bussola per la competitività), l’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi suggerisce di considerare “la possibilità di posticipare l’eliminazione graduale delle quote gratuite Ets” se l’implementazione del Cbam “risultasse inefficace”. A fine dicembre, ci ha messo del suo anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso (di intesa con il ministro dell’Ambiente e dell’Energia, Gilberto Pichetto) inserendola proposta nel non-paper sulla revisione del Cbam presentato dall’Italia e sostenuto da Austria, Bulgaria e Polonia.
“Con i prezzi dell’energia alle stelle e le scadenze dei target climatici sempre più vicine, nessuno vuole ulteriori obblighi” spiega a ilfattoquotidiano.it Jacopo Bencini, ricercatore presso l’Istituto Universitario Europeo e presidente di Italian Climate Network, secondo cui “le grandi lobby approfittano di un clima più favorevole all’ascolto delle istanze delle industrie per tentare di rallentare alcuni processi”. E aggiunge: “Il Cbam avrà degli impatti sui nostri partner commerciali e ci sono una serie di problemi da risolvere, ma la revisione al 2025 è rischiosa”. A fronte delle aziende che chiedono cambiamenti sostanziali, ce ne sono altre che investono nella direzione del Green Deal. “E si trovano spiazzate – spiega – anche in termini di programmazione sul medio e lungo periodo. Non si può creare così tanta incertezza. Al momento, però, a livello politico il Green Deal è rallentato principalmente dall’altissimo costo dell’energia, soprattutto in Germania e Polonia che, tra l’altro, detiene la presidenza del Consiglio dell’Ue”.
I Paesi più colpiti dal Cbam. E la spinta a fissare il prezzo del carbonio – Diversi timori arrivano dai partner commerciali dell’Ue, in un contesto internazionale già piuttosto complesso, su cui peserà anche la guerra dei dazi. “Cina e India ritengono il Cbam incompatibile con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio” racconta Bencini. L’intensità delle emissioni di carbonio per la produzione di ferro e acciaio in India è molto più alta della media Ue, a causa della dipendenza dal carbone. Ma il peso della tassazione sarà maggiore per i Paesi in via di sviluppo. Secondo l’African Climate Foundation, il Cbam potrebbe ridurre le esportazioni del 5,7% (del 14% quelle di alluminio e dell’8,2% quelle di ferro e acciaio), con una perdita dello 0,9% del Pil del continente. Il Mozambico, per esempio, produce circa 570mila tonnellate di alluminio l’anno, esportandone più del 90%, soprattutto in Europa. Alcune ong avevano chiesto che i paesi meno sviluppati (Ldc) fossero esentati dalla tassa, temendo che molti spazi commerciali lasciati saranno riempiti da Paesi più ricchi, aumentando il gap tra Nord e Sud del mondo.
Non è ancora chiaro cosa accadrà per la Turchia, ma tra i paesi potenzialmente più colpiti – spiega Bencini – c’è l’Ucraina. Il conflitto con la Russia ha congelato la discussione, ma dopo la guerra il Paese dovrà affrontare questo problema e si parla di possibili esenzioni”. Il Cbam, però, può spingere diversi Paesi a fissare il prezzo del carbonio. Se gli importatori dimostreranno, infatti, che un prezzo del carbonio è già stato pagato tramite misure del paese di origine, l’importo corrispondente verrà dedotto. “Paesi dai quali non ci saremmo mai aspettati un’accelerazione, come India e Brasile – spiega Bencini – stanno lanciando nuovi sistemi per il mercato delle emissioni anche in risposta al Cbam Ue e a quello britannico. Si parla poco della nascita di sistemi di carbon tax o nuovi Ets, invece è un tema cruciale”.
Gli obblighi di reporting e il rischio di distorsioni – Ma l’effetto sui Paesi fornitori non è l’unica questione sul tavolo. “Il meccanismo sembra semplice e intuitivo e, soprattutto, necessario, ma esistono una serie di questioni non risolte” spiega a ilfattoquotidiano.it Chiara Di Mambro, direttrice Strategia Italia & Europa del think tank Ecco Climate. In primis c’è il calcolo delle emissioni di questi prodotti, che arrivano da qualunque parte del mondo: “Gli importatori devono ricostruire i processi a monte nella produzione. Più fasi ci sono, magari in Paesi diversi, più è facile che non tutte le informazioni siano verificabili”. Il Cbam, inoltre, copre solo prodotti a monte (come l’alluminio) e non quelli a valle (come automobili o imballaggi).
“I materiali di cui stiamo parlando sono molto in alto nella catena del valore, sono prodotti grezzi – spiega Di Mambro – ed esistono possibilità di aggirare la norma importando prodotti più finiti”. Anziché l’acciaio, un macchinario. Questo può incoraggiare l’importazione di prodotti finiti. “Sarebbe un rischio per la produzione interna europea – commenta – che potrebbe vedersi togliere un altro pezzo della catena del valore, mentre le produzioni andrebbero comunque verso Paesi con regole meno rigide”. Un altro nodo riguarda chi importa, trasforma e riesporta: “Il maggior costo dei prodotti importati e poi trasformati in Europa può incidere sul costo del prodotto finito e, quindi, sulle possibilità di esportazione di tali prodotti”. La partita a Bruxelles è appena iniziata.
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