Se il private sostiene l’azienda, l’azienda sostiene il private

Il settore del private equity è una realtà con operatori nazionali e internazionali consolidati, anche se il mercato ha meno di 40 anni.  Nella seconda metà degli anni Ottanta l’attività è svolta da pochi operatori provati, a cui si affiancano alcuni istituti bancari. Negli anni Novanta iniziarono ad entrare nel mercato anche alcuni operatori pan […] L'articolo Se il private sostiene l’azienda, l’azienda sostiene il private proviene da Economy Magazine.

Jan 18, 2025 - 14:19
Se il private sostiene l’azienda, l’azienda sostiene il private

Il settore del private equity è una realtà con operatori nazionali e internazionali consolidati, anche se il mercato ha meno di 40 anni.  Nella seconda metà degli anni Ottanta l’attività è svolta da pochi operatori provati, a cui si affiancano alcuni istituti bancari. Negli anni Novanta iniziarono ad entrare nel mercato anche alcuni operatori pan europei e internazionali, principalmente di matrice anglosassone, che portarono i primi cosiddetti mega deal.

Sebbene la presenza di questi soggetti sia riconducibile già ai primi anni di operatività del mercato, è nell’ultimo decennio che il loro peso ha raggiunto dimensioni significative, configurandosi come una parte fondamentale del private equity italiano. Ai soggetti anglosassoni nel corso del tempo si sono affiancati operatori provenienti da altre geografie, in primis la Francia, Paese con caratteristiche più simili alle nostre, che sta dedicando grande attenzione alle imprese italiane, principalmente nel mid market.

Guardando alla compagine associativa di Aifi, nel 2010 i soci internazionali erano 23, il 20% del totale, e i soggetti anglosassoni ne rappresentavano quasi la metà. Nel 2024, invece, sono 58 gli operatori di matrice estera (34% del totale), con grande eterogeneità geografica e una prevalenza di soggetti francesi, che rappresentano il 28% degli internazionali, seguiti dagli anglosassoni (24%) e dagli statunitensi (16%). Dal 2021 si sono associati ad Aifi 22 soggetti internazionali, molti dei quali per la prima volta hanno aperto un ufficio nel nostro Paese, segno di un interesse stabile verso le aziende italiane. Di questi, 8 sono francesi. Un libro uscito in queste settimane, dal titolo “I fondi pan europei, strumenti di private equity globale per il tessuto produttivo italiano”, edito da Guerini Next e realizzato da Aifi in collaborazione con Gatti Pavesi Bianchi Ludovici e Societe Generale  Securities Services, ha l’obiettivo di comprendere l’attività realizzata dagli operatori internazionali in Italia, analizzando un orizzonte temporale di dieci anni, per evidenziarne il peso, le principali modalità operative e i cambiamenti nel tempo. Parte della ricerca è poi dedicata ad analizzare l’impatto economico sulle società oggetto di investimento, esaminando l’andamento dei principali indicatori economico-finanziari prima e dopo l’investimento.

I dati che emergono dall’analisi evidenziano una certezza importante per il mercato italiano del private equity: pur in un contesto di continua evoluzione e con grandi incertezze dello scenario economico, le aziende italiane sono oggetto di grande attenzione da parte degli operatori internazionali. Il loro contributo nel tempo è cresciuto in modo significativo e oggi ormai rappresentano una parte consistente e imprescindibile del mercato italiano. Questo principalmente perché il nostro è un Paese dove gli investitori esteri possono trovare interessanti opportunità di investimento, grazie alle tante imprese con grande potenziale di creazione di valore, che vogliono crescere, internazionalizzarsi, innovare e diventare esse stesse piattaforme di aggregazione di altre imprese, italiane ed estere. Questo accade sia in settori tradizionali sia innovativi e riguarda sempre più imprese di piccole e media dimensione, spesso a conduzione familiare, che sono diventate il target privilegiato degli operatori internazionali. Alla crescita del ruolo di questi investitori in Italia si è affiancato anche un progressivo cambiamento dell’operatività, spinto dagli stimoli che provengono dai grandi investitori istituzionali e dalle richieste delle imprese, che fanno sì che questi intermediari abbiano la necessità di trasformarsi e di adattarsi in continuazione.

Oggi l’approccio utilizzato è ancora più industriale e di affiancamento alle imprese e le leve di creazione di valore sono rappresentate sempre più dalla crescita, in molti casi per linee esterne e con l’obiettivo di creare poli di eccellenza, l’internazionalizzazione, l’innovazione e l’implementazione di modelli manageriali in grado di affrontare le sfide del futuro, inclusa quella del ricambio generazionale, fondamentale per tante piccole e medie imprese italiane. L’analisi dimostra che tutto questo si traduce in risultati economico-finanziari importanti per le aziende partecipate, che crescono a ritmi significativi in termini di fatturato, assumono nuovi addetti e sono protagoniste del mercato dell’M&A, con un impatto significativo sull’economia reale del Paese.

di Anna Gervasoni, Rettrice della Liuc – Università Cattaneo. è anche direttore generale di Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

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