Il calcio femminile arretra, governo taglia fondi al professionismo: qual è la situazione
Il calcio femminile ha impiegato molto tempo per emergere e oggi è nuovamente a rischio. Ecco come incide il taglio dei fondi dalla Manovra
Il mondo del calcio femminile procede a due velocità: da una parte l’annuncio della decima edizione della Coppa del Mondo che si svolgerà in Brasile nel 2027: dall’altra il governo italiano taglia i fondi allo sport femminile, non rinnovando il finanziamento triennale per il professionismo delle atlete.
Il 2022 è stato un anno di svolta per il calcio femminile italiano, segnando l’introduzione del “professionismo”. Eppure il riconoscimento dei diritti e le tutele per le giocatrici ha portato a maggiori costi per i club (+60% rispetto all’anno precedente), non sempre ripagati dai ricavi commerciali. Così il taglio dei fondi allo sport femminile rischia di compromettere il futuro delle opportunità lavorative e dei sogni professionistici di moltissime giovani atlete.
Per capire il significato del professionismo oggi e come si differenzia dallo sport dilettantistico, facciamo un passo indietro ripercorrendo la storia del calcio femminile.
La storia del calcio femminile dal 1795 a oggi
Una data storica per lo sport è quella del 26 ottobre 1863, quando in Inghilterra venne fondata la Football Association, il primo organo di governo del gioco del calcio. Se è vero che esistono fonti storiche di un gioco simile al calcio anche tra i persiani, i vichinghi, gli indigeni hawaiani e gli aborigeni australiani, si stabilisce che “calcio” è lo sport che ancora oggi conosciamo proprio nel 1863 in Inghilterra. Pochi anni dopo, nel 1894 venne creata la prima squadra femminile: la British Ladies Football Club. Sappiamo però, secondo alcune fonti, che la prima partita di calcio tra donne si è svolta in Scozia nel 1795.
Il mancato riconoscimento del calcio femminile al livello di quello maschile è stato a lungo influenzato da pregiudizi sociali. Il calcio femminile per diversi anni è cresciuto moltissimo, bloccandosi intorno al 1920-21. La Football Association, la stessa nominata in precedenza, nel 1921 decise di vietare alle squadre femminili di giocare sui campi federali. Si trattò di un vero e proprio boicottaggio, in favore di un ruolo della donna marginalizzata, rinchiusa all’interno delle mura domestiche.
In Italia, il calcio femminile si diffuse poco dopo. È possibile ricostruire la storia del primo gruppo femminile calcistico, nata a Milano, grazie a una serie di documenti raccolti con cura. La data è il 1933, ma pochi mesi dopo fu anche questo boicottato. Tra le cause le spinte dal regime fascista, che voleva limitare il calcio femminile per via dell’estremo contatto fisico. Così il fascismo chiedeva alle calciatrici di spostarsi in sport dove questo era meno presente, come il basket o l’atletica. Una situazione simile si verificò in Francia, dove nel 1941 il governo di Vichy proibì il calcio femminile perché dannoso per lo sviluppo dello sport femminile.
Furono decenni complessi, segnati da una continua lotta contro gli stereotipi di genere e i pregiudizi che ostacolavano il riconoscimento del professionismo femminile.
Ecco una sintesi delle tappe principali nella storia del calcio femminile in Italia:
- nel 1946 due squadre femminili, la Triestina e la San Giusto, organizzarono partite per promuovere il ritorno di Trieste all’Italia;
- nel 1968 iniziò il primo campionato femminile, vinto dal Genoa;
- nel 1986 il calcio femminile fu riconosciuto dal FIGC come torneo dilettantistico;
- nel 1991 si disputarono i primi Mondiali di calcio femminile, vinti dagli Stati Uniti;
- nel 2022 le calciatrici di Serie A vennero finalmente riconosciute come atlete professioniste.
Nel 2024, il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, non ha mantenuto la promessa di impegnare il governo nel favorire lo sport femminile. Nella Legge di Bilancio, i fondi per il professionismo femminile sono stati tagliati da 11 milioni di euro a zero.
Sognare il professionismo: cosa comporta
In Italia, sono le singole federazioni a decidere il riconoscimento dello status professionale, come stabilito dalla legge 91 del 1981. Cosa significa? Che il professionismo sportivo è regolato da una scelta del “datore di lavoro”. Non sono molte le federazioni sportive italiane che riconoscono il professionismo: si contano sulle dita di due mani tra calcio, pugilato, ciclismo, motociclismo, golf, pallacanestro e pallavolo. Dal 2014, ne restano soltanto quattro: calcio, ciclismo, golf e basket. Nella maggior parte dei casi, questo riconoscimento riguarda solo gli uomini. È stato solo nel 2022, infatti, che le atlete di calcio della Serie A femminile sono state riconosciute come professioniste.
Dal 2019, anno che ha segnato un punto di svolta per il calcio femminile, il processo di affermazione del professionismo non era più una semplice richiesta, ma una vera e propria pretesa. Era necessario formalizzare tutta una serie di diritti e oneri. Ludovica Mantovani, Presidente della Divisione Calcio Femminile FIGC, nel 2022 ricordava come:
Le ragazze del 2019 ce l’hanno fatta da sole, mentre le future generazioni, come quella Under 19 che disputerà l’Europeo, provengono dai centri federali e sono cresciute con la professionalità che i club hanno messo in campo dal punto di vista degli staff e delle strutture.
Aveva fatto notizia nel 2022 il riconoscimento del calcio femminile come sport professionistico. Non si trattava tanto di una questione di guadagni, anche se si era deciso di uniformare i salari minimi della Serie A femminile a quelli della Serie C maschile, ovvero 26mila euro lordi l’anno. La vera svolta riguardava l’introduzione di tutele fondamentali per le calciatrici, come la pensione, l’assistenza medica in caso di infortuni e la maternità. In questo modo, il calcio diventava una professione a tutti gli effetti, una carriera da intraprendere e un sogno lavorativo per moltissime giovani atlete.
L’introduzione del professionismo, che riguarda esclusivamente il campionato di Serie A femminile, ha portato a diverse conseguenze. Di queste si è discusso nel maggio 2024, durante il convegno “Tra crisi e rilancio: la situazione economica del calcio in Italia”. La presidente della divisione Serie A femminile professionistica, Federica Cappelletti, ha spiegato che, dal 1° luglio 2022, per i club i costi sono aumentati del 60%. Solo una parte di tali costi è stata compensata dall’incremento dei ricavi commerciali (+50%), dai ricavi dei diritti televisivi (+40%) e dal sostegno di fondi federali. Il professionismo rischiava di diventare insostenibile e, proprio per questo motivo, è stato istituito il fondo per il professionismo e per lo sport femminile.
I guadagni del calcio femminile: qualche numero
Dopo i festeggiamenti del 2022, è stato necessario trovare risorse stabili. Il calcio maschile genera molti più guadagni, grazie soprattutto a investimenti e sponsor che garantiscono cifre stratosferiche. Per il calcio femminile, competere dal punto di vista economico è impossibile. Per questo motivo, il sistema si reggeva in modo artificioso sui fondi statali e su una componente interna più ridotta, derivante dai ricavi sopra citati.
Ciò accade perché, nonostante la crescita, investitori e sponsor non guardano al calcio femminile con lo stesso interesse riservato a quello maschile. Il fenomeno non è circoscritto alla sola Italia, anche se all’estero, in particolare negli Stati Uniti, le calciatrici godono di una condizione migliore. Per esempio nella Top 10 delle calciatrici più pagate al mondo, 9 sono americane. Questo è stato possibile grazie a un accordo del 2022 che ha garantito loro compensi pari a quelli dei colleghi uomini.
Tornando alla situazione italiana, il nuovo report FIGC del 2024 offre un quadro dei valori economici del settore. La stagione sportiva 2022-2023 ha prodotto oltre 11,3 miliardi di euro di Pil, attivato quasi 130mila unità lavorative annue e generato complessivamente 3,3 miliardi di euro di gettito fiscale. Di questi, il calcio professionistico maschile di Serie A, B e C rappresenta il settore prevalente, con un impatto sul Pil stimato in oltre 5 miliardi di euro.
La Federazione Italiana Giuoco Calcio ha investito nello sport femminile 7,6 milioni di euro. Un risultato positivo, considerando l’interesse dei telespettatori, ma l’assenza di strategie efficaci per incentivarne la visibilità alla pari della controparte maschile resta un problema. Per esempio, la finale femminile di Coppa Italia 2024 tra Roma e Fiorentina ha registrato il 3,5% di share, mentre Roma-Barcellona, gara dei quarti di Champions League, ha attirato 39.454 spettatori presenti allo stadio.
Per quanto riguarda i ricavi, tra le stagioni 2019-2020 e 2022-2023 (esclusi quelli autonomi dei singoli club), si è registrata una crescita significativa: +147% complessivi, con un incremento dei diritti audiovisivi del +216%, dei ricavi commerciali del +94% e dei contributi Serie A del +192%.
Insomma il calcio femminile sta trovando il suo spazio e il suo riconoscimento, riuscendo a conquistare milioni di fan dello sport più amato d’Italia. Ma lo sta facendo nuovamente da solo, con le proprie forze. Il divario con gli investimenti e l’impegno verso la parità, evidente all’estero, fa riflettere. Cosa non ha funzionato? Le atlete ci sono, i risultati sportivi pure, così come un pubblico sempre più affezionato. Forse lo sport femminile – e il calcio in particolare – è ancora percepito come inferiore rispetto a quello maschile, che riesce a sostenersi autonomamente. Certo, è un duro colpo constatare che il primo governo guidato da una donna, che dichiara di voler tutelare i diritti delle donne, non abbia mostrato la volontà di far brillare il professionismo femminile.