Perché i mercati sono turbolenti

Inizio 2025 turbolento per i mercati in attesa dell’insediamento di Trump. L'analisi di Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management

Jan 19, 2025 - 08:43
Perché i mercati sono turbolenti

Inizio 2025 turbolento per i mercati in attesa dell’insediamento di Trump. L’analisi di Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management

 

Il 2025 è iniziato in modo tormentato sui mercati. Nelle ultime settimane si è assistito ad un considerevole e repentino assestamento verso l’alto dei rendimenti obbligazionari, fatto abbastanza controintuitivo in un ciclo di tagli dei tassi di policy da parte delle banche centrali ed insidioso per la performance sia del comparto obbligazionario che degli attivi rischiosi, azioni in primis.

Tuttavia, questa contraddizione è solo apparente perché il mercato sta ridimensionando le attese relative al ciclo di allentamento monetario per i mesi a venire, nonostante nel mese di dicembre sia la Federal Reserve che la BCE abbiano effettuato ulteriori tagli da 25 punti base.

La ragione principale è che i dati americani presentano un’economia resiliente, prefigurando uno scenario di no-landing che sostituisce quello precedentemente atteso di soft-landing. Ad esempio, i nuovi occupati di dicembre, 256.000, sono stati il doppio delle attese ed il tasso di disoccupazione è in calo al 4,1%, già al di sotto del livello di pieno impiego.

Vi è inoltre una possibile ragione aggiuntiva legata all’imminente insediamento di Trump alla Casa Bianca. La ricetta economica della nuova amministrazione americana basata su tariffe, freno all’immigrazione, tagli fiscali e deregolamentazione, ha un impatto stagflattivo. Le stime dei nostri economisti suggeriscono un freno alla crescita di circa 0,3 all’anno e una maggior spinta inflazionistica pari a circa 0,75 all’anno per più o meno la durata di 4 anni della legislatura.

Al momento, queste ipotesi risultano un po’ arbitrarie perché non è ancora chiaro quanta parte di questa agenda verrà implementata. Dal comitato monetario americano del 18 dicembre, dati e sondaggi su inflazione non più in discesa e mercato del lavoro robusto sembrano puntare ad una revisione della funzione di reazione della Fed: mercato del lavoro solido e trumpnomics legittimano il nuovo cambiamento delle priorità da rischi per l’occupazione a rischi inflazionistici. Molti analisti si stanno affrettando in queste ore a rivedere il ciclo di allentamento, escludendo tagli per il 2025 o lasciandone al massimo uno. Noi ci aspettavamo già al massimo un taglio per il nuovo anno, quindi in linea con le attuali aspettative del mercato.

Anche nel resto del mondo, le aspettative relative alla politica monetaria vengono necessariamente ricalibrate a seguito del nuovo scenario americano.

I rendimenti obbligazionari sono più che mai decisivi in questa fase per tutte le classi di attività. Da inizio ottobre, quando Trump è apparso più chiaramente come favorito, i tassi reali, cioè la media dei titoli indicizzati all’inflazione, sono saliti di 75 punti base che è il risultato di un punto pieno di rialzo dei tassi nominali meno 25 punti base di maggiore inflazione attesa. Il rendimento azionario (earning yield), invece, è circa allo stesso livello. Di conseguenza, la differenza fra i due rendimenti, ovvero earning yield meno bond yield, il cosiddetto premio di rischio azionario, si è ridotto ancora a ridosso del 2%, ben al di sotto della media storica pari al 4% nel lungo periodo. Le incertezze relative all’agenda Trump difficilmente giustificano un ulteriore compressione di questa misura; il mercato si era inizialmente concentrato sulla parte del programma che dovrebbe beneficiare gli utili, ma con un’economia americana così forte rischiano di prevalere le preoccupazioni inflazionistiche.

Se la nostra analisi dovesse essere corretta, per avere una stabilità dei mercati finanziari è necessario individuare il punto di equilibrio delle obbligazioni americane. Con il T-note decennale al 4,80% crediamo di essere a buon punto. Come caso limite, immaginando che il mercato arrivi ad escludere del tutto ulteriori tagli dei Fed Funds, potremmo avvicinarci al 5%, peraltro già visto a ottobre 2023.

In questa fase però, la volatilità dei bond si trasferisce su quella azionaria, in particolare sui settori più sensibili ai tassi di interesse, come ad esempio sul Russell 2000. Il problema è che, nelle scorse settimane, hanno sofferto anche large cap del Nasdaq ed i titoli finanziari. Il sospetto, quindi, è che il mercato sia stato preso in contropiede con un posizionamento un po’ troppo lungo.

Al momento non ci aspettiamo che ci sarà una correzione profonda, pensiamo ad un massimo del 10% dopo il 5% già registrato, ma crediamo che il 2025 possa vedere dei total return positivi su entrambe le asset class. Tuttavia, la prima parte dell’anno potrebbe essere piuttosto movimentata, proprio per via dell’esordio della nuova amministrazione americana.

Per riferimento, ogni ulteriore 10 punti base di rialzo nei tassi di interesse decennali a parità di altre condizioni, quindi con premi di rischi azionari invariati, si tradurrebbe in un ulteriore ribasso azionario di 2,5 punti. L’aggravante tattica a cui stiamo assistendo è che lo shock di correlazione si trasferisce in una correzione simultanea degli indici obbligazionari e azionari.

Queste considerazioni giustificano la posizione di sottopeso su entrambe le asset class che abbiamo proposto e praticato fin dall’ultima parte del 2024. Per quanto riguarda l’azionario, siamo oggi al 25% aggiustate per il delta, mentre sulle obbligazioni da inizio anno abbiamo ricomprato qualcosina e ci stiamo ora orientando verso una duration intorno ai tre anni, ma abbiamo spostato già da qualche settimana buona parte dell’esposizione da obbligazioni europee ad obbligazioni americane. L’intenzione è quella di aumentare gradualmente l’esposizione, ad un certo punto anche azionaria, man mano che si raggiungono i traguardi suddetti sui livelli dei rendimenti americani.