L’annuncio di Barenboim: "Ho il morbo di Parkinson. Ma dirigerò il più possibile"
Il pensiero del maestro, 82 anni, va alla sua West-Eastern Divan Orchestra: "È mia responsabilità garantirne la stabilità e lo sviluppo a lungo termine" .
Penso sia desidero comune, che i grandi uomini vivano il più a lungo e il più in salute possibile. Daniel Barenboim è un grande, grandissimo artista ma soprattutto un grand’uomo: sicché non meraviglia il suo non avere alcuna remora nel dichiarare pubblicamente d’essere affetto dal morbo di Parkinson, che com’è noto non si sa da cosa sia provocato e per il quale non esiste quindi una cura efficace al di là di alcuni palliativi. Il tremore agli arti, e in particolare alle braccia, è quanto di peggio possa capitare a chi senza dubbio alcuno è uno dei maggiori pianisti e direttori d’orchestra degli ultimi sessant’anni (di più, anzi, ove si ricordi che il suo primo concerto pubblico lo diede nel 1949, a sette anni): pianoforte e bacchetta alternati con regolarità da quando salì la prima volta sul podio nel ’67.
Personalità di stupefacente vitalità umana e artistica, Barenboim, il cui immenso carisma lo ha portato fin da subito a non adagiarsi mai nella comoda tinozza dell’artista tra i maggiori e quindi più richiesti dell’universo mondo, ma di prodigarsi con ancor maggiore energia in progetti probabilmente impossibili per chiunque altro. Basti pensare, per fare un solo esempio, a quando riuscì (lui, ebreo argentino con nazionalità spagnola e israeliana), sormontando resistenze ritenute invincibili, a far eseguire alla Filarmonica d’Israele musiche di Wagner, la prima volta respingendo con la bacchetta due o tre dimostranti saliti sul palco a mostrare l’avambraccio sinistro col numero di matricola tatuato ad Auschwitz e ricordare che quelle musiche erano suonate in quegli infami luoghi: da lì partì un incessante lavoro organizzativo ma soprattutto ideologico che ha portato alla fondazione, nel 1999 – dieci anni esatti dalla caduta del muro di Berlino – della West-Eastern Divan Orchestra, formata da musicisti israeliani e palestinesi, di cui è direttore musicale.
Un uomo così, non si ferma. Puntualmente, nel comunicare che il suo momentaneo ritiro dall’attività per una serie di ricoveri era terminato con la definitiva diagnosi del Parkinson, ha altresì annunciato che riprenderà a dirigere. Meno, magari, ma dirigerà. Noi comuni mortali, probabilmente, non siamo in grado di comprenderne la necessità: chiaro come un annuncio del genere significhi anche mettere le mani avanti sulla qualità delle sue direzioni, che difficilmente potrà essere pari alle sue – eccelse – precedenti. D’altronde, di direttori con gestualità poco o tanto criptica ce ne sono e ce ne sono stati tanti, di nome anche aureolato di fama (basti citare Wilhelm Furtwängler o Giuseppe Sinopoli): ed è presumibile che la sua attività sarà circoscritta a orchestre che lo conoscono da tempo e possono quindi decifrare un gesto un po’ confuso contando invece sul precedente lavoro di concertazione. Una cosa è sicura: a ottantadue anni e col Parkinson, Barenboim troverà sempre il modo di far emergere la sua eccezionale personalità di artista fuori dagli schemi, mai banale e meno che mai sterilmente ripetitivo.