Più benessere e produttività se c’è senso di comunità in azienda

Lo studio. Dopo l’isolamento della pandemia, c’è una riscoperta della dimensione collettiva del lavoro Dal Randstad workmonitor per quasi nove intervistati su dieci aiuta a crescere e a produrre meglio Una decina di anni fa sarebbe sembrato davvero strano a chiunque diventare colleghi attraverso lo schermo di un computer, di un tablet o di uno […] L'articolo Più benessere e produttività se c’è senso di comunità in azienda proviene da Iusletter.

Feb 5, 2025 - 12:29
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Più benessere e produttività se c’è senso di comunità in azienda

Lo studio. Dopo l’isolamento della pandemia, c’è una riscoperta della dimensione collettiva del lavoro Dal Randstad workmonitor per quasi nove intervistati su dieci aiuta a crescere e a produrre meglio

Una decina di anni fa sarebbe sembrato davvero strano a chiunque diventare colleghi attraverso lo schermo di un computer, di un tablet o di uno smartphone, per la comune consuetudine a coltivare dal vivo le relazioni umane e professionali. Poi con la pandemia c’è stato uno shock generale in cui abbiamo visto anche l’onboarding, l’inserimento dei più giovani o dei nuovi arrivati in azienda, da remoto. Nella nuova normalità che viviamo ormai da parecchi mesi siamo però tornati a ripensare che il lavoro è anche, o forse è soprattutto, comunità. Niente di strano che nell’ultimo Randstad workmonitor, realizzato in 35 Paesi, tra 26.800 persone, di cui 750 in Italia, sia emersa l’importanza data al senso di collettività per stare bene al lavoro. E quindi produrre di più e meglio. Un tema che fa molto riflettere, soprattutto sulla necessità di trovare i giusti equilibri nelle nuove modalità organizzative tra lavoro in presenza e da remoto, ma anche su modelli con una diversa distribuzione dell’orario, non più sui cinque giorni canonici ma anche su quattro. «Tra i profondi cambiamenti che vediamo nel mondo del lavoro, emerge con forza la richiesta di senso di collettività tra i dipendenti italiani – interpreta Valentina Sangiorgi, chief hr Officer di Randstad -. I benefici della socialità, della fiducia e del senso di appartenenza sul posto di lavoro sono in grado di migliorare performance e benessere, possono essere la vera marcia in più per le persone e per le organizzazioni».

Le relazioni

Gli anni della pandemia e la remotizzazione ce lo hanno fatto un po’ dimenticare, ma la crescita personale, come anche quella professionale, difficilmente può ricevere dai nudi strumenti tecnologici la stessa spinta che riceve dalle persone. Quelle che al lavoro chiamiamo colleghi e che, al di là dei legami familiari, forse rappresentano le relazioni a cui viene dedicata la gran parte del tempo nell’arco della vita umana. E sarà sempre più così, anche per via del continuo e progressivo spostamento in avanti dell’età della pensione che, con l’inverno demografico, rappresenta una via senza ritorno per la sostenibilità dei conti degli enti previdenziali.

Il senso di collettività

Nelle risposte dei lavoratori italiani alla survey di Randstad, l’89% dice di rendere di più se c’è un senso di collettività tra i colleghi. Una percentuale pressoché analoga (l’88%) lavora meglio se sente di “conoscere bene” le persone che ha intorno, mentre l’87% vorrebbe che il posto di lavoro fosse una comunità. Il primo tema che emerge è quindi quello della produttività: un contesto dove non si è soli ma si fa parte di un insieme aiuta a produrre di più e meglio. E questo non lo dicono teorie di esperti, ma sono i lavoratori stessi a riconoscerlo. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un forte aumento del disagio psicofisico e il secondo grande tema che le risposte hanno portato in luce è proprio il fatto che il senso di comunità è importante anche per la salute mentale: a dirlo è l’89% delle persone. Il lavoro è lavoro, ma poi nei fatti diventa anche qualcosa di più, tant’è che il 76% dei lavoratori ha creato rapporti di amicizia con i colleghi, l’85% ha ricevuto dalla vita d’ufficio un aiuto anche nella vita personale per lo scambio sempre arricchente con persone di opinioni e background diversi. Per Sangiorgi «nelle risposte dei lavoratori si sente anche l’effetto dello sconfinamento tra vita privata e lavoro che viviamo ormai da molti anni. Oggi è più corretto parlare di work life integration piuttosto che di work life balance, perché il lavoro è entrato a tutti gli effetti nella vita personale, creando un mix che oggi sembra normale, ma che per i nostri genitori non lo era. Le due dimensioni, il privato e il lavoro, sono molto sovrapposte e se il lavoro è così pervasivo perché non ci sono più confini così netti, allora le persone chiedono qualcosa di più al lavoro. Anche perché le ore che passiamo in ufficio sono aumentate e questo lascia poco spazio per cercare e coltivare le relazioni esterne. Che si cercano quindi anche nel lavoro».

L’esigenza di benessere

La richiesta di socialità e il bisogno di “fare comunità” è legato proprio all’esigenza di benessere, espressa dai lavoratori italiani, tant’è che nel caso in cui non si sentisse a suo agio, più della metà delle persone (il 57%) si dice pronta a lasciare l’attuale posto di lavoro. Il 42% invece non accetterebbe un nuovo lavoro se l’organizzazione non facesse uno sforzo proattivo per promuovere una comunità o una cultura positiva. Per costruire la comunità però il punto primo è la presenza fisica: l’84% dice che è più facile costruire relazioni con i colleghi sul posto di lavoro, piuttosto che da remoto. E secondo il 79% per migliorare la produttività è necessario lavorare in ufficio. Addirittura, per il 71% andare in ufficio migliora l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Questo non significa una retromarcia sullo smart working, a cui i dipendenti non intendono rinunciare: un terzo delle persone (il 35%) dice infatti che potrebbe lasciare l’impiego se il datore di lavoro chiedesse di passare più tempo in ufficio. E la mancanza di flessibilità nell’orario di lavoro è la terza ragione (indicata dal 45% dei lavoratori) per rifiutare un lavoro, seguita dall’assenza di benefit e di carriera. «Dopo l’esperienza dello smart working di massa che in certi casi ha comportato anche isolamento e senso di straniamento, si è cercato di reagire in tanti modi. Gli italiani sembrano tra i più convinti che la relazione si costruisca dal vivo – osserva Sangiorgi -. Abbiamo assistito al fenomeno delle grandi dimissioni che è stato in qualche modo spinto dalla pervasività del lavoro: molti hanno infatti scelto di cambiare approccio perché il lavoro è parte della nostra dimensione umana. Più in generale c’è un senso di smarrimento delle persone che va avanti da ben prima della pandemia. Lo farei iniziare dai primi anni duemila e da alcuni eventi che hanno cambiato la storia dell’umanità, come le Torri gemelle che ci hanno portato a riflettere sul nostro ruolo e posto nel mondo. La pandemia è sicuramente l’evento più recente che ha innescato ulteriori riflessioni, ma da almeno 25 anni viviamo in un contesto di smarrimento che porta a riconsiderazioni positive del nostro essere esseri umani». E quindi, continua Sangiorgi, «a preferire formule ibride tra lavoro in presenza e da remoto, per massimizzare insieme i benefici della flessibilità e della relazione con i colleghi. Su questo aspetto, sembra essersi trovato un accordo tra le esigenze di lavoratori e imprese, che stanno trovando nuovi equilibri per soddisfare le richieste di flessibilità delle persone». Analizzando le risposte degli impiegati oggi la maggioranza (il 28%) lavora tutti i giorni in sede, il 12% fa un giorno alla settimana di smart working, il 19% due, il 6% tre, il 4% quattro e il 9% tutti i giorni. Ma potendo scegliere, l’opzione ideale contempla prevalentemente un solo giorno di smart working per il 27% o due giorni per il 25%. E non formule al 100% da remoto.

Gli italiani più socievoli

Nel confronto internazionale l’importanza del senso di collettività per la performance è maggiore tra i lavoratori italiani rispetto al resto del mondo: l’Italia è infatti 4 punti sopra rispetto alla media globale e 5 in più rispetto all’Europa. Nel genere, l’aumento di produttività è avvertito maggiormente dagli uomini rispetto alle donne, mentre sul fronte generazionale è avvertito di più dai boomers e dalla generazione X rispetto alle altre fasce di età. Il 90% degli italiani socializza con piacere con i colleghi, una percentuale che ci pone in quinta posizione su 35 Paesi analizzati. E il 72%, soprattutto la Gen-Z, frequenta i compagni di lavoro anche fuori dall’azienda. La composizione demografica non è un ostacolo: l’81% dei lavoratori reputa facile andare d’accordo con colleghi di diversa età, sesso e provenienza. Su questo un impatto lo stanno avendo anche i nuovi approcci alla leadership più basati sulla fiducia che sul comando e controllo.

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