Come posso tutelarmi da un licenziamento ingiusto?

Spesso si tende ad accettare passivamente un licenziamento senza valutarne la legittimità o senza sapere che esistono strumenti giuridici per impugnarla.

Feb 3, 2025 - 22:46
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Come posso tutelarmi da un licenziamento ingiusto?

Il mercato del lavoro è connotato da forte instabilità e l’aumento dei licenziamenti colpisce aziende di ogni settore. Il 20 gennaio 2025, la Corte Costituzionale ha ammesso un referendum per abolire le attuali norme sui licenziamenti potrebbe ridefinire il quadro normativo, riaprendo il dibattito sul reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente. Nel frattempo, le crisi aziendali continuano a mietere lavoratori: la multinazionale Beko, ex Whirlpool, ha annunciato il licenziamento di 2.000 dipendenti in Italia, citando la concorrenza internazionale e il calo della domanda come cause principali.

Come riconoscere un licenziamento ingiusto?

Un licenziamento è ingiusto quando manca una motivazione reale, violando la legge o i contratti collettivi. Le norme sul diritto del lavoro impongono che ogni licenziamento sia supportato da motivazioni valide e dimostrabili, in linea con l’art. 2119 del Codice Civile e lo Statuto dei Lavoratori (l. n. 300/1970). Quindi, se il datore di lavoro licenzia senza un motivo valido o con una giustificazione pretestuosa, il lavoratore potrebbe avere diritto alla reintegrazione o a un risarcimento economico.

Vediamo i principali casi in cui un licenziamento può essere dichiarato illegittimo.

Licenziamento discriminatorio

Il datore di lavoro non può licenziare un dipendente per ragioni legate a razza, sesso, religione, orientamento sessuale, disabilità, età o opinioni politiche (art. 3 Cost.; art. 15 Stat.lav.). E’ il caso di una lavoratrice che viene licenziata poco dopo aver comunicato la sua gravidanza al datore di lavoro.

Assenza di giusta causa o giustificato motivo

  • giusta causa: un licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.) è valido solo se il comportamento del lavoratore è talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro (es. furto, violenza, grave insubordinazione).
  • giustificato motivo: può essere soggettivo (gravi inadempienze del lavoratore) o oggettivo (esigenze aziendali reali e dimostrabili). Se il motivo è generico o non documentato, il licenziamento è impugnabile.

Ad esempio, un’azienda licenzia un dipendente adducendo la necessità di ridurre il personale per difficoltà economiche. Mentre, emerge che l’azienda assumeva nuovo personale nello stesso periodo. Può essere evidenziata l’assenza di una reale esigenza di riduzione del personale e la mancata dimostrazione dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni.

Violazione delle procedure contrattuali

Ogni contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) stabilisce regole specifiche per il licenziamento. Se l’azienda non rispetta le procedure previste (es. mancata contestazione disciplinare, assenza di preavviso), il licenziamento può essere dichiarato illegittimo.

Per riassumere:

Tipo di Licenziamento

Legittimo

Illegittimo

Giusta causa

Sì, se il comportamento è grave (es. furto)

No, se il fatto non è provato

Giustificato motivo oggettivo

Sì, se l’azienda dimostra difficoltà economiche reali

No, se assume nuovo personale poco dopo

Discriminatorio

Mai

Sempre nullo

Proceduralmente errato

No, se non vengono rispettate le regole del CCNL

Sì, se le procedure non vengono seguite

Quali sono i miei diritti in caso di licenziamento illegittimo?

Fino all’entrata in vigore del Jobs Act, la principale tutela per i lavoratori contro i licenziamenti illegittimi era l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Esso prevedeva, in determinati casi, la reintegrazione nel posto di lavoro con il pagamento delle retribuzioni perse.

Con il Jobs Act, il regime di tutela è stato modificato per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, ai quali si applica il sistema delle “tutele crescenti”. La reintegrazione è prevista solo in casi specifici e, nella maggior parte delle ipotesi, la tutela consiste in un’indennità economica crescente in base all’anzianità di servizio.

Reintegrazione sul posto di lavoro

La reintegrazione avviene quando un giudice dichiara nullo o illegittimo un licenziamento, ordinando la riassunzione del lavoratore. Questa tutela si applica nei seguenti casi:

  • licenziamento discriminatorio (motivato da razza, sesso, religione, opinioni politiche, ecc.)
  • licenziamento nullo (in violazione di diritti fondamentali o in determinati periodi protetti, come la gravidanza)
  • licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, con manifesta insussistenza dei fatti contestati (solo per i lavoratori con contratto a tutele crescenti)

Se viene ordinata la reintegrazione, il datore di lavoro deve ripristinare il rapporto di lavoro e corrispondere al dipendente tutte le retribuzioni maturate nel periodo di allontanamento forzato, oltre ai contributi previdenziali non versati.

Risarcimento del danno

Se la reintegrazione non è prevista, il lavoratore ha diritto a un risarcimento economico. Le modalità di calcolo variano a seconda del regime applicabile. Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, l’art. 18 Stat. lav. prevede un risarcimento proporzionato al danno subito, che tiene conto dell’anzianità, della difficoltà di trovare una nuova occupazione e delle circostanze specifiche del caso. Invece, per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, il Jobs Act stabilisce un’indennità compresa tra 2 e 24 mensilità, calcolata in base all’anzianità del lavoratore (2 mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 6 mensilità in alcuni casi specifici).

Tutele in caso di licenziamento discriminatorio

Il licenziamento per motivi discriminatori è sempre nullo, indipendentemente dall’anzianità o dalla tipologia contrattuale del lavoratore. In tal caso, la legge prevede obbligatoriamente la reintegrazione sul posto di lavoro; il risarcimento del danno (compreso tra un minimo di 5 mensilità e l’integrale ristoro delle retribuzioni perse); nonché il versamento dei contributi previdenziali per il periodo di allontanamento.

Tutele per vizi procedurali nel licenziamento

Se il datore di lavoro non rispetta le formalità richieste dalla legge per il licenziamento (ad esempio, mancata comunicazione scritta o omessa audizione del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare), il licenziamento può essere dichiarato illegittimo.

Le conseguenze variano a seconda della normativa applicabile:

  • Per i lavoratori con contratto ante Jobs Act, il datore può essere obbligato alla reintegrazione o al pagamento di un’indennità significativa.
  • Per i lavoratori con contratto a tutele crescenti, è previsto un risarcimento economico ridotto, generalmente compreso tra 2 e 12 mensilità.

Contributi previdenziali e licenziamento illegittimo

In caso di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi previdenziali per tutto il periodo intercorrente tra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione o il pagamento del risarcimento. Ciò garantisce che il lavoratore non subisca una penalizzazione ai fini pensionistici a causa del licenziamento illegittimo.

Quali sono i passaggi per impugnare un licenziamento?

  • Lettera di impugnazione: Il lavoratore deve impugnare formalmente il licenziamento inviando una lettera raccomandata A/R o una PEC al datore di lavoro entro 60 giorni dalla ricezione del licenziamento (art. 6, l.n. 604/1966). In questa fase è consigliabile avvalersi dell’assistenza di un legale di fiducia per garantire che la lettera sia formulata correttamente e comprenda tutti gli elementi rilevanti.
  • Tentativo di conciliazione stragiudiziale: il lavoratore può tentare una conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (D.lgs. n. 124/2004) per risolvere la controversia in modo più rapido e meno oneroso. In questa fase, il lavoratore e il datore di lavoro possono raggiungere un accordo che, se sottoscritto ha valore legale e definitiva efficacia.
  • Ricorso al Tribunale del Lavoro: se la conciliazione non ha buon esito, il lavoratore può presentare un ricorso giudiziale entro 180 giorni dall’impugnazione. Il ricorso deve contenere una dettagliata esposizione dei fatti, le motivazioni della contestazione e le richieste del lavoratore, che possono includere reintegrazione o risarcimento. Nel procedimento il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare la legittimità del licenziamento, mentre il lavoratore deve fornire elementi di prova relativi a eventuali discriminazioni, carenze procedurali o motivazioni fittizie.

Quali documenti sono necessari per impugnare un licenziamento?

Per impugnare un licenziamento, occorre raccogliere una serie di documenti che dimostrino le circostanze del rapporto di lavoro. Di seguito una tabella riepilogativa.

Documento

Descrizione e funzione

Contratto di lavoro

contiene le clausole che regolano il rapporto di lavoro.

Lettera di licenziamento

documento obbligatorio per legge (art. 2, l.n. 604/1966), deve indicare i motivi del licenziamento.

Comunicazioni aziendali

email, lettere o avvisi relativi al licenziamento o a provvedimenti disciplinari precedenti.

Buste paga

per calcolare eventuali danni economici subiti dal lavoratore.

Certificazioni INPS

possono essere utili per dimostrare periodi di lavoro non regolarmente dichiarati.

Prove di discriminazione

testimonianze, email o altri documenti che confermino che il licenziamento è avvenuto per motivi discriminatori.

Statuto aziendale o CCNL

regolamenti interni o CCNL applicabile.

Documentazione delle contestazioni disciplinari

eventuali richiami o lettere di contestazione che abbiano preceduto il licenziamento.